Il presidente Kennedy saluta dalla sua auto circa un minuto prima che gli sparassero, il 22 novembre 1963, a Dallas (AP Photo/Jim Altgens) 

22 novembre 1963

L'omicidio di JFK, il padre di tutti i complotti

Stefano Pistolini

Sessant’anni fa John Kennedy veniva assassinato a Dallas. Perché non ci hanno mai detto tutta la verità? Così si è srotolata una serie interminabile di teorie ora rappresentate dal Kennedy nipote, la cospirazione fatta a persona

La cosa più interessante, se ci si dedica a osservare la parabola delle teorie del complotto dal secondo Novecento a oggi, è il progressivo e inarrestabile tracimare del fenomeno da sinistra a destra. Mezzo secolo fa erano i più accesi progressisti a urlare slogan nelle manifestazioni contro lo stato repressivo, accusato di ordirle per controllare, ingannare e modificare le verità. Oggi, nella fattispecie in America, la teoria del complotto è diventata il più aggressivo strumento politico della destra. Prova ne sia la “grande bugia” di Donald Trump sulle frodi elettorali per le presidenziali 2020, volàno dell’insurrezione del 6 gennaio 2021 in Campidoglio, con migliaia di scalmanati a minacciare l’ordine pubblico ma, ancor di più, col 63 per cento degli elettori repubblicani pronto a credere alla menzogna dell’ex presidente. 

Alla confluenza tra gioco sporco e paranoia popolare (altro fattore i cui natali americani vanno attribuiti alla percezione progressista delle sconcezze messe in atto dal governo per condizionare l’ordine nazionale e quello dei paesi della sua sfera di influenza) il complottismo ha scalzato la propaganda come arma di persuasione di massa, con una trasversalità che va oltre la politica, fa breccia nel sociale e dilaga trionfalmente nel campo dell’economia: coi complotti si possono guadagnare molti soldi, si può diventare famosi, si può acquisire un appeal mediatico che in certi casi rasenta l’isterismo, si possono attivare ambiziosi sistemi di potere la cui durata sarà perlomeno pari alla della montatura di riferimento. Ma per quanto la cospirazione – e le fake news che ne sono gli agenti provocatori – sembrino un prodotto del secondo Novecento, proliferato nel XXI secolo grazie al cortocircuito con la rete e i social, l’argomento non è materia nuova: si cospirava nella Roma imperiale e Machiavelli ne parla diffusamente ne “Il Principe”, considerandola un possibile strumento di delegittimazione del sovrano, sebbene ne sconsigli la pianificazione per l’eccesso di controindicazioni presenti, convinto com’è che alla fine la verità venga sempre a galla. Ottimismo ingiustificato, se è vero che ci troviamo a celebrare il sessantesimo anniversario della vicenda-madre del complottismo moderno, capace di sbriciolare il nostro senso di realtà e di spingere il nostro intelletto a brancolare nel caos etico: l’omicidio del presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy, il 22 novembre 1963 a Dealey Plaza, Dallas, Texas. Tutto ciò che accade a partire dagli istanti successivi ai colpi esplosi dal fucile di Lee Oswald, costituisce il punto zero della teoria del complotto come funzione del contemporaneo. Qui si colloca la genesi della perniciosa escrescenza chiamata cospirazionismo moderno, collocabile in un punto indistinto tra i concetti di “vero” e “falso”, sulla base del dilagante scetticismo nei confronti dell’informazione, della sfiducia nelle istituzioni e degli atteggiamenti di sfida verso capisaldi della modernità come la democrazia, la giustizia, il progresso e la scienza. 

 

I primi vagiti della cultura della cospirazione nascono da una  constatazione: nella morte di Kennedy le cose non quadrano

 

Ci sono più di mille libri che indagano da ogni angolazione su cosa sia successo quel tragico giorno a Dallas e quali misteriosi disegni si realizzino con l’assassinio del presidente. Eppure ancora oggi nessuno può pronunciare la parola conclusiva sulla questione, in primo luogo perché, a dispetto degli innumerevoli filoni d’indagine, la cancellazione di Jfk dalla faccia della terra diviene subito terreno di scontro tra strumentalizzazioni di ogni genere. Qualsiasi sia stata la mano che ha armato l’assassino di Kennedy, qualsiasi la sua finalità, qualsiasi i responsabili materiali dell’omicidio, l’immagine del presidente-martire provoca un clamoroso impatto sulla psiche nazionale americana, aprendo una “seconda finestra” sulla vicenda: il suo riutilizzo per elaborare teorie su chi-volesse-cosa nel colpire Jfk, a detrimento del rapporto di un popolo con la verità. Che è ciò che accadrà di lì in poi, col diffondersi di dozzine di filoni complottisti di maggiore o minore successo, castelli di carte false di volta in volta irrobustiti da una materia ad altissima volatilità: le balle. In questo gioca un ruolo decisivo l’organismo che all’origine non ha vegliato sul corretto svolgimento degli eventi: lo stato e le sue emanazioni (commissioni d’inchiesta, Cia, Fbi eccetera) che si sono guardati bene dall’improntare la propria condotta alla trasparenza, optando per la convenienza, a causa del proprio coinvolgimento diretto o indiretto nella produzione dell’evento.

 

Negli anni 90, “X-Files” celebra l’epidemia di teorie complottiste, dal paranormale ai programmi militari segreti

 

L’America vacilla alla notizia che il suo presidente è stato massacrato nel pieno di una parata e che colui che viene subito individuato come l’omicida finisce a sua volta freddato in diretta televisiva da un killer dal romanzesco nome di Jack Ruby. I funerali di Kennedy, il giuramento di Lyndon Johnson, l’atmosfera irreale che circonda quelle ore di una nazione impietrita sono l’incubatrice della teoria del complotto come fondamentale strumento di destabilizzazione della società occidentale contemporanea. E i primi vagiti della cultura della cospirazione nascono da una semplice constatazione: nella morte di Kennedy le cose, per come vengono goffamente ricostruite e raccontate, non quadrano. Semplice. C’è sotto qualcosa di sporco, s’intravedono filamenti che portano chissà dove, ma che diventano trasparenti e poi spariscono.

   

La limousine che trasporta il presidente Kennedy ferito a morte corre verso l'ospedale (AP Photo/Justin Newman) 
  

L’inquietudine si diffonde perché viene a mancare la sicurezza di vivere in un sistema sociale capace di offrire le garanzie essenziali. Lee Oswald, con un vecchio fucile è davvero riuscito a portare a termine un simile crimine da solo, esplodendo quella che presto diventa la “pallottola magica”? Chi altro ha un’arma in pugno quel giorno, a quell’ora, in quel luogo? Chi ha giustiziato Oswald? La mafia? I russi? I capitani d’industria scontenti dell’operato del presidente? I cubani? La Cia? Niente: non solo la verità non viene a galla, ma si procede a secretare, col passare degli anni, un’impressionante mole di materiali dell’inchiesta. Le teorie del complotto si ingigantiscono. I cittadini non possono sapere? La verità è davvero così inconfessabile? Lo stato, dunque, non è espressione del popolo, ma suo strumento di controllo? Si apre la voragine: se il garante non è più accreditato di credibilità assoluta, le teorie diventano due, cento, mille. Non solo su come e perché è morto Kennedy, ma sulle motivazioni della guerra del Vietnam, sul Watergate, sul ruolo dell’America in Cile e in Indonesia, e poi sulla pelle di altri cadaveri eccellenti come Martin Luther King e del fratello di Jfk, Bobby. Chi arma il braccio che spara? Non esiste più una verità certa. Tutto può essere ipotizzato, il governo sta mentendo, informazioni essenziali sono sigillate nei forzieri del potere.  Nel 1975 il Senato degli Stati Uniti apre una nuova inchiesta sugli insabbiamenti all’interno della Cia e dell’Fbi riguardo all’assassinio Kennedy e alla commissione Warren. Nel 1979 l’inchiesta, stabilisce che Oswald non è l’unico colpevole e che l’omicidio è il risultato di una cospirazione, ma non arriva a specificare quale. E dopo 44 anni le motivazioni non sono state ancora rese note. Il presidente Joe Biden ha recentemente ordinato agli archivi di avviare una revisione completa dei documenti ancora classificati, con l’obiettivo di rilasciarne il maggior numero possibile entro il 15 dicembre prossimo. Ma il suo ordine ha deluso molti studiosi poiché, come ha fatto Trump prima di lui, Biden ha lasciato aperta la possibilità che alcuni documenti rimangano riservati per sempre.

 

Restano in vigore le congetture, che sono il prologo delle teorie del complotto

 

Perciò, per Jfk e per tante altre storie mai chiarite, restano in vigore le congetture, prologo delle teorie del complotto. All’inizio degli anni Novanta si mette in cantiere una serie televisiva destinata a spopolare in tutto il mondo: si chiama “X-Files” e celebra l’epidemia di teorie complottiste che come stiletti traversano ormai ogni genere di misteri, dal paranormale ai programmi militari segreti. La cospirazione è un fattore della cultura popolare. E deve ancora seriamente accendere i motori internet.

 

L’avvento del trumpismo eccita e provoca un aumento esponenziale del cinismo e della creduloneria

 

Il resto è materia del quotidiano, nel continuo accapigliarsi e rincorrersi tra logica e partigianerie: l’Olocausto è un’invenzione, gli sbarchi sulla Luna del programma Apollo sono stati una simulazione, l’11 settembre è tutta una questione americana, il cambiamento climatico è una bufala, la Terra è piatta, l’industria farmaceutica nasconde le cure per il cancro, la principessa Diana finisce assassinata dalla famiglia reale, Barack Obama è nato in Kenya ed è segretamente musulmano, il mondo è governato dalle lucertole. Credere nelle teorie del complotto è un prodotto della psicologia umana ed è pericoloso. Ma ormai a ogni grande evento corrisponde almeno una teoria del complotto che provvede a decifrarle. Un numero crescente di queste “teorie” – e la parola è usata a sproposito e in senso non scientifico, piuttosto dovrebbero chiamarsi “ipotesi” – riguardano questioni di scienza o di medicina. E quanto agli americani, circa la metà di loro, consumato lo choc-Jfk, oggi attribuisce credibilità a una o più di queste teorie. La percentuale aumenta tra i meno istruiti, ma non è limitata a loro. Anche gli istruiti abboccano, se una teoria si adatta alla loro visione del mondo. L’avvento del trumpismo eccita e provoca un aumento esponenziale del cinismo e della creduloneria. Un’impressionante massa di americani si dichiara ormai convinta di vivere in un regime che semplicemente mente su tutto. E troppe poche voci si alzano a dichiarare che tutto questo è semplicemente assurdo.

     

La temperatura psicologica dei nostri tempi si misura constatando che adesso c’è in circolazione un nuovo Kennedy: Robert F. Kennedy Jr, il nipote di Jfk e figlio di Bobby, un reazionario sui generis che sostiene di voler correre da indipendente per le primarie presidenziali e incarna una nemesi: lui è la cospirazione fatta persona. Nei comizi e nelle interviste parla della pandemia come di un’infezione che attacca solo i bianchi caucasici ma evita gli ebrei e i cinesi, sostiene che i vaccini causano l’autismo, che le stragi di massa non ci sarebbero se non avessero inventato il Prozac e dozzine di altre verità alternative alla oggettività. Ovviamente l’uomo della provvidenza è lui: votatelo e alzerà il velo sugli enigmi. Perfino sulla brutta fine dello zio sostiene di avere prove inconfutabili: ci sarebbe di mezzo la Cia, ma a tempo debito lo spiegherà agli americani. Resta da stabilire in quanti potrebbero dargli retta.