Perché ora sono cristiana
Nel 2001, dopo l’11 settembre, è stato più facile prendersela con gli errori dell’America che pensare di essere di fronte a una guerra di religione: oggi è lo stesso con Israele. L’occidente minacciato e le radici che lo terranno saldo e unito. Libertà, democrazia, femminismo: la lezione di Ali
Nel 2002, ho trovato una lezione del 1927 di Bertrand Russell intitolata: “Perché non sono un cristiano”. Mentre la leggevo, non mi è mai passato per la mente che un giorno, quasi un secolo dopo quella lezione a Londra, alla National Secular Society, mi sarei ritrovata a scrivere un saggio dal titolo esattamente contrario. L’anno precedente avevo condannato pubblicamente gli attacchi terroristici di 19 uomini che avevano dirottato degli aerei di linea e li avevano fatti schiantare contro le torri gemelle a New York. Avevano agito in nome della mia religione, l’islam. Ero musulmana all’epoca, anche se non praticante. Se condannavo le loro azioni, questo cosa significava per me? Il principio sottostante che giustificava gli attacchi era, dopotutto, religioso: l’idea del jihad, della guerra santa contro gli infedeli. Era possibile, per me come per molti membri della comunità musulmana, distanziarmi semplicemente da quell’attacco e dai suoi risultati terrificanti?
In quel momento, c’erano molti leader occidentali – politici, studiosi, giornalisti ed esperti – che insistevano sul fatto che i terroristi erano motivati da ragioni diverse da quelle espresse chiaramente da loro e dal loro leader Osama Bin Laden. Così l’islam aveva un alibi.
Questo tentativo di scusarli non era soltanto accondiscendente nei confronti dei musulmani. Dava anche a molti occidentali la possibilità di rannicchiarsi nel negazionismo. Prendersela con gli errori di politica estera degli Stati Uniti era più facile che contemplare la possibilità che fossimo di fronte a una guerra religiosa. Abbiamo assistito a una tendenza simile nelle ultime settimane: milioni di persone simpatizzanti con i cittadini di Gaza hanno cercato di giustificare gli attacchi terroristici del 7 ottobre come una risposta alle politiche del governo israeliano.
Quando lessi la lezione di Russell, la mia dissonanza cognitiva iniziò ad alleviarsi. Fu un sollievo poter adottare un atteggiamento scettico nei confronti della dottrina religiosa, abbandonare la mia fede in Dio e dichiarare che non esisteva alcuna entità del genere. Meglio ancora, potevo rifiutare l’esistenza dell’inferno e il pericolo della punizione eterna.
L’affermazione di Russell secondo cui la religione si basa principalmente sulla paura risuonò dentro di me. Avevo vissuto troppo a lungo nel terrore di tutte le orribili punizioni che mi aspettavano. Mentre avevo abbandonato tutte le ragioni razionali per credere in Dio, la paura irrazionale del fuoco dell’inferno era ancora presente. La conclusione di Russell era quindi un sollievo: “Quando muoio, marcirò”.
Per capire perché sono diventata atea vent’anni fa, dovete prima capire che tipo di musulmana ero stata. Ero adolescente quando i Fratelli musulmani penetrarono nella mia comunità a Nairobi, in Kenya, nel 1985. Non credo di aver mai compreso la pratica religiosa prima dell’arrivo dei Fratelli. Avevo sopportato i rituali delle abluzioni, delle preghiere e del digiuno ritenendoli noiosi e senza scopo.
I predicatori dei Fratelli musulmani cambiarono tutto. Articolarono una direzione: la retta via. Uno scopo: lavorare per l’ammissione nel paradiso di Allah dopo la morte. Un metodo: il manuale d’istruzioni del Profeta sui doveri e sui divieti – l’haram e l’halal. Come supplemento dettagliato al Corano, gli hadith spiegavano come mettere in pratica la differenza tra giusto e sbagliato, tra bene e male, tra Dio e il diavolo.
I predicatori dei Fratelli non lasciavano nulla all’immaginazione. Ci diedero una scelta. Sforzarsi di vivere secondo le regole del Profeta e raccogliere le gloriose ricompense nell’aldilà. Su questa terra, nel frattempo, il più grande risultato possibile era morire da martiri per il bene di Allah.
Al contrario, indulgere nei piaceri del mondo significava attirarsi l’ira di Allah e condannarsi a una vita eterna nel fuoco dell’inferno. Alcuni dei “piaceri mondani” che essi condannavano includevano leggere i romanzi, ascoltare la musica, il ballo e andare al cinema – ero imbarazzata ad ammettere che adoravo il cinema.
La qualità più sorprendente dei Fratelli musulmani era la capacità di trasformare me e i miei coetanei da credenti passivi in attivisti, quasi dall’oggi al domani.
Gli anni con i Fratelli musulmani, le istruzioni del Profeta e l’odio speciale riservato agli ebrei. “L’unica risposta credibile” alle minacce che incombono sulla civiltà occidentale sta “nel nostro desiderio di difendere l’eredità della tradizione giudaico-cristiana”
Non dicevamo solamente cose o pregavamo per qualcosa: facevamo qualcosa. Noi ragazze indossavamo il burka e avevamo rinunciato alla moda e al trucco occidentali. I ragazzi coltivavano la loro barba il più possibile. Indossavano il tradizionale abito bianco, simile a un vestito, indossato nei paesi arabi o facevano accorciare i pantaloni sopra le caviglie. Operavamo in gruppo e offrivamo volontariamente i nostri servizi ai poveri, agli anziani, ai disabili e ai deboli. Esortavamo i musulmani a pregare e chiedevamo ai non-musulmani di convertirsi all’islam.
Durante le sessioni di studio islamico, condividevamo con il predicatore responsabile della sessione le nostre preoccupazioni. Per esempio, cosa dovevamo far con gli amici che amavamo e ai quali eravamo fedeli, ma che rifiutavano di accettare la nostra dawa (l’invito alla fede)? In risposta, ci veniva ricordata continuamente la chiarezza delle istruzioni del Profeta. Ci veniva detto senza mezzi termini che non potevamo essere fedeli ad Allah e Maometto se mantenevamo anche amicizia e lealtà verso gli increduli. Se essi rifiutavano esplicitamente la nostra chiamata all’islam, dovevamo odiarli e maledirli.
Qui, un odio speciale era riservato per una categoria particolare di increduli: gli ebrei. Maledivamo gli ebrei più volte al giorno e esprimevamo orrore, disgusto e rabbia per la lista di presunte offese che avevano perpetrato. L’ebreo aveva tradito il nostro Profeta. Aveva occupato la Santa Moschea di Gerusalemme. Continuava a diffondere corruzione nel cuore, nella mente e nell’anima.
A questo punto, a chi aveva attraversato una formazione religiosa del genere, l’ateismo sembrava parecchio allettante. Bertrand Russell offriva una via di fuga semplice e senza costi da una vita insopportabile di auto-negazione e molestie verso gli altri. Per lui, non c’era una prova credibile dell’esistenza di Dio. Russell argomentava che la religione era radicata nella paura: “La paura è la base di tutto – paura dell’oscuro, paura della sconfitta, paura della morte”.
Diventando atea, pensavo di perdere quella paura. Ho trovato anche un nuovo gruppo di amici, completamente diverso dai predicatori dei Fratelli musulmani. Più trascorrevo tempo con loro – persone come Christopher Hitchens e Richard Dawkins – più mi sentivo sicura di aver fatto la scelta giusta. Gli atei erano intelligenti. Erano anche molto divertenti.
E allora, cosa è cambiato? Perché ora mi definisco cristiana?
Parte della risposta è globale. La civiltà occidentale è minacciata da tre forze diverse ma correlate: la rinascita dell’autoritarismo delle grandi potenze e dell’espansionismo sotto forma del Partito comunista cinese e della Russia di Vladimir Putin; la crescita dell’islamismo globale, che minaccia di mobilitare una vasta popolazione contro l’occidente; e la diffusione virale dell’ideologia woke, che sta minando la fibra morale della prossima generazione.
Cerchiamo di respingere queste minacce con strumenti moderni e laici: militari, economici, diplomatici e tecnologici per sconfiggere, corrompere, persuadere, placare o sorvegliare. Eppure, a ogni round di conflitti, perdiamo terreno. O stiamo esaurendo le risorse finanziarie – il nostro debito nazionale è di decine di trilioni di dollari – o stiamo perdendo il nostro vantaggio nella corsa tecnologica con la Cina.
Ma non possiamo combattere queste formidabili forze a meno che non riusciamo a rispondere alla domanda: cosa ci unisce? La risposta “Dio è morto!” sembra insufficiente. Anche il tentativo di trovare conforto nell’“ordine internazionale liberale basato sulle regole” sembra inadeguato. L’unica risposta credibile, credo, risiede nel nostro desiderio di difendere l’eredità della tradizione giudaico-cristiana.
Questa eredità consiste in un elaborato insieme di idee e istituzioni progettate per salvaguardare la vita umana, la libertà e la dignità: dallo stato-nazione e lo stato di diritto alle istituzioni della scienza, della salute e dell’apprendimento. Come ha dimostrato Tom Holland nel suo meraviglioso libro “Dominion”, tutte le libertà apparentemente secolari – del mercato, di coscienza e di stampa – hanno le loro radici nel cristianesimo.
Così, ho capito che Russell e i miei amici atei confondevano il dito con la luna. La luna è la civiltà costruita sulla tradizione giudaico-cristiana; è la storia dell’occidente, difetti compresi. La critica di Russell alle contraddizioni nella dottrina cristiana è seria, ma è anche troppo limitata nel suo campo d’azione.
Per esempio, tenne quella sua lezione in una stanza piena di (ex o almeno dubitanti) cristiani in un paese cristiano. Pensate a quanto fosse una cosa unica quasi un secolo fa e a quanto questo sia ancora raro nelle civiltà non occidentali. Un filosofo musulmano potrebbe tenere un discorso davanti a qualsiasi uditorio di un paese musulmano – allora come oggi – una conferenza dal titolo “Perché non sono un musulmano”? Un libro con quel titolo esiste, lo ha scritto un ex musulmano. Ma l’autore lo ha pubblicato in America con lo pseudonimo Ibn Warraq. Sarebbe stato troppo pericoloso fare diversamente.
Per me, questa libertà di coscienza e di parola è forse il più grande beneficio della civiltà occidentale. Non è una cosa che viene naturale agli esseri umani, ma è il prodotto di secoli di dibattito all’interno delle comunità ebraiche e cristiane. Sono stati questi dibattiti che hanno promosso la scienza e la ragione, hanno diminuito la crudeltà, soppresso le superstizioni e costruito istituzioni per ordinare e proteggere la vita, garantendo la libertà al maggior numero possibile di persone. A differenza dell’islam, il cristianesimo ha superato la sua fase dogmatica. E’ diventato sempre più chiaro che l’insegnamento di Cristo implicava non soltanto un ruolo circoscritto per la religione come una cosa separata dalla politica, ma implicava anche compassione per il peccatore e umiltà per il credente.
Eppure non sarei sincera se attribuissi la mia adesione al cristianesimo solamente al fatto che ho realizzato che l’ateismo è una dottrina troppo debole e divisiva per fortificarci contro le minacce dei nostri nemici. Mi sono rivolta al cristianesimo anche perché alla fine ho trovato insopportabile la vita senza alcun sollievo spirituale – quasi autodistruttiva. L’ateismo non è riuscito a rispondere a una domanda semplice: qual è il significato e lo scopo della vita?
Russell e altri attivisti atei credevano che con il rifiuto di Dio saremmo entrati in un’era della ragione e dell’umanesimo intelligente. Ma il “vuoto di Dio” – il vuoto lasciato dal ritiro della chiesa – è stato semplicemente riempito da un groviglio di dogmi quasi religiosi irrazionali. Il risultato è un mondo in cui culti moderni sfruttano le masse, offrendo loro motivazioni fasulle per l’esistenza e l’azione, principalmente impegnandosi in un teatro di virtue signalling in nome di una minoranza vituperata o del nostro presunto pianeta condannato. La frase spesso attribuita a G.K. Chesterton si è trasformata in una profezia: “Quando gli uomini scelgono di non credere in Dio, non credono più in nulla, diventano capaci di credere in qualsiasi cosa”.
In questo vuoto nichilista, la sfida che abbiamo davanti diventa civile. Non possiamo resistere alla Cina, alla Russia e all’Iran se non possiamo spiegare alle nostre popolazioni perché è importante farlo. Non possiamo contrastare l’ideologia woke se non possiamo difendere la civiltà che essa è determinata a distruggere. E non possiamo contrastare l’islamismo con strumenti puramente secolari. Per conquistare i cuori e le menti dei musulmani qui in occidente, dobbiamo offrire loro qualcosa di più dei video su TikTok.
La lezione che ho imparato dai miei anni con i Fratelli musulmani è stata la potenza di una storia unificante, inserita nei testi fondamentali dell’islam, per attrarre, coinvolgere e mobilitare le masse musulmane. A meno che non offriamo qualcosa di altrettanto significativo, temo che l’erosione della nostra civiltà continuerà. E fortunatamente, non c’è bisogno di cercare qualche nuova concezione new age di farmaci e meditazione. Il cristianesimo ha tutto.
Per questo motivo, non mi considero più un’apostata musulmana, ma un’atea inattiva. Naturalmente, ho ancora molto da imparare sul cristianesimo. Scopro un po’ di più in chiesa ogni domenica. Ma ho riconosciuto, nel mio lungo viaggio attraverso una selva di paura e dubbio, che c’è un modo migliore per affrontare le sfide dell’esistenza rispetto a ciò che l’islam o l’incredulità avevano da offrire.
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Ayaan Hirsi Ali è nata a Mogadiscio nel 1969, ha la cittadinanza olandese ma vive da diversi anni negli Stati Uniti. Scrittrice e attivista che si batte per i diritti umani e per i diritti delle donne, il suo ultimo libro, non ancora tradotto in italiano, è “Prey. Immigration, islam and the Erosion of Women’s Right”.