la testimonianza
I messaggi del 7 ottobre dal kibbutz Holit: “Venite a salvarci”
Giulia Temin, nata e cresciuta a Milano, racconta il terrore nelle chat, dopo gli attacchi di Hamas: "Abbiamo letto le richieste di aiuto senza poter fare nulla per aiutarli. Terrificante"
“Venite a salvarci”. All’alba del Sabato Nero, il 7 ottobre, Giulia Temin ha vissuto il terrore di Hamas attraverso le notifiche del gruppo whatsapp del kibbutz Holit, dove lei a 19 anni è andata a vivere da volontaria e si è innamorata dei paesaggi, della vita agricola, della comunità e poi dell’uomo che è diventato suo marito. “Li sentiamo dentro casa”. Dentro una comunità di 54 famiglie che vivevano vicino al confine con l’Egitto e Gaza. Quel sabato avrebbe dovuto andare anche lei a Holit, dove una comunità pacifica aveva costruito un’oasi agricola nel deserto del Negev circondata da alberi di limone. E invece è rimasta a Tel Aviv con il marito e il figlio perché il destino è segnato da piccole scelte, talvolta banali, che possono fare la differenza fra la vita e la morte, soprattutto se si vive in Israele.
“Quando arriva l’esercito?”. Giulia Temin, nata e cresciuta a Milano, ha letto minuto dopo minuto, ora dopo ora, tutto quello che stava accadendo ai suoceri, agli amici, ai parenti. E ce lo ha raccontato nel salotto della casa dei suoi genitori, poche ore prima di tornare in Israele con il figlio per provare a superare il trauma. Il suocero gestiva un piccolo gruppo di cinque persone che dovevano garantire la sicurezza del kibbutz nelle emergenze insieme all’amico Avi, il cui corpo è stato trovato qualche giorno dopo. Davanti ai tanti terroristi di Hamas, è rientrato in casa per proteggere la moglie. “I miei genitori sono feriti, hanno sparato alla mia sorellina, venite ad aiutarci”. Giulia ricostruisce quella giornata infernale avvenuta nella sua seconda casa, dove era stata pochi giorni prima a un evento per bambini. “Hanno tolto l’elettricità e tutti si sono trovati al buio dentro le stanze di sicurezza, dentro case che erano state incendiate e da dove mandavano messaggi disperati di aiuto. Anche noi eravamo nel mamad, la stanza sicura che molti israeliani hanno in casa, dopo l’allarme scattato all’alba, a leggere le richieste di aiuto senza poter fare nulla per aiutarli. Terrificante”.
Così ha saputo che qualcuno ha avvisato Shir, sua cognata, che la casa della vicina stava andando a fuoco: lei è uscita a piedi nudi con due coltelli ed è riuscita a trascinare fuori la vicina, svenuta. “La mia amica Adi, un figlio di sei mesi e uno di 4 anni, è stata ammazzata mentre cercava di proteggere i suoi figli. Quando ha smesso di rispondere pensavamo avessero rapito anche lei, ma più tardi è stato riconosciuto il suo corpo”. I terroristi di Hamas hanno portati fuori i bimbi e li hanno filmati, li hanno obbligati a pregare Allah, prima di dargli acqua da bere. Li hanno messi nelle braccia di una vicina e portati a Gaza, a piedi. “Poi l’hanno lasciata andare e filmata di nuovo mentre tornava indietro per mostrare una falsa magnanimità”. A Holit sono state uccise 15 persone e hanno preso come ostaggi una famiglia di beduini che lavorava nel kibbutz perché i terroristi non facevano alcuna distinzione.
Poi Giulia, architetto, cerca di ricordare le storie di tutti quelli che sono stati uccisi. Storie che ha raccontato più e più volte agli amici per elaborare i multipli lutti, perché sapessero, per non dimenticare. Come un anziano di 92 anni, sopravvissuto alla Shoah. O una coppia di musicisti che hanno salvato il figlio di 7 anni nascosto nell’armadio. Una sequenza dell’orrore che ha visto crescere su whatsapp e poi visto nei loro occhi, dopo che i superstiti sono stati trasferiti in un’altra località. Profughi. “Ora stanno tutti insieme perché è nella forza della comunità che possono riuscire a superare lo choc”.
Nel pomeriggio il marito, biologo è andato nella stanza e ha cominciato a preparare lo zaino per andare a combattere, come tutti i riservisti. “Poteva fare solo quello per restare calmo, pensare alla sopravvivenza”. Giulia è tornata in Italia, e oltre al trauma, il marito in guerra, ha sofferto anche il dolore per via di tanti amici che sono rimasti silenti. “Un silenzio che fa male perché è quello di chi pensa di giustificare quello che ci hanno fatto”. L’orrore che lei ha visto in diretta fra le righe di tanti messaggi disperati di whatsapp. Giulia Temin è stata per mesi nelle strade a protestare contro il governo e sa che poi si dovranno fare i conti con chi non ha saputo proteggerli. Prima, però, deve farli con tutto quello che il 7 ottobre è andato perduto e non tornerà più.