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pro e contro

I dilemmi di Israele, dopo lo scambio con Hamas. Parlano i giornalisti israeliani di destra

Giulio Meotti

"Mi oppongo all'accordo, non importa quanti ostaggi verranno liberati, è solo un invito al prossimo attacco”, dice Israele Harel, editorialista di Haaretz. Favorevole invece Amnon Lord, che oggi scrive per Israel Hayom, giornale vicino a Netanyahu: "Ma il governo deve chiarire che rientrerà nella guerra dopo lo scambio"

“Mi oppongo allo scambio con Hamas, non importa quanti ostaggi verranno liberati, è solo un invito al prossimo attacco di Hamas”. Così al Foglio Israel Harel, l’editorialista di destra di casa ad Haaretz, il giornale della sinistra israeliana. “Per un soldato, Gilad Shalit, abbiamo liberato mille assassini, tra cui Sinwar, l’attuale leader di Hamas. Tutti in Israele avevano detto che lo stato era rinato il 7 ottobre, ma questo accordo ci dimostra che poco è cambiato. Il vero test è lo scambio, con Hezbollah che ci guarda”. Harel dice che Israele ne uscirà, ma a un prezzo. “Siamo sopravvissuti alle camere a gas. Ma pensavo che quando avessimo avuto uno stato non saremmo stati dei sopravvissuti e oggi invece siamo una enclave dietro le mura”.


Il nemico coglie ogni opportunità, ci dice Israel Harel: “Ci studia, ci analizza, il nemico non è forte ma è intelligente. Tutte le guerre sono finite in una vittoria, tranne le nostre”. Harel dice che ne è un esempio quanto accade al nord. “Un altro peccato imperdonabile: centinaia di migliaia di persone hanno abbandonato le città e le comunità più piccole, su iniziativa di un governo che ha perso la fiducia in se stesso e nei propri valori. Ai residenti di ventotto comunità sul confine settentrionale, che un tempo erano simboli di eroismo e sacrificio, è stato detto di andarsene. Cosa ha portato il governo e l’esercito a fornire al leader di Hezbollah Hassan Nasrallah un’ulteriore prova della sua teoria secondo cui Israele è fragile come una ragnatela? Kfar Giladi è un kibbutz da 107 anni. Questa fiorente comunità ha conosciuto difficoltà e disastri, ma mai – nemmeno durante la Guerra d’Indipendenza – è stata abbandonata. Eppure adesso, che è circondato da migliaia di soldati, dal sistema antimissile Iron Dome e Dio solo sa cos’altro, i pronipoti dei fondatori lo hanno abbandonato”. Hamas sopravviverà, conclude Harel. “Sinwar forse no, ma l’ideologia di annichilire Israele sì e lentamente nascerà qualcosa di nuovo. Forse passeranno  anni prima che ci sarà un nuovo scontro con Gaza, ma un giorno saranno ancora organizzati”. Israele dovrebbe tornare a riprendersi Gaza. “Tanto l’occidente sarà sempre contro di noi”. 

Amnon Lord è stato il direttore del quotidiano di destra Makor Rishon e oggi scrive per Israel Hayom, giornale vicino a Benjamin Netanyahu. “Sono a favore dello scambio, ma il governo deve chiarire che rientrerà nella guerra dopo lo scambio, per evitare che Hamas ci estorca altro, come un cessate il fuoco” dice Lord al Foglio. “Siamo a Jabaliya e stanno cercando di fermarci dopo una serie di successi. Sinwar e la sua banda si basano sul fatto che i giorni di tregua creeranno una forte pressione internazionale, guidata dagli Stati Uniti e dalle Nazioni Unite, per raggiungere un cessate il fuoco. Guterres sarà felice di permettere ad Hamas di ottenere la vittoria dalla sconfitta inflittagli finora. La decisione di Netanyahu e del gabinetto di guerra di partecipare all’operazione di terra a Gaza è stata dannatamente difficile e sarà ricordata come una delle decisioni più difficili mai prese da un governo israeliano”. Israele non aveva scelta all’accordo e dimostra che la pressione militare funziona. “Sarei stato a favore anche se mi avessero dato un accordo come questo: come nel 1982, a Beirut, i capi di Hamas se ne vanno nello Yemen o a Harvard o al New York Times, e in cambio ci danno tutti gli ostaggi. Dobbiamo liberare i bambini e i minori. In Israele c’è questa idea che siamo una famiglia e non puoi negare alla famiglia di tornare ai propri cari. Ci vorranno da tre mesi a sei mesi per finire la guerra, non è come la Guerra dei sei giorni ed è la più grande battaglia che Israele abbia mai combattuto. Uno scenario terribile sarebbe se non tornassimo a combattere, si rifletterebbe molto male sulla deterrenza d’Israele. La guerra del Kippur esplose quando nel 1973 pensavamo di essere superiori e che non avessimo mai avuto migliore deterrenza. Yitzhak Rabin disse che la deterrenza per Israele non esiste. Quando il nemico decide che è il momento di attaccare, attaccano. Sono ottimista perché vedo che c’è uno spirito di combattimento e il talento militare che stanno dimostrando a Gaza. Sono stato dentro Gaza con l’esercito. Il nostro nemico però è molto determinato a distruggerci e può farlo con quello che abbiamo visto il 7 ottobre e con l’aiuto dell’Iran. Abbiamo commesso l’errore di pensare che il terrorismo con la propaganda e i missili e i massacri non potessero creare una situazione demoralizzante. E hanno creato un pericolo esistenziale. Non devi annichilire una intera popolazione per raggiungere questo obiettivo”. 

Dal pogrom del 7 ottobre sono passati dodici anni, da quando Sinwar, che aveva ucciso con le proprie mani dodici palestinesi che avevano collaborato con Israele, era stato scambiato assieme ad altri mille terroristi per un solo soldato israeliano. Al tempo i critici dello scambio dissero che Hamas aveva appena iniziato a pianificare la guerra. 

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.