Taiwan e non solo
Le linee rosse e sottilissime di Pechino con l'Europa
Al primo summit Ue-Cina degli ultimi quattro anni, Xi vuole tornare al business as usual, ma la sua politica autoritaria pesa come un macigno
I giornali cinesi ieri aprivano tutti con la notizia della visita a Pechino del dittatore bielorusso Aljaksandr Lukashenka ricevuto dal leader cinese, Xi Jinping. “La Cina è pronta a continuare a rafforzare il coordinamento strategico con la Bielorussia e a sostenersi fermamente a vicenda”, ha detto Xi. Nelle stesse edizioni, altri articoli ed editoriali avevano toni inusualmente moderati nei confronti dell’Unione europea in vista del primo Summit Eu-Cina da quattro anni: non abbiamo alcun conflitto in corso con l’Europa, ha scritto il falchissimo giornale Global Times.
Per il GT definire la Cina “partner, competitor e rivale strategico”, come fa l’Europa, “è sbagliato”. Eppure la vicinanza politica, diplomatica e militare tra Cina, Russia e Bielorussia ha un impatto considerevole nel rapporto tra la leadership di Pechino e l’Unione europea. Pechino vuole tornare al business as usual con l’Europa, dopo anni in cui il mondo è cambiato, e dopo che alcuni rappresentanti delle istituzioni democratiche e centri studi europei sono stati messi sotto sanzioni da parte della Cina per aver criticato la leadership su questioni come i diritti umani e lo stato di diritto. Ma per Pechino il business è business, e con l’economia che rallenta ha bisogno di normalizzare le relazioni con l’Europa. Non a caso ieri il portavoce del ministero degli Esteri, Wang Wenbin, ha sottolineato, come gesto di apertura, l’entrata in vigore venerdì scorso della misura di ingresso in Cina in esenzione del visto per i cittadini di sei paesi europei, tra cui Francia, Germania e Italia. E l’altro ieri auspicava che il vertice svolgesse “un ruolo importante sulla base dei risultati ottenuti in passato”. Ma il passato non può essere la lente con cui guardare le nuove relazioni con Pechino, e questo forse i funzionari cinesi lo sanno. Un diplomatico asiatico dice al Foglio: rischia di essere di nuovo il 2014 con la Russia. La distanza è gigantesca, e per questo non ci si aspetta nemmeno un comunicato congiunto al termine dei summit con l’Ue.
Oltre alle relazioni economiche, ci sono le questioni politiche che influenzano le prime sul lungo periodo. Ci sono le violazioni dei diritti umani nello Xinjiang, la questione di Hong Kong la cui autonomia è stata cancellata nel 2020 con la repressione dei movimenti pro democrazia – l’altro ieri la famosa attivista ventisettenne Agnes Chow, che insieme a Joshua Wong e Nathan Law animavano il partito Demosisto, ha annunciato il suo esilio in Canada.
Ma soprattutto c’è la linea rossa di Xi, cioè Taiwan, l’isola de facto indipendente che Pechino rivendica come parte del suo territorio anche se il Partito comunista cinese non l’ha mai governata. La stessa linea rossa che il presidente cinese ha posto al suo omologo americano Joe Biden. Negli ultimi quattro anni l’Unione europea ha stretto sempre di più i legami informali con Taiwan, e secondo diverse fonti a Bruxelles (anche negli uffici Nato) c’è sempre più attenzione alle elezioni presidenziali che si terranno il 13 gennaio prossimo e alle tecniche di interferenza nel processo democratico taiwanese da parte di Pechino. “I leader dell’Ue potrebbero essere tentati dal prendere la strada più facile con Pechino, evitando argomenti controversi e concentrandosi sulla cooperazione economica. Sarebbe un errore”, ha scritto sul Financial Times Anders Fogh Rasmussen, ex segretario generale della Nato. “I leader dell’Ue non possono ignorare le provocazioni militari della Cina contro Taiwan”. Secondo Janka Oertel, direttrice del programma Asia allo European Council on Foreign Relations, la Cina “sta cercando di migliorare le relazioni con l’Europa senza però fare concessioni sostanziali. Sono possibili aggiustamenti tattici a livello commerciale e diplomatico, ma è improbabile un vero e proprio cambio di strategia”.