X e l'elezioni americane
Così Elon Musk è diventato il megafono dei complottisti contro Biden
Il tweet antisemita che ha causato il fuggi-fuggi di inserzionisti è solo l'ultima teoria delirante sostenuta dal proprietario di X (fu Twitter)
“Lo consideriamo un posto sempre più ostile”, ha detto a Politico Rob Flaherty, vicedirettore della campagna per la rielezione di Joe Biden alla Casa Bianca. L’oggetto della discussione è X, l’ex Twitter, un social network che negli ultimi dieci anni è diventato il mezzo preferito da politici, giornalisti, policy-maker, lobbyisti e attivisti. Ora non più, e la colpa sarebbe solo in parte della trasformazione in corso nel panorama social, soprattutto a causa dell’ascesa di TikTok: oggi il sito sembra diverso, meno popolato e meno vivo, e oggetto di scorribande di troll ed estremisti, che siano bot o umani. “All’inizio era un posto utile per comunicare con le élite e i reporter e le persone molto informate”, ha spiegato Flaherty, che ha sottolineato l’importanza delle sottoculture legate alle minoranze (come il Black Twitter o il Latino Twitter). Al loro posto, secondo il bideniano, oggi rimarrebbero “un sacco di attori d’estrema destra e di disinformazione”. Una dichiarazione che segnala la spaccatura in corso tra i democratici e l’attuale gestione di X, nel pieno di un periodo particolarmente conflittuale per il suo proprietario Elon Musk, che negli ultimi giorni ha condiviso un tweet su una vecchia bufala antisemita, causando un fuggi-fuggi di inserzionisti di rilievo, per poi mandarli letteralmente a quel paese (“Go. Fuck. Yourself”) in un evento dal vivo del New York Times.
Prima di questa apoteosi, negli ultimi giorni, Musk aveva anche condiviso un meme che sembrava appoggiare una delle più folli teorie cospiratorie, il cosiddetto “Pizzagate”, secondo il quale alcuni democratici di rilievo (tra cui Hillary Clinton) si ritroverebbero nei dungeon oscuri di una pizzeria di Washington per chissà quali riti demoniaci. Una panzana che in qualche modo ha anticipato le ossessioni di un’altra teoria, QAnon, e che già nel 2016 ispirò la sparatoria di un giovane estremista, che si recò armato nella pizzeria in questione.
Come si è arrivati a questo? Secondo la ricostruzione dell’esperto di disinformazione Matt Binder, Musk avrebbe visto un’immagine su X che ritraeva un finto articolo del New York Post sull’arresto di un giornalista di ABC per possesso di materiale pedopornografico. Secondo la bufala, il suddetto giornalista aveva “smontato” il caso Pizzagate (cosa non vera) e il suo arresto avrebbe confermato il fondamento di verità dell’assurda teoria. Un cortocircuito interessante per diversi motivi: innanzitutto perché certifica la vicinanza di Musk a una rete di influencer cospirazionisti e d’estrema destra, che spesso ritwitta dando loro enorme risonanza; in secondo luogo, perché dimostra come la disinformazione su X sia ormai così endemica da arrivare al suo stesso proprietario, ormai incapace di staccarsi dalla realtà parallela che ha contribuito a creare.
Un fenomeno in corso ormai da anni, che non è cominciato con la recente acquisizione di Twitter. Un articolo di Bloomberg ha ricostruito gli ultimi tre anni del capo di Tesla, notando come la sua radicalizzazione sia iniziata – almeno pubblicamente – con la pandemia: nel maggio del 2020, Musk twittò il famigerato “Prendi la pillola rossa”, un messaggio in codice (ispirato al film “Matrix”) con cui si indica l’abbandono della realtà proposta dai media mainstream, della cosiddetta “versione ufficiale”. Nei mesi successi, Musk cominciò a propagare bugie sul Covid-19, le mascherine, i vaccini e l’utilità dei lockdown e delle restrizioni; e strinse legami con personalità come Ian Miles Cheong, che si occupa della violenza dei neri e del disagio di San Francisco, con cui ha cominciato a scambiarsi commenti e retweet. Da allora, l’attivista di destra scrive al capo di X e lo aiuta nelle sue crociate, come quella di pochi giorni fa contro Wikipedia, accusata di essere “woke”. Tanti episodi che fungono da preludio al “meltdown” di mercoledì, quando Musk è apparso teso e stanco al cospetto di Andrew Ross Sorkin del New York Times, per poi mandare al diavolo gli inserzionisti.
Musk ha due fronti aperti: il primo è culturale, fatto di accuse alla società “woke”, ad attacchi a Wikipedia e al politicamente corretto; il secondo è politico e passa anche per la querela fatta all’organizzazione Media Matters che ha denunciato pubblicamente il dilagare di contenuti antisemiti e razzisti su X, facendo scappare gli sponsor. La causa è ora nelle mani di Reed O’Connor, giudice texano di simpatie repubblicane che potrebbe, come scrive Vox, appellarsi al Quinto circuito della Corte d’Appello, “dominato da membri appuntati da Trump”.
Sarà anche per questo che la campagna di Biden ha smesso di pagare inserzioni pubblicitarie su X e il mese scorso ha aperto un canale ufficiale su Threads, l’anti-Twitter di Meta. Nonostante tutto, però, Biden e la Casa Bianca continuano a postare su X, confermando quanto sia difficile trovare un sostituto al social network, anche se chi lo controlla ti è “sempre più ostile”.