Il 6 ottobre non tornerà più

I 47 minuti di odio scientifico di Hamas

Micol Flammini

Il 7 ottobre è un giorno infinito, in cui i terroristi hanno agito con metodo e vogliono ripeterlo. Lo strazio delle vittime e la goduria dei carnefici

Il 6 ottobre non tornerà più. I 47 minuti cuciti insieme dall’esercito israeliano mostrano le scene di una caccia: i terroristi di Hamas entrano nello stato ebraico mentre i suoi cittadini sono ancora in dormiveglia. Si aggirano per i kibbutz che si trovano vicini alla Striscia di Gaza e corrono tra una casa e l’altra, vanno a caccia di civili, di persone disarmate, di famiglie al risveglio, inermi e fragili. Lo siamo tutti nelle prime ore del giorno, quando ancora non abbiamo cancellato il sonno dagli occhi, lo siamo ancora di più di fronte a gruppi di uomini armati che desiderano cagionare il dolore più profondo possibile. Non sono stati gli israeliani di Be’eri o di Kfar Aza ad andare incontro ai terroristi, sono stati i terroristi ad andarli a cercare, a cacciarli, mentre erano nelle loro case, sui divani, a caricare la lavatrice, con l’intenzione di sovvertire e cancellare la loro quotidianità. Tutte le immagini che ha raccolto l’esercito vengono dai cellulari dei miliziani di Hamas. Dalle telecamere che i miliziani avevano attaccate all’uniforme, oppure dalle telecamere a circuito chiuso nelle case degli israeliani o dai telefoni dei primi soccorritori. I video e le foto mostrano lo strazio delle vittime e la goduria dei carnefici. In 47 minuti la violenza si ripete, è ossessiva, è continua, non si ferma mai, sembra durare in eterno. Soprattutto è metodica, i terroristi sono entrati in Israele per fare esattamente quello che hanno fatto: uccidere, violentare, rapire, umiliare. Si beano di ogni gesto, entrano silenziosi nei kibbutz assonnati e rovinano tutto quello che incontrano, lo fanno in modo scientifico, seguendo le indicazioni precise dei loro comandanti. Uno degli ordini è: fate video e foto – si sente dire in una telefonata tra un capo di Hamas rimasto nella Striscia e uno dei miliziani presenti all’attacco – riprendete tutto mentre “giocate”. Sorridono come se quello che da Gaza hanno chiamato gioco sia qualcosa che li sta divertendo in modo atroce, obbligano le vittime a posare per delle foto, si accaniscono sui cadaveri, sulle vite martoriate e ormai finite in un giorno che Israele non dimenticherà mai. Giocano mentre con una vanga cercano di staccare la testa a un civile steso a terra; giocano mentre lanciano le granate in un rifugio in cui si sono rintanati un padre con due figli; giocano mentre entrano in una casa con due bambini spaventati che hanno appena perso un genitore e chiedono dell’acqua. In alcune immagini si sente un telefono che continua suonare, sono suonerie imperterrite e laceranti: dall’altro capo del telefono c’è chi ha saputo e cerca un segnale di vita che non arriva, aspetta di sentire una voce che non si sente, non sa cosa stia accadendo, sa soltanto che in Israele è accaduto qualcosa senza precedenti, che dei terroristi alle sei e trenta del mattino hanno varcato il confine per uccidere più ebrei possibile. Nei filmati i miliziani corrono per i kibbutz e si incitano l’un l’altro: ammazza, ammazza, ammazza. Chiamano nella Striscia e si sentono dire: uccidi, uccidi, uccidi. Appiccano il fuoco a case e macchine ed esultano: brucia, brucia, brucia. Corrono, sparano, picchiano e stuprano, non concedono tregue a nessuno. 


Il 7 ottobre è un giorno che in Israele non è ancora finito, va avanti inflessibile, con gli archeologi che nei kibbutz colpiti cercano resti, non corpi, ma resti umani che raccontino la storia degli scomparsi. La lista degli ostaggi spesso si contrae di giorno in giorno e chi è vivo, chi è rimasto, chi può raccontare non sa cosa augurare a quei nomi che mancano all’appello. I video mostrano anche i miliziani caricare gli ostaggi a bordo di pick up, li ammassano, li buttano uno sull’altro, con particolare spregio per le donne e per i loro corpi, alcuni già abusati. Poi mostrano l’arrivo di alcuni prigionieri a Gaza, esibiti come trofei, come corna di cervo, portati in trionfo e offerti alla folla. 

 

Non ci sarà più un 6 ottobre, Israele è cambiata per sempre e vive nella paura che invece un 7 ottobre possa ripresentarsi all’infinito, Hamas  non ne ha fatto mistero, vuole rivederlo, vuole ripeterlo. Quel sabato mattina per lo stato ebraico non è mai finito. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)