L'editoriale del direttore
Cosa può fare l'occidente per isolare ancora di più Hamas (aiutando i palestinesi)
Consigli oltre la tregua: accogliere i profughi per dar nuova vita non solo a Israele ma anche a tutto il popolo della Striscia di Gaza
L’accordo di tregua raggiunto tre giorni fa dai vertici di Israele e quelli di Hamas prevede, salvo ulteriori sorprese e salvo ulteriori ritardi, la creazione di un passaggio sicuro per gli aiuti umanitari e per i rifornimenti di cibo, di acqua, di medicinali e di benzina verso Gaza. Israele si è impegnato, oltre che a liberare 150 detenuti presenti dalle carceri israeliane, a non attaccare all’interno della Striscia durante il periodo della tregua, per poter riabbracciare una parte degli ostaggi (50) catturati dai terroristi di Hamas lo scorso 7 ottobre. Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, ha dichiarato mercoledì che l’Europa farà del suo meglio per sfruttare questa pausa per un’ondata umanitaria a Gaza. E su questo concetto, “sfruttare al meglio”, l’Italia potrebbe fare uno sforzo in più, in termini di creatività, per compiere un passo ulteriore nella strategia di isolamento internazionale di Hamas.
Nel comunicato scritto dieci giorni fa dai rappresentanti degli stati membri dell’Unione europea, sul conflitto in medio oriente, vi è un passaggio interessante che meriterebbe di essere sviluppato. Un passaggio in cui si invitano gli stati dell’Ue a essere pronti, dinanzi al popolo palestinese, a “collaborare strettamente con i partner internazionali, le Nazioni Unite e altre organizzazioni nonché con i paesi della regione per fornire un flusso costante di assistenza e agevolare l’accesso a cibo, acqua, cure mediche, carburante e alloggi”. L’intenzione dell’Unione europea è simmetrica a quella degli Stati Uniti, che per i palestinesi hanno già stanziato un mese fa cento milioni in aiuti umanitari per Gaza e per la Cisgiordania. L’intenzione, ovviamente, cozza con un problema oggettivo che esiste da anni nella Striscia di Gaza, dove buona parte dei finanziamenti umanitari arrivati sono stati sequestrati da Hamas per costruire tunnel, acquistare armi e trasformare Gaza in una trincea anti Israele (il 30 per cento del denaro dell’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi, ha detto Uzi Shaya, ex agente del Mossad, a Micol Flammini in un’intervista rilasciata al Foglio viene trattenuto da Hamas; e il 15 ottobre gli agenti di Hamas hanno rubato cibo e forniture mediche dai camion umanitari: la stessa Agenzia delle Nazioni Unite ha denunciato il furto in un tweet, che ha poi cancellato, anche se fonti delle Nazioni Unite hanno confermato il furto al quotidiano israeliano Walla!).
Ma l’obiettivo dell’Unione europea è corretto, va nella direzione giusta e, specie in questo momento, andrebbe assecondato. Il tema è semplice: cosa può fare l’occidente libero per sostenere il diritto di Israele a difendersi e aiutare i civili palestinesi senza rinunciare a neutralizzare e isolare Hamas? I soldi sono importanti ma non sono tutto e il Wall Street Journal, qualche giorno fa, ha offerto una suggestione che meriterebbe di essere incoraggiata. Preso atto che, in un mese e passa di guerra, tutti i paesi in teoria amici del popolo palestinese si sono ben guardati dal dare un sostegno concreto ai civili palestinesi. Preso atto che l’Egitto, che dei Fratelli musulmani non si fida, ha scelto di non aprire le sue porte ai palestinesi in fuga dalla Striscia di Gaza. Preso atto che l’Iran, principale finanziatore e fornitore di armi di Hamas, ha scelto di non muovere un dito per offrire una via di fuga agli abitanti di Gaza.
E preso atto che nessuno dei paesi che hanno offerto sostegno a Hamas, dalla Turchia al Qatar passando per la Malesia, l’Algeria, il Kuwait, ha fatto qualcosa per aiutare i palestinesi desiderosi di non diventare martiri di Hamas. Preso atto di tutto questo, scrive il Wsj, non resta che una strada ambiziosa, cruciale, spiazzante e non impossibile. Non resta, in sostanza, che imboccare un percorso preciso: spingere l’occidente ad accogliere i rifugiati di Gaza, facendo sì che i paesi di tutto il mondo accettino un numero limitato di famiglie, dalla Striscia, che hanno espresso il desiderio di trasferirsi. L’Europa, ricorda il Wsj, ha una lunga storia di assistenza ai rifugiati in fuga dai conflitti. Le guerre nell’ex Yugoslavia hanno provocato milioni di sfollati, la maggior parte dei quali dalla Bosnia-Erzegovina, e in quell’occasione Germania, Austria e Svezia accolsero migliaia e migliaia di persone. Quando scoppiò la guerra del Kosovo, poi, centinaia di migliaia di albanesi kosovari fuggirono nella vicina Albania e nella Macedonia del nord. Molti paesi europei, tra cui Germania, Svezia e Francia, hanno fornito rifugio ai siriani dall’inizio della guerra civile nel 2011. Tra il 2015 e il 2016, la sola Germania ha accolto più di 1,2 milioni di rifugiati e richiedenti asilo, circa un quarto dei quali erano siriani.
Nella Striscia di Gaza abitano circa 2,2 milioni di persone. Circa un milione di persone, nell’ultimo mese, seguendo gli avvertimenti di Israele, si è spostato da nord a sud. E avere un occidente disposto ad aiutare il popolo di Gaza sarebbe il modo più semplice, più veloce, più giusto per aiutare il popolo palestinese a raggiungere lo stesso obiettivo di Israele: eliminare Hamas dando un futuro non solo al popolo ebraico ma anche a quello palestinese. “Abbiamo semplicemente bisogno – sostiene il Wsj, dando voce a un’idea di due importanti analisti americani, Mark Dubowitz e Jonathan Schanzer – che una manciata di nazioni del mondo condividano la responsabilità di ospitare i residenti di Gaza. Anche se i paesi accogliessero solo 10 mila persone ciascuno, ciò aiuterebbe ad alleviare la crisi”. Con i palestinesi e non contro Israele. E contro Hamas. Il momento è giusto: che aspettiamo per isolare Hamas?