tra roma e pechino
Il governo italiano ha comunicato alla Cina l'uscita dalla Via della seta
Con una lettera consegnata all'ambasciata cinese è stato formalizzato il passo indietro. L'accordo era stato siglato nel 2019 dal governo Conte I. L'ex premier: "Quegli accordi ci servivano. Un autogol della premier". Ma Tajani: "Non ha prodotto gli effetti sperati, anzi"
L'Italia esce ufficialmente dalla Via della seta. Il ministero degli Esteri ha inviato all'ambasciata cinese in Italia un documento nel quale viene comunicata la volontà di non rinnovare l'accordo in scadenza nel marzo 2024. L'intenzione di fare un passo indietro era stata già manifestata alla Cina nei mesi scorsi, ma mancava ancora il passo formale che secondo il memorandum doveva arrivare al massimo entro il 23 dicembre. Così è stato.
Da Palazzo Chigi ancora nessun commento, ma il leader di Forza Italia e ministro degli Esteri Antonio Tajani ha spiegato al forum dell'Adnkronos che "la via della Seta non è la nostra priorità, abbiamo visto che la via della Seta non ha prodotto gli effetti sperati, anzi. Chi non è parte del percorso della via della Seta ha avuto risultati migliori". Il vicepremier puntualizza che: "La non partecipazione alla via della Seta non significa che sia un'azione negativa nei confronti della Cina, significa poter continuare ad avere ottimi rapporti e lavorare intensamente sugli aspetti commerciali per rafforzare la nostra presenza sul mercato. Abbiamo già convocato a Verona la riunione intergovernativa Italia-Cina per affrontare tutti i temi di commercio internazionale. Continuano a esserci ottimi relazioni e rapporti, pur essendo un paese che è anche un nostro competitore a livello globale".
Nella lettera mandata dal governo italiano per sancire l'uscita dall'accordo è stata infatti ribadita la volontà di continuare a collaborare con la Cina. Collaborazione che dovrebbe ora continuare attraverso l'implementazione del Partenariato strategico tra i due paesi, già esecutivo da oltre 10 anni. Anche se non è chiaro su quali materie si deciderà di puntare. A metà novembre il viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli aveva ammesso al Foglio: "Non abbiamo ancora idee concrete e chiarissime. Aspettiamo di vedere cosa mettono in campo. Noi siamo aperti alla controparte cinese, senza il timore di avere rapporti profondi". Un altro nodo riguarda poi i timori legati a eventuali ritorsioni dal punto di vista economico. Un rischio che il governo Meloni ha provato a scongiurare cercando un'uscita soft dall'accordo. Quanto efficace lo si vedrà presto.
È certo invece che il Memorandum sulla Via della seta non abbia prodotto grandi vantaggi per l'Italia, ma anzi l'intesa può essere considerata un flop. Senza dimenticare come la scelta operata quattro anni fa dal governo Conte I abbia in una certa misura compromesso la postura internazionale italiana. Il nostro è stato infatti l'unico paese del G7 a sottoscrivere l'accordo con la Cina. Solo un lungo lavoro diplomatico ha permesso di superare le frizioni con gli alleati americani e della Nato.
A stretto giro sono arrivare le parole, e l'attacco, di Giuseppe Conte. "L'Osservatorio economico della Farnesina parla chiaro: nei primi 9 mesi del 2023 l’export italiano in Cina ha registrato una crescita tendenziale del 25,1 per cento, attestandosi quasi a 15 miliardi di euro. Tajani li ha letti i dati dei suoi uffici? Meloni si è accorta che anche Biden ha ricevuto Xi Jinping negli Usa? Che Macron e Sanchez sono andati in Cina in visita?", ha detto l'ex premier. "Gli accordi della Via della Seta, che a oggi sono stati sottoscritti da 17 Paesi europei, sono serviti anche a migliorare i rapporti commerciali per provare a riequilibrare una bilancia commerciale che nel rapporto con la Cina non pendeva certo a nostro favore" ha rimarcato. Per la Via della Seta, dice sempre il leader del M5S "avevamo lavorato a un’intesa programmatica che non interessava nessun asset e infrastruttura strategica del nostro paese, anzi, avevamo contestualmente potenziato lo strumento della golden power per tutelare più efficacemente i nostri interessi nazionali. Meloni ha fatto un autogol, ma come succede da quando è entrata a Palazzo Chigi a pagarne lo scotto saranno se mai le imprese e le famiglie", conclude.