L'analisi
Così al Qaida fa leva sul sostegno a Hamas per ringalluzzirsi
La questione palestinese ha sempre fatto parte dell'agenda dell'organizzazione terroristica, che ora esorta i suoi affiliati a unirsi al jihad nel tentativo di rinvigorire la sua base
“Aiutare Gaza e lottare per la libertà di al Aqsa è dovere di ogni musulmano”. Il maulana Muhammad Muthana Hassan, ideologo di al Qaida nel subcontinente indiano (Aqis), rompe un silenzio durato più di sei anni per rilasciare una dichiarazione in urdu ai suoi seguaci e a tutti i musulmani di buona volontà. Nelle undici pagine pubblicate (la sintesi non è mai stata prerogativa degli ideologhi jihadi), Hassan affronta il tema della guerra in corso tra Israele e Hamas: elogiando i fratelli di Gaza per la brillante operazione del 7 ottobre, criticando la comunità internazionale per il mancato sostegno ai palestinesi, chiamando alle armi i giovani musulmani che vivono tra Pakistan e Afghanistan e invitando i musulmani che vivono in occidente a compiere attentati in risposta al sostegno occidentale alle operazioni militari israeliane. Il delirio ideologico di Hassan è soltanto l’ultimo in ordine di tempo di una serie di comunicati inviati dalla data-per-spacciata al Qaida dopo il 7 ottobre.
La leadership del gruppo ha celebrato l’attacco di Hamas come un trionfo storico per il jihad globale, un trionfo che mette a nudo le vulnerabilità occidentali e israeliane. In una dichiarazione congiunta rilasciata online, i rami di al Qaida in Nord Africa e in Africa occidentale, rispettivamente al Qaida nel Maghreb islamico (Aqim) e il Gruppo per il sostegno dell’islam e dei musulmani (Jnim), avevano già elogiato l’assalto palestinese a Israele incoraggiando non solo Hamas ma anche “i leoni della Cisgiordania” a “continuare, stringendo i denti con pazienza, sulla strada del jihad” e a “portare a termine ciò che avete iniziato”, prima di invitare tutti i musulmani del mondo a sostenere attivamente la causa palestinese. E anche Hurras al Din, il braccio di al Qaida in Siria, ha esortato i suoi affiliati, e i musulmani tutti, a unirsi al jihad dei fratelli palestinesi. La posizione “espansionista” e la tentazione di al Qaida di riaffermare il suo ruolo nel jihad globale sfruttando l’operazione di Hamas è stata rafforzata anche dalle adesioni all’agenda dell’organizzazione da parte di gruppi del Maghreb islamico: Jamaat Nusrat al Islam wal-Muslimin e al Shabaab. D’altra parte, se è vero che al Qaida e Hamas divergono su affiliazioni, tattiche e obiettivi e che le tensioni e gli scontri tra i due gruppi sono di lunga data, è vero anche che il rapporto tra si è gradualmente evoluto, passando attraverso fasi di cooperazione oltre che di conflitto. Al centro di questa relazione c’è un delicato equilibrio tra pragmatismo strategico e l’impegno intransigente di entrambi verso i principi ideologici.
Soprattutto, come hanno ricordato al mondo le centinaia di studenti che su Tik Tok lodavano la famigerata “lettera all’America” di Osama bin Laden, la cosiddetta “questione palestinese” ha sempre fatto parte anche dell’agenda di al Qaida, che fa leva adesso sulla causa per raccogliere consensi, rinvigorire la sua base e rafforzarsi a livello internazionale. Il ritorno dei talebani a Kabul ha dato nuovo vigore alle operazioni di al Qaida in Afghanistan: i campi di addestramento del gruppo sono ora operativi in cinque province; nel Nuristan, si addestrano attivamente nuovi attentatori suicidi. Non solo. Afghan Peace Watch, un’organizzazione di ricerca indipendente, ha riferito che le armi americane abbandonate durante la ritirata del 2021 sono state ritrovate nella Striscia di Gaza, nel Kashmir indiano e in Pakistan. Il presidente della commissione Affari esteri del Congresso americano, Mike McCaul, ha dichiarato di avere “indicazioni che i talebani vogliono liberare Gerusalemme per combattere i sionisti”. I leader di al Qaida e Hamas erano stati tra i primi a congratularsi con i talebani per la loro vittoria nel 2021. Il leader di Hamas Ismail Haniyeh aveva telefonato ad Abdul Ghani Baradar per dirgli che la fine dell’“occupazione” americana era “un preludio alla scomparsa di tutte le forze di occupazione, prima fra tutte l’occupazione israeliana della Palestina”.
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