dalla nostra inviata

Le mosse di Israele verso il sud della Striscia e il primato tragico di questa guerra

Micol Flammini

Non sarà certo Hamas a pensare ai civili a Gaza e i tentativi di Israele per la loro sicurezza finora sono falliti. Tra i tunnel e il paradosso di Khan Younis 

Tel Aviv, dalla nostra inviata. In un paese come Israele, con un territorio di circa ventiduemila chilometri quadrati, poco meno di quello della regione Toscana, attaccato a ogni lato da diversi avversari, ogni frontiera si sente un fronte. In un territorio come la Striscia di Gaza, con una superficie di trecentosessantacinque chilometri quadrati, poco meno del comune di Arezzo, con una struttura terroristica come quella di Hamas che dal 2007 ha intricato infrastrutture militari e civili fino a renderle indissolubili, tutto è un obiettivo di  guerra. I cittadini di Gaza non possono confidare nel fatto che sia Hamas a pensare alla loro sicurezza dopo avere unito mortalmente scuole e lanciarazzi, condomini e depositi di munizioni. L’organizzazione non sposterà mai le infrastrutture militari per salvare i civili. Ai cittadini di Gaza non resta che sperare che siano gli israeliani a fare una guerra che limiti i rischi per la popolazione, così come anche gli Stati Uniti chiedono con insistenza. Finora, nonostante i tentativi, i danni non sono stati limitati. 


Durante la sua ultima visita la scorsa settimana, il segretario di stato Antony Blinken è venuto a informarsi su come Israele intende portare avanti la seconda fase della sua operazione a Gaza. Era giovedì, la tregua già iniziava a traballare, Hamas rinviava il momento di consegna degli ostaggi, le prime violazioni della pausa venivano registrate con inquietudine, e all’inviato americano altro non restava che delineare assieme agli alleati come sarebbero ripresi i combattimenti. Israele ha informato che i soldati si sarebbero diretti a sud, nello stesso tempo avrebbero completato le operazioni a nord, dove ancora non controllano l’entroterra e neppure tutta Gaza City. Gli Stati Uniti hanno ribadito il loro appoggio, ma hanno chiesto di pensare ai civili. 

Venerdì mattina, Hamas ha rotto la tregua, non ha consegnato la lista dei nuovi ostaggi da liberare, e sperando di cogliere l’avversario di sorpresa ha ripreso a lanciare razzi. Israele, che era pronta a tornare a combattere, ha risposto. I bombardamenti sono da subito cominciati contro la parte meridionale della Striscia, dove si stima ci siano delle importanti basi di Hamas e gli stessi ostaggi rilasciati hanno raccontato di essere stati portati nella zona di Khan Younis, la seconda città più grande della Striscia di Gaza, in cui sono nati i due leader più ricercati di Hamas in questo momento: Yahya Sinwar e Mohammed Deif. Venerdì scorso, il primo giorno della ripresa dei combattimenti, alcune immagini avevano mostrato dei bombardamenti di precisione che erano stati in grado di far esplodere degli appartamenti e non interi condomini. L’esercito non ha commentato le immagini. Ogni mattino, nei cieli di Gaza si vedono degli stormi, non sono uccelli, ma sono i volantini che l’esercito israeliano manda ai residenti per dire che il loro quartiere presto sarà colpito e che lo  devono evacuare. I nuovi volantini, oltre a notificare l’ordine di evacuazione, mostrano le mappe della Striscia divise per zone, con in grigio i quartieri che rimarranno fuori dai bombardamenti, in arancione quelli che saranno colpiti e delle frecce mostrano invece le strade da seguire per mettersi in salvo. Le precauzioni che Israele ha preso finora, tuttavia, non sono state sufficienti a mettere in salvo la popolazione, perché le vie di fuga risultano molto congestionate, di conseguenza le evacuazioni vengono rallentate e il tempo tra la notifica e la fuga si accorcia in modo pericoloso. Durante la prima fase della guerra, quella in cui l’esercito israeliano si era concentrato soltanto nella parte settentrionale della Striscia, circa l’80 per cento della popolazione di Gaza ha lasciato la propria casa. Il nord è sempre stata la parte più popolosa della Striscia e adesso, la maggior parte dei cittadini si è spostata, aumentando quindi la densità della popolazione a sud della riserva di Wadi Gaza, che Israele ha preso come punto di riferimento per dividere in due la Striscia. Questo incremento della densità di popolazione rende le evacuazioni più complesse. Lo spostamento dei civili è tutto interno, l’Egitto finora ha permesso le evacuazioni nel suo territorio soltanto a cittadini con doppio passaporto e neppure la Giordania, in cui la componente palestinese della popolazione è molto alta, è pronta ad accogliere rifugiati. Ai civili non resta che spostarsi all’interno dello stretto territorio della Striscia, districandosi tra un bombardamento e l’altro, in un territorio che Hamas ha disseminato di strutture militari. 


La regia delle evacuazioni non sta funzionando, soprattutto se si considera che Gaza è uno spazio limitato, i soldati israeliani si stanno spostando a sud e i bombardamenti sono di un’intensità che ha conosciuto pochi precedenti nella storia. Da venerdì, Israele sta mirando a Khan Younis, da cui provengono anche molti dei razzi lanciati contro lo stato ebraico, ma in cui vivevano molti palestinesi prima dell’inizio del conflitto e altri ne sono arrivati dal nord nell’ultimo mese e mezzo, nonostante l’esercito avesse indicato di spostarsi lungo la costa. Per Hamas le difficoltà dei civili continuano a essere percepite come una protezione, i suoi uomini continuano a nascondersi nei tunnel, da dove escono per compiere degli assalti veloci contro i soldati, e poi tornano nei sotterranei che sono concepiti più come una seconda Gaza, una città speculare a quella in superficie, che il Financial Times ha definito una rete più estesa della metropolitana di Londra – c’è da aspettarsi che gli ostaggi che hanno fatto ritorno forniranno dettagli utili a scoprire di più riguardo al mondo sotterraneo di Hamas. Il motivo per cui Israele punta ai tunnel è perché al loro interno si nascondono i terroristi e anche le armi, tramite i cunicoli e le scale gli uomini di Hamas si spostano e sono in grado di scappare. Il concetto è che finché ci saranno i tunnel, ci sarà Hamas e l’eliminazione dell’organizzazione passa per la distruzione della sua infrastruttura sotterranea. Finora sono stati distrutti circa cinquecento tunnel. 


Ieri le sirene sono suonate in tutto lo stato ebraico. Il fronte diffuso in Israele e l’onnipresenza di obiettivi militari dentro alla Striscia rendono questa guerra un esperimento tragico. Non era mai accaduto che una popolazione così numerosa venisse spostata in un territorio così piccolo e senza vie di uscita. Gli obiettivi del conflitto – l’eliminazione di Hamas e la liberazione degli ostaggi che sono ancora nelle mani dei terroristi – sono condivisi non soltanto da Israele, ma finora soltanto Gerusalemme ha parlato con consapevolezza di una guerra lunga. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)