Dopo il 7 ottobre
"Il nuovo antisemitismo consiste nel fare d'Israele uno stato nazista". Parla Taguieff
“Gli islamisti hanno trovato terreno fertile non solo in Russia e in Cina, ma anche nel woke, in una eterogenesi dei fini che vuole la deoccidentalizzazione del mondo ”, dice al Foglio il filosofo francese
“Una parte delle élite occidentali che si definiscono ‘progressiste’ si è convertita alla religione politica del culto della vittima palestinese e della criminalizzazione del dominatore ebraico”. Così Pierre-André Taguieff, forse il più brillante studioso delle idee di Francia, spiega al Foglio come sia possibile arrivare in occidente a giustificare, banalizzare e minimizzare i massacri di Hamas. “I loro riflessi ideologici impongono di difendere i presunti ‘dominati’ contro i presunti ‘dominanti’. L’inversione vittimizzata che questa conversione implica si traduce nella nazificazione dei ‘sionisti’ e, più in generale, degli ebrei. Il messaggio trasmesso è che gli ebrei sionisti sono i nuovi nazisti e i palestinesi sono i nuovi ebrei. La strumentalizzazione e la falsa rappresentazione dell’antirazzismo consistono nel dare un volto all’antisionismo, basato sull’immagine della vittima palestinese di un ‘sionismo’ immaginario”. Per comprendere le sorgenti dell’inversione del vittimismo dobbiamo risalire al Medioevo dell’Europa cristiana, intorno alla metà del XII secolo, quando furono lanciate le prime accuse di omicidio rituale contro gli ebrei, che per questo motivo venivano cacciati, perseguitati, assassinati.
“Il mito dell’ebreo ‘assassino di bambini non ebrei’ è stato successivamente integrato nella cultura antiebraica del mondo musulmano, fino a diventare uno dei principali temi di accusa contro i ‘sionisti’, criminalizzati come ‘assassini di bambini palestinesi’. Ricordiamo che nel marzo 2012, a Tolosa, il terrorista Mohammed Merah, uccidendo bambini ebrei, dichiarò di voler ‘vendicare i bambini palestinesi’. Nell’ultima guerra di Gaza, innescata dal mortale attacco jihadista di Hamas contro Israele il 7 ottobre 2023, il tema dell’assassinio di bambini palestinesi da parte d’Israele è stato immediatamente riattivato dalla propaganda palestinese e dai suoi canali in tutto il mondo. Nel discorso delle sinistre rivoluzionarie o radicali, dopo la caduta dell’impero sovietico, la ‘causa del proletariato’ e la ‘causa del popolo’ hanno lasciato il posto alla ‘causa palestinese’, una nuova ‘causa universale’ che ha fuso il tema della ‘resistenza’ di una minoranza a uno stato ‘coloniale’, Israele, e quello della pia denuncia dell’‘islamofobia’, peccato capitale attribuito a tutti coloro che non hanno aderito alla bandiera islamo-palestinese. Gli strateghi culturali dell’antisionismo, in tutte le sue forme, hanno continuato ad alimentare e sfruttare l’immaginazione e la retorica vittimistica attorno alla figura palestinese, che è gradualmente diventata quella della vittima musulmana. Questo grande amalgama di vittimismo ha permesso di articolare l’antisionismo radicale e la ‘lotta contro l’islamofobia’ all’interno di una mitologia politica di stile rivoluzionario”.
E così il woke nelle sue varie forme si allea alla barbarie. “E’ l’applicazione al conflitto israelo-palestinese della griglia di lettura offerta dall’anticolonialismo e dall’antirazzismo che ha portato alla wokizzazione delle interpretazioni di tale conflitto. C’è stato, essenzialmente a sinistra, un focus di indignazione, precedentemente ideologizzato dalla propaganda palestinese, per le accuse di ‘massacro’, ‘pulizia etnica’ e ‘genocidio’, atti criminali presumibilmente commessi da Israele nella sua legittima risposta agli attacchi di Hamas. Questa accusa demonizzante nei confronti di Israele fa parte della trattazione demonologica del conflitto israelo-palestinese. Questo antisionismo gnostico globalizzato, che funziona come metodo di salvezza e promessa di redenzione – distruggendo Israele per salvare l’umanità – è al centro della nuova giudeofobia, questo odio verso gli ebrei che ha adottato il linguaggio dell’odio antisionista”.
E’ nelle opinioni progressiste che oggi è più visibile l’eredità di numerosi pregiudizi antiebraici più o meno riciclati: “L’ebreo sfruttatore, dominatore, manipolatore e parassita sociale, considerati carnefici polimorfi. A ciò si aggiunge la figura dell’assassino rituale ebreo, che dovrebbe rinascere in quella del soldato israeliano che bombarda la Striscia di Gaza. Da qui l’accusa di ‘islamofobia’. In questo contesto, in cui Israele è accusato di essere uno ‘stato di apartheid’, la lotta antirazzista si è rivolta ancora una volta contro gli ebrei. Queste deviazioni dell’antirazzismo iniziarono negli anni Sessanta, quando la propaganda sovietica, trasmessa da quella dell’Olp, diffuse l’equazione ‘sionismo uguale razzismo’. Si trattava di rivolgere l’accusa di razzismo contro gli ebrei erigendo i palestinesi come rappresentanti della vittima per eccellenza. Da allora, l’attivismo pseudo-antirazzista ha cercato e trovato, addirittura inventato, altre categorie generali di vittime: immigrati, musulmani, ‘neri’, ‘arabi’, ‘immigrati privi di documenti’. Le vittime ebree della Shoah dovevano scomparire dal tavolo delle vittime, sostituite dalle vittime palestinesi della Nakba. Si tratta di un gioco di prestigio, perché il genocidio nazista degli ebrei europei durante la Seconda guerra mondiale non ha nulla a che fare con l’esodo di parte della popolazione palestinese al tempo della guerra arabo-israeliana del 1948-1949”.
Le manifestazioni pro Hamas in Europa sono anche un segno dei cambiamenti demografici nelle nostre città. “Dopo il mega pogrom del 7 ottobre, il moltiplicarsi delle manifestazioni filo Hamas, mascherate da manifestazioni filopalestinesi, testimonia la formazione, in ogni società democratica occidentale, di una controsocietà fondamentalmente ostile alla società globale e non semplicemente una secessione , un fenomeno comunemente chiamato ‘comunitarismo’, ‘separatismo’, ‘ghettizzazione’”, ci dice Taguieff. “Questa controsocietà è formata da una popolazione immigrata di cultura islamica, una parte significativa della quale non si è integrata nelle società democratiche occidentali, non si riconosce nei propri valori e percepisce l’occidente come il nemico che deve combattere. La figura del nemico assoluto comprende lo stato di Israele e la civiltà occidentale. La controsocietà ora immagina una rivoluzione sul modello jihadista, che implica la lotta armata. Si tratta quindi, più precisamente, di una controsocietà a due facce: islamista e di estrema sinistra, fermo restando che le sinistre radicali, aderenti al decolonialismo e all’ecofemminismo, sono ora wokizzate. L’alleanza tra islamisti e sinistre radicali è stata da me battezzata e concettualizzata, all’inizio degli anni Duemila, come ‘islamo-goscismo’. I suoi rappresentanti sono riconosciuti in particolare per il fatto che stabiliscono nell’‘islamofobia’, nella ‘xenofobia anti immigrati’ e nel ‘sionismo’ le principali figure del razzismo nelle società occidentali contemporanee. Pertanto, essere antirazzista significa essere allo stesso tempo anti islamofobico, pro- immigrazione e antisionista. Più in generale, si tratta di ‘resistere’ alle forze o agli stati che si suppone incarnino il ‘colonialismo’, il ‘razzismo’ e l’‘imperialismo’, vale a dire le nazioni occidentali e Israele, cioè, nel linguaggio degli islamisti, l’‘asse americano-sionista’ o l’‘alleanza ebrei-crociati’”.
La posta in gioco in questa battaglia di civiltà non è solo Israele. “Il nemico designato dai leader e dagli ideologi di queste eterogenee controsocietà neorivoluzionarie non è semplicemente l’occidente – un occidente immaginario, il principio del Male – ma l’occidentalizzazione del mondo. Questo è il nuovo nemico assoluto, dai molti volti, come il diavolo: l’occidente denunciato come intrinsecamente razzista, islamofobo, imperialista (o espansionista) e colonialista. Questo tipo di controsocietà antioccidentale è osservabile in molte altre nazioni europee così come nel Nord America. La seduzione che esercita deriva dal fatto che nasce in società che vogliono e si definiscono multiculturali o multietniche, offrendo così ai nemici dell’occidente un potente argomento legittimante: la civiltà occidentale non esiste o non esiste più, poiché esisterebbero solo diversità culturale e ibridazioni culturale o di civiltà. Il paradosso dell’antioccidentalismo radicale condiviso dagli islamisti e dalla neosinistra, cioè dai membri – attivi e non – del campo islamo-goscista, consiste nell’affermazione simultanea di due tesi contraddittorie: da un lato, la tesi secondo cui la civiltà occidentale non esiste, e, dall’altro, la tesi secondo cui l’occidente è tossico, predatore e dominante. Negli anni successivi alla Prima guerra mondiale, di fronte allo spettacolo dei massacri e delle rovine, un grande dibattito contrappose i profeti della decadenza o del declino dell’occidente a coloro che invocavano la difesa dell’occidente.
Questo dibattito si è concentrato sul destino della civiltà occidentale, circondata da minacce, colpita da un temporaneo indebolimento o entrata nella sua fase crepuscolare o finale. La visione della fine del mondo occidentale diventò il tema principale di un racconto mitico. Per certi aspetti, possiamo ritenere che questo dibattito intellettuale e politico si sia ristabilito oggi al centro delle domande degli occidentali su se stessi, riproponendo la questione dell’identità dell’occidente, e più in particolare, dell’occidente moderno, affrontato attraverso le sue crisi e il suo malessere, in cui le patologie dell’identità hanno giocato un ruolo di primo piano. Ma il contesto appassionato e politico-culturale non è più lo stesso: è caratterizzato oggi dall’articolazione tra un odio verso l’occidente divenuto globalizzato e un odio verso se stessi radicato nel mondo occidentale. Un odio alimentato dall’invidia e dal risentimento nel primo caso, un odio infiammato dalla vergogna e dal senso di colpa nel secondo. La perdita di fiducia in se stessi è un sintomo di decadenza”.
Quanto all’odio verso se stessi, prepara il terreno al tradimento: “Molti occidentali si sono uniti al campo dei nemici dell’occidente, o si preparano a farlo. Possiamo designare l’odio verso l’occidente con il neologismo di ‘esperofobia’. E’ un odio ontologico quello che troviamo oggi, in particolare, nel mondo musulmano sotto l’influenza islamica. Un odio paradossale, poiché è iniziato molto tempo dopo lo smantellamento degli imperi coloniali europei. Ma l’esperofobia è presente anche in Russia, Cina e nelle popolazioni dei paesi occidentali, in particolare negli ambienti della nuova estrema sinistra wokizzata, che vuole mettere fine al patrimonio della civiltà occidentale che continua a distruggere e demonizzare. Osservabile soprattutto tra i giovani affascinati dalla violenza e dall’impegno radicale, l’islamizzazione del radicalismo è un processo di cui l’islamogoscismo politico e culturale è uno dei prodotti, l’altro è la transizione al jihad. L’islamizzazione svolge il ruolo di una potente modalità di legittimazione del desiderio di rottura totale con il mondo occidentale, divenuto oggetto di odio. Insistendo sulla Umma come comunità di appartenenza sovranazionale, in conformità con la tradizione islamica, gli ideologi dell’islam politico si sforzano di delegittimare le appartenenze nazionali situate al di fuori del ‘dominio della sottomissione a Dio’ (Dar al Islam).
Questa squalifica islamica del sentimento nazionale costituisce un punto di convergenza ideologica con la sinistra che demonizza il patriottismo tanto quanto il nazionalismo. Ciò che deve essere evitato a tutti i costi è la formazione di controsocietà potenti e dinamiche all’interno delle nostre società democratiche occidentali, che spesso tendono a essere cieche di fronte alle minacce che provengono da loro stesse, in particolare quando acuiscono il senso di colpa che le disturba. Rifugio delle libertà e della razionalità, nonostante le sue tentazioni suicide e i suoi slanci di arroganza, la civiltà occidentale merita di essere difesa contro i suoi nemici e i suoi falsi amici. Diciamo solo che dobbiamo difendere l’occidente nonostante tutto, e ora malgrado se stesso”.