A Bruxelles
All'Ue serve un piano B per sostenere l'Ucraina. Tre strade
Kyiv è incastrata nella matassa degli interessi contrapposti di Bruxelles. Sulle possibile alternative pesano il veto di Orbán e le risorse limitate dei 27
La determinazione dell’Unione europea e dei suoi stati membri nel sostenere l’Ucraina nella guerra lanciata dalla Russia non passa solo dalla decisione di avviare i negoziati di adesione. Nel Consiglio europeo del 14 e 15 dicembre, i capi di stato e di governo devono anche risolvere il nodo dei fondi da mettere a disposizione di Kyiv per pagare stipendi e pensioni e finanziare altre spese urgenti (ma non le armi). La Commissione ha proposto 50 miliardi di euro (17 miliardi di sovvenzioni e 33 miliardi di prestiti) per i prossimi quattro anni nell’ambito di un pacchetto più ampio per la revisione del bilancio pluriennale dell’Ue. Come sui negoziati di adesione, il principale ostacolo è l’Ungheria di Viktor Orbán. Il premier ungherese ha accusato l’Europa di “sprecare soldi per inviare armi e denaro all’Ucraina” invece di concentrarsi sui problemi economici interni. Ma Orbán non è l’unico responsabile. Il gruppo dei paesi frugali, pur essendo favorevole agli aiuti all’Ucraina, è contrario a mettere mano al portafoglio per trasferire alla Commissione risorse aggiuntive. Alcuni paesi del sud – tra cui l’Italia – insistono per legare gli aiuti all’Ucraina a un accordo sui nuovi fondi per le politiche migratorie o gli investimenti. La Germania, la cui posizione è decisiva, è paralizzata dalla sentenza della Corte costituzionale sul fondo per la transizione climatica. “L’assistenza macrofinanziaria dell’Ue è vitale”, spiega al Foglio una fonte di Kyiv: “A marzo l’Ucraina potrebbe non essere in grado di pagare gli stipendi”.
La trattativa sulla revisione del bilancio 2021-27 dell’Ue (il cosiddetto “quadro finanziario pluriennale”) avanza lentamente. A giugno, oltre ai fondi per l’Ucraina, la Commissione aveva chiesto 15 miliardi per le politiche migratorie, le partnership internazionali e le catastrofi naturali, 10 miliardi per gli investimenti strategici, 19 miliardi per l’aumento dei tassi di interesse sul debito contratto per NextGenerationEu e 1,9 miliardi per indicizzare i costi dell’amministrazione all’inflazione. I paesi frugali sono irremovibili nella loro opposizione a nuovi trasferimenti verso l’Ue. La loro parola d’ordine è “redeployment”: spostare risorse inutilizzate da un capitolo all’altro del bilancio. Ma non bastano a coprire le priorità indicate dalla Commissione. Gli ambasciatori dei 27 si sono incontrati ieri sera per discutere della quinta proposta di compromesso della presidenza spagnola dell’Ue. Più si avvicinano le elezioni europee, più diventano improbabili concessioni da parte dei frugali. Senza un’intesa a dicembre, la revisione del bilancio dell’Ue potrebbe slittare alla seconda metà del 2024.
L’Ucraina è incastrata nella matassa degli interessi contrapposti dentro l’Ue. A parte l’Ungheria, in principio sono tutti d’accordo nel voler finanziare Kyiv. Ma c’è chi sta usando l’Ucraina come merce di scambio e ci sono divergenze interne sulle modalità di finanziamento della “Facility per l’Ucraina” e sull’ammontare dei prestiti e delle sovvenzioni: è urgente un “piano b” per non lasciare Kyiv senza soldi. Una possibilità è approvare un’assistenza macro-finanziaria da parte dell’Ue limitatamente al 2024. Ma potrebbe scontrarsi con il veto dell’Ungheria. Un’altra possibilità è “procedere a ventisei”, spiega un diplomatico, per raccogliere i fondi sui mercati da girare all’Ucraina. Una terza possibilità è di usare la tassazione sui profitti dei beni congelati della Russia: “È un’opzione seria. Siamo determinati su questo”, spiega un funzionario dell’Ue. Ma le risorse sarebbero limitate: 12-14 miliardi di euro in quattro anni, cioè quel che servirebbe all’Ucraina ogni anno.