Propaganda vip
I bot russi sfruttano celebrities (false) per sabotare gli aiuti all'Ucraina
Cristiano Ronaldo dice: basta con i finanziamento a Kyiv. E' tutto costruito da due aziende tech russe. Il voto al Congresso americano c'è davvero, la settimana prossima, e dipende da un accordo che vuole il Partito repubblicano
Basta con i finanziamenti all’Ucraina, te lo dice Cristiano Ronaldo. L’offensiva russa per spezzare l’unità occidentale a sostegno di Kyiv in particolare in America si nutre da novembre anche di una campagna propagandistica online in cui delle celebrities (false) sostengono che aiutare l’Ucraina nella difesa dall’aggressione russa è un errore: un falso Ashton Kutcher dice di mandare il presidente ucraino Volodymyr Zelensky in una rehab; un falso Cristiano Ronaldo dice che gli ucraini “si comportano come dei ciarlatani e noi continuiamo a pagare”; una falsa Beyoncé è diventata esperta di sabotaggi ed è certa che siano stati gli americani a fare un buco nel gasdotto Nord Stream; una falsa Angelina Jolie dice che il suo sostegno all’Ucraina è finito quando ha scoperto che la first lady, Olena Zelenska, è coinvolta nel traffico di bambini; una falsa Cameron Diaz dice che “morte e razzie” sono il risultato del sostegno all’Ucraina.
L’elenco dei Doppelgänger è lungo, le card girano in tedesco, inglese e francese su Meta e su X: su Facebook sono lanciate con l’aiuto di avvisi a pagamento quindi – scrive The Insider che ha analizzato i dati raccolti da Bot Blocker e altri siti di monitoraggio – ci sono dei guadagni per Meta. Su Meta la campagna è iniziata nei primi giorni di novembre, su X da una settimana e dietro ai bot ci sarebbero National Technologies e Social Design Agency, due società tecnologiche russe sotto sanzioni dell’Unione europea, che hanno costruito altre offensive cyber, in particolare una tutta di donne che pubblicizzano un sito (falso) di sex worker ucraine in Europa.
E’ tutto falso, e The Insider dice rassicurante che si tratta di dichiarazioni e di riferimenti così poco credibili che è difficile cascarci, ma è una speranza e non una certezza. Anche perché la campagna si inserisce in un momento estremamente delicato nel dibattito pubblico – e nelle cancellerie – per la fermezza del sostegno all’Ucraina. In Europa c’è l’ostilità del sempre meno convincibile premier Viktor Orbán, negli Stati Uniti c’è una parte corposa del Partito repubblicano al Congresso che ha declassato l’aggressione di Putin a un conflitto di serie B – è evidente che la Russia se ne sta approfittando: il presidente russo ha utilizzato il collegamento al vertice del G20 per evocare una pace che non vuole (e che soprattutto non fa) per far abboccare gli occidentali “stanchi” e nei giorni successivi ha ricominciato a fare attacchi missilistici imponenti, come quello che ha colpito Kyiv sabato.
La prossima settimana dovrebbe tenersi al Senato americano il voto sull’assistenza all’Ucraina, a Israele e a Taiwan (circa 100 miliardi di dollari) richiesta dal presidente, Joe Biden. Il leader dei democratici al Senato, Chuck Schumer, ha scritto ai senatori del suo partito di prepararsi a una settimana di nottate a negoziare con i repubblicani che non daranno il loro consenso agli aiuti all’estero se non ci sono anche fondi destinati alla sicurezza del confine sud degli Stati Uniti: ancora una volta il destino degli ucraini è, per il Partito repubblicano, subordinato a una propria priorità nazionale. Melinda Haring, ricercatrice presso il centro sull’Eurasia dell’Atlantic Council, ha spiegato di aver guardato i voti passati sull’Ucraina di tutti i parlamentari americani e di essere ottimista: sono 35 i superiluttanti. Se si vota, il pacchetto di aiuti passa, sostiene l’esperta, ma bisogna arrivarci, in aula – bisogna vedere a che punto del loro cinismo i repubblicani piazzano la barra del sostegno a Kyiv.