Le risposte giuste
Non è “la guerra in Ucraina”, è la guerra contro tutti noi. E Putin la vince se glielo consentiamo noi
L'Economist mette in copertina la domanda: Putin sta vincendo? La risposta breve, la risposta esatta e ciò cui dovrebbe badare l'Europa invece che discutere delle presunte liti a Kyiv o farsi ricattare dall'Ungheria
Putin sta vincendo?, chiede l’Economist sulla sua ultima copertina. Risposta breve: no. Risposta esatta: no, se l’occidente non gli consente di vincere.
Il presidente russo ha costruito una macchina della guerra – militare, economica, sociale – fatta per durare nel tempo. L’Ucraina gli ha tolto l’illusione della guerra breve nel giro di pochissimo tempo – con enorme stupore dell’occidente che non aveva capito nulla della Russia ma ancora meno dell’Ucraina – ma lui si è organizzato per la guerra lunga perché sa che la vulnerabilità degli alleati di Kyiv è proprio la durata: non è tanto o solo il logoramento sul campo a indebolire il fronte occidentale (sul campo ci sono gli ucraini, il costo umano è tutto e soltanto sostenuto dagli ucraini), quanto il logoramento in senso ampio che ha a che fare con i soldi spesi per sostenere la causa democratica, con le opinioni pubbliche facilmente distraibili, con l’alternanza nelle leadership – cioè con l’essenza stessa della vita democratica. La sfida di Putin è esistenziale a livello globale: quanto le democrazie sapranno resistere all’assedio brutale e ideologico? Lui dice: poco, comunque meno di me. Se noi lasciamo che la sciagurata retorica della stanchezza diventi strategia, allora avrà ragione lui, avrà vinto lui, non soltanto in Ucraina, ma contro tutti noi.
Nel 2024, la Russia avrà più droni (grazie all’Iran) e munizioni (grazie alla Corea del nord) perché l’esercito russo ha sviluppato una maggiore resistenza alle armi ucraine e perché Putin non ha problemi a sacrificare i suoi soldati (secondo l’intelligence britannica, oggi muoiono 931 russi ogni giorno ad Adviika; erano 776 nei giorni peggiori della battaglia di Bakhmut). L’Economist scrive che “il piano occidentale per contenere le entrate petrolifere russe limitando il prezzo del greggio a 60 dollari al barile è fallito perché è emersa una struttura commerciale parallela oltre l’occidente: il prezzo del greggio degli Urali dalla Russia è di 64 dollari, in crescita di quasi il dieci per cento dall’inizio del 2023”. Putin ha anche rafforzato la posizione interna perché i russi si sono abituati alla guerra e perché gli uomini d’affari e i centri del potere economico continuano a fare soldi, grazie al fatto che le sanzioni contro i paesi che eludono le sanzioni non sono state approvate (guardate il traffico dalla Turchia e dal Kazakistan).
Come è evidente: la Russia regge perché noi glielo consentiamo. Da mesi ci perdiamo in discussioni sulla controffensiva che non funziona (senza ricordare mai che la flotta russa nel Mar Nero è stata mezza distrutta), sulle presunte liti dentro la leadership di Kyiv, sulla presunta incapacità di gestire il fronte mediorientale assieme a quello dell’est Europa, e intanto non firmiamo i contratti per produrre munizioni, non consegniamo i Taurus, non riusciamo a fornire il migliaio di carri armati l’anno necessari né i duecento F-16 promessi quest’estate, mentre sottostiamo ai ricatti dell’Ungheria dentro l’Unione europea (Ungheria che senza l’Ue fallirebbe), a quelli dei trumpiani dentro il Congresso americano e prendiamo per vere le “aperture” di Mosca a un negoziato per una pace che non vuole.
Putin non mette fine all’aggressione se non lo costringiamo noi continuando a difenderci, così come Putin non vince se non glielo consentiamo noi.
L'editoriale dell'elefantino