L'editoriale dell'elefantino
Per realizzare la pace a Gaza bisogna stanare chi l'ha violata
Non c’è giustizia senza vittoria, ma la giustizia è fuori moda. Prevale l’umanitarismo, che è un travestimento della resa, in certe circostanze, alla più efferata ingiustizia
A proposito di Gaza nessuno parla di giustizia. Si parla di vendetta, occhio per occhio. Si parla di crimini di guerra israeliani e altre follie. Si parla a vanvera di resistenza, di liberazione, a proposito dei boia, dei carnefici, ci si accanisce in qualche caso con gli offesi, che sarebbero i nuovi nazisti perché non accettano di essere massacrati in quanto ebrei da terroristi e predoni islamisti, e si compiangono giustamente le vittime di Hamas nella Striscia di terra bombardata e invasa alla caccia dei criminali (i civili e i bambini). Ma non di giustizia. Non di convivenza giusta basata sul reciproco riconoscimento. No, non è questo il senso di from the river to the sea, dal Giordano al mare.
Eppure una cosa la sappiamo. La sa anche un costituzionalista liberal come Zagrebelsky. La sapeva il giurista e attivista per la risoluzione pacifica dei conflitti, che ha portato in giudizio criminali efferati di guerra, con maggiore o minore successo, Antonio Cassese. Lo sappiamo tutti. Lo sanno anche i radicali pannelliani e boniniani che hanno intitolato così una loro associazione internazionale e non delle minori: non c’è pace senza giustizia, no peace without justice. Vogliono giustizia per evitare i conflitti armati, ma come?Bisognerebbe promuovere la giustizia dei tribunali per evitare la guerra. Bisognerebbe che un potere astratto inducesse astrattamente i miliziani e i capi di Hamas, i loro mandanti e alleati in Iran, in Libano, nello Yemen, a consegnarsi a un verdetto penale dopo un processo. Lo stesso trattamento per Assad, per Putin, il cui ghigno è invano incriminato dal Tribunale internazionale dell’Aia. Sono tutti autori di guerre di offesa, di guerre per scelta malamente giustificate come operazioni speciali contro altri popoli e nazioni o contro il proprio popolo, e che hanno fatto centinaia di migliaia di morti, guerre diverse da quelle di difesa scatenate con determinazione dopo l’11 settembre del 2001 e dopo il 7 ottobre del 2023.
Bisognerebbe. Ma prima di diventare imputati, i Milosevic e i Vladic e soci della pulizia etnica hanno dovuto perdere una guerra, essere spodestati e non dai Caschi Blu ma dalla Nato, per così dire smilitarizzati a forza. Non c’è giustizia senza una guerra vinta. Non è un caso se nel suo celebre cinismo, dopo il verdetto di Norimberga, l’eroe della vittoria sul nazismo Winston Churchill se ne uscì con una famosa battuta realista: facciamo attenzione a non perdere la prossima guerra. Al di là di questo, è proprio del senso di giustizia che si dovrebbe andare in cerca, anche quando si giudica una guerra. Le immagini di sofferenza e di dolore hanno bisogno di una didascalia razionale, più che dei commenti dell’Onu, con l’attribuzione di colpe precise a chi si fa scudo dei civili delle donne dei vecchi e dei bambini e degli ostaggi, non a chi mobilita i suoi civili nella riserva militare, sacrificando vite in nome di altre vite sacrificate e letteralmente bruciate, per realizzare la giustizia e la pace e la smilitarizzazione andando alla caccia di chi l’ha brutalmente, barbaramente violata. Ma la giustizia è out, fuori moda, prevale l’umanitarismo, che è un travestimento della resa, in certe circostanze, alla più efferata ingiustizia.
Cose dai nostri schermi