L'editoriale del direttore
Un cessate il fuoco è nemico della pace. Tregua sì, ma senza dimenticare il 7 ottobre
Dietro l'interruzione dei combattimenti si cela il rischio di dare a Hamas la possibilità di continuare a governare nella Striscia, di impedire all’esercito di Israele di eliminare i leader di Hamas, di preparare nuovi olocausti e, di tornare a minacciare nuovamente Israele e tutti noi
Tregua senza resa. La guerra di libertà contro Hamas, ha scritto ieri giustamente l’Economist, si trova improvvisamente a fare i conti con la sua più grande contraddizione. Il 22 novembre, dopo settimane di negoziati, il governo israeliano, come sapete, ha approvato un accordo che prevede la liberazione di 50 donne e bambini da parte di Hamas, una piccola frazione dei circa 240 ostaggi detenuti a Gaza. Israele dovrà dunque fermare per qualche giorno la guerra contro gli stessi terroristi che il 7 ottobre hanno riportato l’orrore della Shoah dentro ai confini di Israele e dovrà mettere nel conto che la tregua umanitaria servirà a Hamas a prendere tempo, a riorganizzarsi, a riarmarsi, a utilizzare gli aiuti umanitari inviati ai palestinesi per alimentare i suoi tunnel del terrore, a creare le condizioni per tendere ulteriori imboscate alle truppe israeliane e a creare pressioni, con la complicità di un pezzo della comunità internazionale, affinché la guerra sospesa temporaneamente da Israele non riprenda più.
Obiettivo: congelare il conflitto, prolungare il cessate il fuoco nella speranza di renderlo permanente, arrivando magari, come teme il Wall Street Journal, a rivedere in corsa la politica di rilascio degli ostaggi, chiedendo a Israele di ritardare ancora la ripresa delle ostilità, accettando dunque il rischio di dare a Hamas la possibilità di continuare a governare nella Striscia, di impedire all’esercito di Israele di iniziare la campagna a sud di Gaza, dove l’esercito ritiene che i leader di Hamas si siano rifugiati, di preparare nuovi olocausti, di tornare a minacciare nuovamente Israele e tutti noi. Niente di più sbagliato. “La guerra continua, e continuerà finché non raggiungeremo tutti i nostri obiettivi”, ha detto il premier israeliano Benjamin Netanyahu prima del voto del governo di martedì sulla tregua con Hamas e il rilascio degli ostaggi. Su questo punto Netanyahu ha ragione e sa di avere dalla sua parte, per fortuna, anche l’Amministrazione americana, che a differenza di quanto fece nel 2008 George W. Bush con Ariel Sharon, ai tempi della guerra di Israele in Cisgiordania, non sembra avere alcuna intenzione di dire all’esercito israeliano: “Stay back”. Biden, grazie al cielo, sa che un cessate il fuoco è nemico della pace, perché consentirebbe a Hamas di continuare a governare su Gaza con la forza, con la maggior parte delle armi ancora a sua disposizione e con i suoi combattenti ancora in grado di arrecare lutti a Israele. E sa che non fare tutto il possibile per neutralizzare e sradicare Hamas significherebbe sottovalutare improvvisamente il fatto che Israele, oggi, si trova di fronte a una minaccia esistenziale, minacciata e assediata da un gruppo di terroristi che ha messo in discussione l’assunto su cui si basa la sua stessa storia: avere una terra dove gli ebrei sanno che non saranno uccisi o perseguitati solo perché sono ebrei.
Il momento in cui l’accordo nasce, in verità, nota bene il Wsj, non è negativo per Israele. La comunità internazionale è ancora dalla sua parte, tranne poche sfumature, e dal 7 ottobre a oggi è sempre stata attenta a non cadere nel tranello retorico della simmetria delle violenze ricordando sempre che differenza vi è tra un paese che corre rischi militari per salvare i suoi cittadini e un gruppo di terroristi che usa i civili palestinesi per salvare le sue milizie. Buona parte dei paesi arabi, tranne l’Iran, che in modo impunito continua e continuerà a finanziare gruppi di terroristi fino a che la comunità internazionale non gli impedirà di continuare a farlo, non ha mosso un dito per sostenere la causa di Hamas. E la stessa operazione militare di Israele indica che alcuni obiettivi sono stati ottenuti: ha assunto una posizione dominante nel nord di Gaza, ha preso il controllo di Gaza City e si prepara ora a rivolgersi a sud. Domenica, il viceconsigliere americano per la Sicurezza nazionale Jonathan Finer ha sottolineato che “è necessario più tempo prima di un’avanzata israeliana per determinare come proteggere i civili nel sud di Gaza”. Il presidente Biden ha detto che Hamas deve essere distrutto. E sarà anche suo compito ricordare che Israele ha ancora un lavoro da finire a Gaza e che “una tregua temporanea intesa a facilitare uno scambio di prigionieri non significa una fine permanente della lotta contro Hamas”. Tregua sì, cancellare il 7 ottobre anche no, grazie.
L'editoriale dell'elefantino