con il supporto del Pulitzer Center
Dall'economia interna alle relazioni internazionali. Ecco perché per il Marocco i flussi migratori sono una risorsa
A nord continua a chiudere le frontiere in partnership con l’Ue. Ma dall’inizio del nuovo millennio il Marocco ha trasformato la politica migratoria dall'Africa sub-sahariana in un asset per i propri interessi nel continente e per sopperire alla sua mancanza di manodopera
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Casablanca/Agadir - Il salone di bellezza "Khady Hair" si trova ad Essalam, un moderno quartiere della periferia di Agadir. La proprietaria, Khady Wade Baldé, 38 anni, è arrivata nel 2008 da Dakar. "Sono venuta qui per una formazione come parrucchiera e ho trovato lavoro in un centro di bellezza", racconta. Il salone, uno dei tre che Khady ha aperto da allora, impiega una dozzina di lavoratrici provenienti da Marocco, Senegal e Costa d'Avorio.
Khady è tra i 70.000 cittadini sub-sahariani, che, tra regolari e irregolari, vivono in Marocco secondo le stime più recenti. "Negli ultimi due decenni, il Regno è diventato sempre più una destinazione per i migranti, soprattutto dall'Africa occidentale", conferma Hein de Haas, professore di sociologia all'Università di Amsterdam. Come altri paesi del Maghreb allineati alla politica di esternalizzazione delle frontiere dell’Unione europea, il Marocco continua il suo lavoro di militarizzazione dei confini settentrionali, ma, a differenza dei suoi vicini, Rabat ha anche un’altra faccia. Infatti, da più di due decenni cerca di posizionarsi come paese di accoglienza per i cittadini sub-sahariani che decidono di stabilirsi nel Regno. Un gioco di equilibri che consente a Rabat di perseguire molteplici interessi geopolitici ed economici.
Due giovani agricoltori subsahariani coltivano pomodori in una serra ad Ait Amira, un comune rurale a sud di Agadir. (foto Marco Simoncelli)
Alcuni viaggiatori subsahariani si fermano in una vecchia stazione di servizio a nord di Dakhla, nel Sahara occidentale. (foto Marco Simoncelli)
Un giovane venditore ambulante senegalese vende occhiali da sole nella famosa piazza Jemaa el-Fnaa a Marrakech, Marocco (foto Marco Simoncelli)
Un venditore ambulante senegalese passeggia tra le bancarelle e i turisti nella famosa piazza Jemaa el-Fnaa di Marrakech. (foto Marco Simoncelli)
Alcuni dei negozi senegalesi nel labirinto del grande souk di Marrakech, non lontano da piazza Jemaa el-Fnaa. (foto Marco Simoncelli)
Un gruppo di seguaci della confraternita islamica sufi Mouridiyya si riunisce nella dahira di Fat Hatoul Jhaffar a Marrakech. (foto Marco Simoncelli)
Membri della diaspora subsahariana tornano dal lavoro e aspettano alla fermata dell'autobus nel centro di Casablanca foto Marco Simoncelli)
Un gruppo di venditori di origine subsahariana aspetta la fine della giornata nella vecchia medina di Casablanca. (foto Marco Simoncelli)
La sezione di negozi senegalesi all'interno della vecchia medina di Casablanca, in Marocco (foto Marco Simoncelli)
Ousmane Djom in una delle tante serre che circondano la campagna di Ait Amira, un comune rurale a sud di Agadir. (foto Marco Simoncelli)
L'impegno del Marocco con l'Africa sub-sahariana risale già agli anni Settanta, ma è diventata una priorità strategica con l'ascesa al trono del Re Mohammed VI. Negli ultimi tre decenni, Rabat ha coltivato legami profondi con altre nazioni africane, attraverso aiuti umanitari, scambi universitari, e investimenti infrastrutturali.
Lo strumento principe con cui Rabat ha cercato di riposizionarsi come paese di accoglienza è la Strategia nazionale di integrazione e asilo del 2014. “Il piano dà diritto ai migranti sub-sahariani alla copertura sanitaria e all'accesso all'istruzione, anche se non hanno un permesso di soggiorno valido", spiega Maati Monjib, storico e attivista politico, che aggiunge tuttavia che le strutture ospedaliere, limitate da ristrettezze di bilancio, danno spesso priorità ai marocchini, a discapito dei cittadini sub-sahariani, come documentato anche dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite.
Sebbene il quadro che disciplina la migrazione si basi ancora su una legge del 2003 con un marcato carattere securitario, il Regno si è affidato a misure ad hoc per applicare la nuova strategia. "Tutti gli sviluppi positivi dal 2014 sono avvenuti attraverso strumenti esecutivi, decreti, programmi speciali o eccezioni a una particolare regola", riferisce Katharina Natter, professoressa dell'Università di Leiden. "Strumenti che potrebbero essere ricalibrati rapidamente o addirittura ritirati, a seconda degli obiettivi geopolitici". Tra queste misure, due campagne di regolarizzazione una tantum hanno consentito a più di 50.000 stranieri, tra cui molti migranti sub-sahariani, di ottenere permessi di soggiorno temporanei, tra il 2014 e il 2017.
A differenza del presidente tunisino Kais Saied, che di recente ha utilizzato i migranti sub-sahariani come capro espiatorio di una situazione economica in crisi, scatenando un’onda di violenza, i vertici della politica marocchina hanno sostenuto la migrazione sub-sahariana. "I migranti e i loro diritti non vengono strumentalizzati nella cerchia vicina al Re", sottolinea la dottoressa Natter, "Gli episodi di xenofobia si verificano nei media o nella vita di tutti i giorni, ma non a livello politico. La migrazione resta una risorsa cruciale".
In effetti, la maggiore apertura all'ingresso di cittadini sub-sahariani attraverso la creazione di vie legali, è servita a Rabat come moneta di scambio per ottenere sostegno internazionale in Africa. Come precisa Katharina Natter, "il Marocco ha riconquistato una posizione forte all'interno dell'Unione africana grazie alle sue politiche migratorie", compresa la questione del Sahara occidentale, "che è centrale nelle mosse del Marocco sulla scena geopolitica del continente”.
Ma se Rabat sembra aprirsi a sud, a nord continua a chiudere le frontiere in partnership con l’Ue. La collaborazione con Bruxelles ha garantito introiti da 2,1 miliardi di euro in fondi di cooperazione tra il 2014 e il 2022, ma ha anche contribuito a violenze razziali e di genere contro i migranti e i richiedenti asilo, culminate con il massacro di Melilla del 2022.
Se la migrazione dall'Africa sub-sahariana è diventata una leva per perseguire obiettivi geopolitici, il tema è sempre più centrale anche per le esigenze del mercato del lavoro interno, come spiega il professor de Haas: "Rabat sta vivendo una carenza di manodopera per i lavori che i marocchini non vogliono più fare". L'afflusso di lavoratori sub-sahariani è quindi fondamentale per alcuni settori del paese, come quello agricolo.
Ait Amira, una città a 40 chilometri a sud di Agadir, è circondata da serre di orticoltura. La manodopera proviene in gran parte da lavoratori sub-sahariani. "Questo è il lavoro principale quando si arriva qui", spiega Ousmane Njom, un senegalese di mezza età che ha lavorato nei campi per diversi mesi. "Io e mia moglie siamo arrivati in Marocco nel 2019. Abbiamo trovato subito lavoro nelle serre e non ce ne siamo più andati". Ousmane ricorda che in quei campi nessuno aveva un permesso di soggiorno valido. In assenza di riforme legislative che facilitassero la regolarizzazione, il cittadino senegalese non è mai riuscito a produrre la documentazione per ottenere un permesso e oggi fa parte di quella popolazione migrante irregolare stimata tra 25.000 e 40.000 persone.
Le opportunità di lavoro immediate, senza necessità di documenti ufficiali, rendono la regione di Agadir una delle prime tappe del percorso migratorio marocchino. Il Piano Verde del Marocco, lanciato nel 2008, ha contribuito a consolidare questa regione come la principale area di produzione di ortaggi e agrumi del Regno, contribuendo al 9 per cento del pil nazionale.
Un altro settore che attrae molti migranti sub-sahariani è quello dei call center. Con una forza lavoro di 120.000 dipendenti, i call center sono un comparto strategico che gode di incentivi fiscali e di una regolamentazione del lavoro poco rigorosa. Uno studio sul mercato del lavoro ha stimato che nel 2013 il 20 per cento della forza lavoro complessiva era composta da cittadini sub-sahariani.”La prima paga che abbiamo ricevuto è stata di circa 60 euro per un mese di lavoro. Ci dovevano molti soldi e non ci pagavano da diversi mesi. Un giorno siamo arrivati al centro e abbiamo trovato il posto vuoto”, ricorda Racine Ba, arrivato dal Senegal nel 2011.
Geopolitica ed economia sono tra i motivi principali di una politica migratoria differente da parte del Marocco. Una duplice strategia che, secondo la professoressa Natter è destinata a rimanere, "Il Marocco ha lavorato duramente per raggiungere la sua posizione. Un passo indietro rispetto agli impegni assunti avrebbe un costo diplomatico significativo”.