lo scenario
Le vie alternative alla Via della seta, compresa quella europea
L’Italia molla Pechino e si tiene da conto il presidente americano Biden. In Cina l’Ue fa la voce grossa con Xi Jinping
Ieri la leadership cinese ha commentato ufficialmente l’uscita dell’Italia dalla Via della seta. Il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Wang Wenbin, ha detto che il terzo Forum sul progetto strategico, che si è tenuto a ottobre e al quale il governo italiano ha deciso di non inviare alcun rappresentante (c’era solo l’ambasciatore italiano in Cina, Massimo Ambrosetti), “dimostra l’enorme fascino e l’influenza globale della cooperazione sulla Via della seta”. E poi ha aggiunto che “la Cina si oppone fermamente ai tentativi di diffamare e sabotare la Via della seta o di alimentare il confronto e la divisione tra blocchi”. E del resto ieri era la giornata del dialogo con l’Europa, il giorno del summit e dell’atteso incontro con i vertici dell’Unione: il presidente del Consiglio Charles Michel e la presidente della Commissione Ursula von der Leyen hanno incontrato il leader cinese Xi Jinping e il premier Li Qiang.
All’incontro, al quale ha partecipato anche l’Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue, Josep Borrell, i leader europei hanno per prima cosa presentato alla controparte cinese la lista delle tredici aziende cinesi accusate di aiutare la Russia ad aggirare le sanzioni economiche, e che rischiano di essere inserite ufficialmente nel prossimo pacchetto di sanzioni di Bruxelles. L’altra questione cruciale portata al tavolo con la Cina, secondo quanto detto ai giornalisti al termine della discussione da von der Leyen, è quella del deficit commerciale tra l’Ue e Pechino, che tra il 2020 e il 2022 è raddoppiato fino ad arrivare a quasi 400 miliardi di euro e che secondo i vertici di Bruxelles è dovuta alla mancanza di accesso al mercato cinese per le aziende europee e al trattamento a dir poco preferenziale che Pechino usa nei confronti delle aziende nazionali. Accuse ignorate in un altro briefing con la stampa dal direttore cinese per gli Affari europei, Wang Lutong, che ha detto che “la Cina non è responsabile del disequilibrio”.
Al di là dei toni “franchi”, che nel linguaggio diplomatico significa accesi, secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa statale Xinhua, Xi Jinping avrebbe avuto una conversazione molto moderata con gli europei (“Non dobbiamo considerarci rivali solo perché i nostri sistemi sono diversi, né ridurre la cooperazione perché esiste la concorrenza, né impegnarci in un confronto perché ci sono divergenze”), e addirittura avrebbe parlato di una possibile sinergia tra la Via della seta e il Global Gateway, la strategia europea di investimenti globali lanciata due anni fa da von der Leyen in diretta alternativa a quella cinese per “creare legami” con i paesi in via di sviluppo e “non dipendenze”. Nel 2019 anche gli Stati Uniti avevano promosso la loro Via della seta, la Blue Dot Network, creata in collaborazione con Giappone e Australia e poi appoggiata dal gruppo del G7, a cui partecipano per ora Regno Unito, Spagna, Repubblica ceca e Svizzera. Il governo di Giorgia Meloni ha espresso al presidente Joe Biden, durante il loro incontro a fine luglio, l’intenzione di entrare nel progetto, ma l’ingresso ufficiale era stato subordinato all’uscita dell’Italia dalla Via della seta cinese, che adesso è arrivato. Non a caso la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha commentato ieri che “si possono migliorare i rapporti con la Cina”, ma che la Via della seta “non ha dato i risultati che erano attesi”: una spiegazione dell’uscita molto delicata, concreta, che serve a non indispettire oltremodo la leadership cinese in una fase delicata dei rapporti con l’Europa. Nel frattempo però, già a febbraio, l’Italia è entrata nel Minerals Security Partnership, l’iniziativa, sempre a guida americana, per mettere in sicurezza l’approvvigionamento di materie prime e che conta oggi quattordici membri, dall’India alla Francia, dalla Germania alla Corea del sud.