Fronte interno
L'alleanza "India" contro Modi
L’opposizione al primo ministro indiano si prepara allo scontro diretto, con molti problemi e poche chance
Molti commentatori politici indiani le avevano chiamate le “semifinali”. Facevano riferimento alle elezioni regionali che si sono tenute nel mese di novembre in quattro stati dell’India: Rajasthan, Chhattisgarh, Madhya Pradesh e Telangana (più un quinto stato, il piccolo Mizoram, il cui voto però non incide a livello nazionale). La “finale” saranno le elezioni politiche generali della prossima primavera. I risultati delle semifinali sono stati annunciati il 3 dicembre e il Bharatiya Janata Party (Bjp) ha sconfitto il Partito del Congresso 3 a 1. Il Bjp ha strappato al Congresso il Rajasthan e il Chhattisgarh e ha conservato il governo del Madhya Pradesh. Il Congresso ha vinto le elezioni in Telangana dove ha sconfitto il partito regionale Bharat Rashtra Samithi, che governava lo stato dell’India meridionale con una maggioranza assoluta. Questo risultato sembra confermare quanto dicono ormai tutti i sondaggi: Narendra Modi con il suo Bjp si appresta a governare l’India con un terzo mandato consecutivo, un’impresa riuscita in passato solo a Jawaharlal Nehru.
In India si vota con il sistema uninominale secco. L’intero territorio del paese è suddiviso in 543 circoscrizioni elettorali. Il candidato che riceverà il maggior numero di voti in ciascuna di esse, andrà a sedersi nella Lok Sabha, la Camera bassa del Parlamento di New Delhi. Per non disperdere i voti e per cercare di arginare l’ondata color zafferano di Narendra Modi prevista nelle elezioni politiche del 2024, i partiti di opposizione hanno deciso di presentare in ogni circoscrizione elettorale un unico candidato che si contrapponga a quello del primo ministro Modi. Questa idea del candidato unico ha cominciato a prendere forma nel mese di marzo scorso dopo la inattesa vittoria del Partito del Congresso nelle elezioni regionali del Karnataka. Con questa vittoria, il Congresso di Rahul Gandhi aveva sbarrato la strada al tentativo del Bjp di conquistare il potere anche negli stati dell’India meridionale. Sul palco allestito nello stadio di Bengaluru per la cerimonia di giuramento di Siddaramaiah, il nuovo capo del governo del Karnataka, erano presenti i rappresentanti di tutti i partiti di opposizione. Era stato sorprendente vedere, uno accanto all’altro e sorridenti, leader politici che fino al giorno prima si erano guardati in cagnesco. Approfittando del clima cordiale, Nitish Kumar, il capo del governo (chief minister) del Bihar, aveva invitato tutti a Patna a fine giugno per gettare delle basi concrete al progetto di unità dell’opposizione.
Nella capitale del Bihar, i partiti che si oppongono al governo nazionale del Bjp, hanno redatto una dichiarazione di intenti: si metteranno assieme per salvaguardare il carattere laico e democratico dell’India e difenderlo dal bullismo (“dadagiri”, in hindi) del primo ministro Modi e del suo ministro dell’Interno Amit Shah. Modi ha ridicolizzato la riunione di Patna dicendo che si è trattato di una semplice “photo opportunity” e ha aggiunto che “dietro ognuna di quelle facce c’è uno scandalo per corruzione di almeno 20 miliardi di rupie”. Ma l’opposizione ha deciso di fare sul serio. Il secondo meeting si è tenuto a metà luglio a Bengaluru. Erano presenti i rappresentanti di 26 partiti di opposizione. È stato deciso all’unanimità che il nuovo raggruppamento politico prenderà il nome di “India”, un acronimo che sta per il macchinoso Indian National Developmental Inclusive Alliance. Contro Modi, l’Alleanza lotterà “per sconfiggere l’odio e la violenza perpetrata contro le minoranze (i cristiani e, soprattutto, i musulmani) e per fermare i crimini commessi contro le donne, i Dalit (gli ‘intoccabili’) e gli Adivasi (le popolazioni tribali)”. “D’ora in avanti sarà ‘India’ contro Modi” ha sottolineato Mamata Banerjee, la chief minister del West Bengal. E ha aggiunto fiduciosa: “Chi può sconfiggere ‘India’?”.
I problemi, invece, all’interno della nuova coalizione esistono. Innanzitutto c’è quello della scelta del candidato unico da presentare in ognuna delle 543 circoscrizioni elettorali. Come saranno suddivise le candidature tra i partiti della coalizione? E c’è poi il problema dei problemi: chi sarà il candidato premier di “India” da contrapporre nella battaglia elettorale a Modi, un uomo straordinariamente determinato a ottenere e mantenere il potere? Anche sulla riunione di Bangalore, sono arrivati i commenti sarcastici di Modi. A proposito dell’acronimo “India” si è limitato a dire: “Adesso bisogna rilanciare il ‘Quit India’”. Il riferimento era al movimento “Quit India” (“Lasciate l’India”) lanciato contro gli inglesi dal Mahatma Gandhi nel 1942. Il “Quit India” di Modi è invece rivolto agli indiani di oggi e vuole dire: “Abbandonate l’Alleanza dei partiti di opposizione”. Anche il suo voler cambiare il nome del paese da India a Bharat è stato visto come un tentativo del primo ministro di screditare l’acronimo scelto dai partiti che si oppongono al suo governo.
La terza riunione dell’opposizione si è tenuta a Mumbai il 31 agosto e il 1° settembre. È stato nominato un Comitato di coordinamento composto da 17 membri appartenenti ai partiti che si oppongono al governo Modi (diventati nel frattempo 28). Non si è giunti invece alla designazione di un coordinatore unico e non è stato svelato il simbolo dell’Alleanza a riprova che esistono ancora dei problemi da risolvere. Particolarmente complicata sarà la scelta dei candidati negli stati del Punjab e di Delhi dove esiste un’accesa rivalità tra l’Aam Aadmi Party (Aap) e il Congresso; e in West Bengal dove a scontrarsi con il Bjp sono tre formazioni: il Trinamool Congress (Tmc), il Partito del Congresso e i partiti della Sinistra. Tutti sperano che queste rivalità siano messe da parte per un obiettivo superiore. A questo riguardo, Arvind Kejrival, il leader dell’Aap, ha ricordato che “l’Alleanza ‘India’ non riguarda i 28 partiti che la compongono ma un miliardo e 400 milioni di indiani”. Ancora una volta è arrivato il commento sprezzante del Bjp, questa volta per bocca del suo portavoce nazionale Sambit Patra che ha definito il Comitato di coordinamento dei partiti di opposizione un “Anti Hindu Coordination Committee”.
Non è la prima volta che in India molti partiti si uniscono sotto una stessa sigla per vincere le elezioni. È già successo nel 1977 quando i partiti politici che si erano opposti all’“Emergenza” di Indira Gandhi diedero vita al Janata Party, un raggruppamento politico che vinse le elezioni e formò il primo governo dell’India indipendente non a guida del Partito del Congresso. Dentro il Janata Party convivevano però partiti incompatibili tra loro, dai socialisti del Lok Dal all’estrema destra del Jana Sangh. Dopo due anni, il governo del Janata Party cadde e, nelle elezioni del 1980, la gente richiamò a gran voce al potere Indira Gandhi. Ma oggi è lecito domandarsi: può veramente l’Alleanza dei partiti di opposizione vincere le elezioni che si terranno nella prossima primavera? Modi viaggia con il vento in poppa. E’ riuscito, con il Chandrayaan-3, a piantare una bandierina indiana nel Polo sud della luna. Ha condotto in porto, con indubbio successo, la riunione del G20 di New Delhi. Ha recentemente vinto le elezioni regionali in Rajasthan, Chattisgarh e Madhya Pradesh. E, per gennaio prossimo, ritiene di avere un asso nella manica: l’inaugurazione del tempio del dio Rama ad Ayodhya, sorto sulle macerie della moschea rasa al suolo il 6 dicembre 1992 dai fanatici hindu. Il Bjp ha nell’attuale Lok Sabha 303 seggi, 224 dei quali vinti con più del 50 per cento di voti. Se dunque nelle prossime elezioni, in queste 224 circoscrizioni elettorali, il Bjp manterrà lo stesso numero di voti, anche una opposizione unita risulterebbe sconfitta. Complessivamente la National Democratic Alliance (Nda), l’alleanza dei partiti che sostengono Modi, ha oggi in Parlamento 323 seggi. L’opposizione “India” ne ha solo 134. La differenza appare enorme, ma è la conseguenza del sistema elettorale indiano. Nelle elezioni del 2019 i partiti che oggi costituiscono “India” hanno ottenuto complessivamente il 35 per cento di voti. L’Nda, il 42 per cento. La distanza non appare incolmabile. Ma, come si è detto, per l’Alleanza di opposizione resta da risolvere il problema cruciale: chi presentare come candidato premier da contrapporre a Modi in quella che appare essere una delle consultazioni elettorali più importanti della storia dell’India indipendente?
Nei leader che formano l’Alleanza di opposizione le ambizioni politiche sono molte. Almeno tre capi di governi regionali sognano la carica di primo ministro. Sono: Mamata Banerjee, leader del Trinamool Congress e “chief minister” del West Bengal; Nitish Kumar, membro del Janata Dal (United) e capo del governo del Bihar; Arvind Kejrival, leader dell’Aam Aadmi Party e chief minister di Delhi. Ma i partiti di questi boss regionali possono sperare di ottenere ognuno un massimo di una trentina di deputati nel prossimo Parlamento. Troppo pochi per legittimare una loro eventuale candidatura alla carica di primo ministro di un paese con quasi un miliardo e mezzo di abitanti. Il solo partito nazionale indiano che possa competere, in termini numerici, con il Bjp di Narendra Modi, resta il Partito del Congresso. Il suo leader più conosciuto, Rahul Gandhi, dopo la Bharat Jodo Yatra, la Marcia per unire l’India, ha visto il suo gradimento aumentare di un buon numero di punti percentuali. Ma sono ancora troppo pochi per impensierire Modi. E la sua candidatura a primo ministro, dopo le sconfitte elettorali del 2014 e 2019, non è gradita agli altri partiti dell’Alleanza. Ci sono poi vecchie ruggini tra la famiglia Nehru-Gandhi e molti partiti regionali che rendono la candidatura di Rahul Gandhi difficilmente praticabile. Ecco allora che, nei corridoi politici che contano di New Delhi, si è cominciato a sussurrare un nome che a molti può risultare sorprendente: quello di Mallikarjun Kharge, l’ottuagenario presidente del Partito del Congresso. Nel suo primo anno da presidente del partito, Kharge si è dimostrato un leader intelligente, concreto e con una grande capacità di mediazione grazie alla quale si è guadagnato l’appellativo di “riconciliatore”, dentro e fuori il partito. Sotto la sua presidenza, il Congresso ha vinto le elezioni in due stati indiani, l’Himachal Pradesh e il Karnataka. Adesso, a questi stati, si aggiunge anche il Telangana. Ma la bruciante sconfitta nelle recenti elezioni nei tre stati della “Hindi belt” riduce adesso la forza del Congresso rispetto agli altri partiti dell’Alleanza per decidere le candidature alle prossime elezioni politiche nazionali.
Se il Congresso sarà ancora in grado di fare il nome di Kharge quale candidato premier e se gli altri partner dell’alleanza “India” accetteranno la proposta, l’81enne presidente del Congresso potrebbe risultare il candidato ideale da contrapporre a Narendra Modi in quello che appare essere uno scontro decisivo. Modi si è sempre definito un “figlio del popolo” e ha ripetuto fino allo sfinimento che da ragazzo serviva il tè ai clienti del “dhaba”, il piccolo chiosco gestito dal padre vicino alla stazione di Vadnagar, in Gujarat. La classe sociale a cui Modi appartiene è quella degli Shudra, i “servi”, coloro che compiono lavori manuali e che oggi vengono definiti “Obc” (appartenenti cioè alle Other Backward Classes). Si tratta della classe sociale situata ai piedi della piramide in cui è divisa la società hindu. Ma esiste anche una classe che sta sotto gli Shudra. Sono i fuoricasta, detti “intoccabili” perché dediti ai mestieri impuri e oggi chiamati Dalit (oppressi). Mallikarjun Kharge appartiene a una casta “intoccabile” del Karnataka. Tutta la sua luga carriera politica è stata ispirata da B. R. Ambedkar, l’“apostolo” degli intoccabili e il padre della Costituzione indiana, e dai princìpi morali dettati dal Buddha. Una sua candidatura renderebbe obsoleto lo slogan di Modi “figlio del popolo” perché ci sarebbe un candidato premier con origini ancora più umili delle sue. Una eventuale vittoria elettorale – che oggi appare estremamente difficile ma non ancora impossibile – dell’alleanza “India” guidata da Kharge, sarebbe destinata a entrare nei libri di storia indiana. Per la prima volta l’India indipendente avrebbe un primo ministro Dalit.