Milei ha un anno per rimettere in sesto l'Argentina
Se va bene, perché per i pessimisti non riuscirà a far niente per mancanza di numeri: economici e politici. Oggi l’insediamento
Secondo gli ottimisti, Javier Milei potrà rimettere in sesto l’Argentina se supera il 2024. E’ ad esempio la previsione di Alejandro Werner, ex ministro messicano e ex direttore del Fondo monetario internazionale per l’emisfero occidentale. “Se anche a Milei va bene col suo programma economico di privatizzazioni e taglio massiccio della spesa pubblica”, ha detto, “col disastro economico e l’inflazione ereditati dal governo precedente all’Argentina servirà almeno un anno per stabilizzare la sua economia. Avrà comunque un’inflazione del 200 per cento all’anno nel primo semestre del 2024, perché il governo kirchnerista ha compresso artificialmente l’inflazione congelando i prezzi per cercare di vincere le elezioni e ha lasciato una immensa inflazione accumulata. Ma se sopravvive potrà ridurre l’inflazione al 100 per cento per la fine del 2024 e potrà veder crescere rapidamente l’economia nel 2025. Più o meno le previsioni dell’Ocse: -1,8 per cento di pil e 124 per cento di inflazione nel 2023; -1,3 per cento di pil e 157 per cento di inflazione nel 2024; +1,9 per cento di pil e 62,4 per cento di inflazione nel 2025.
Secondo i pessimisti, Milei non riuscirà invece a far niente per mancanza di numeri, innanzitutto in senso monetario, perché non ha la quantità di valuta che servirebbe per sostenere il piano di dollarizzazione proposto. Secondo quanto spiega Martín Castellano, direttore della Ricerca economica per l’America latina dell’Istituto della finanza internazionale, “l’implementazione della dollarizzazione in Argentina richiederebbe molte cose che oggi non ci sono, soprattutto perché l’Argentina non ha dollari per assorbire i pesos sul mercato. La Banca centrale ha riserve nette negative pari a circa 10 miliardi di dollari e per raggiungere questo obiettivo la dollarizzazione richiederebbe circa 30 miliardi di dollari. Anche la possibilità di contrarre prestiti in dollari è molto limitata”. Anche il Financial Times prevede un “incubo economico”, anche se più per colpa dell’eredità ricevuta che per quello che può fare Milei. “La radice dei problemi dell’Argentina è la cronica spesa eccessiva del governo. Le dimensioni della spesa pubblica sono quasi raddoppiate negli ultimi due decenni, con il governo che ha ampliato le buste paga del settore pubblico, distribuito ingenti sussidi per carburante ed elettricità e promosso programmi di assistenza sociale”, ricorda la testata britannica citando anche un rapporto del think tank Ieral secondo cui l’occupazione nel settore pubblico è aumentata del 34 per cento tra il 2011 e il 2022, mentre i posti di lavoro nel settore privato sono aumentati solo del 3 per cento nello stesso periodo. Ciò ha portato a continui deficit di bilancio superiori al 4 per cento del prodotto interno lordo, nonostante i livelli fiscali siano ben al di sopra della media dell’America latina”, ha affermato il Ft.
Ma mancano i numeri anche nel senso politico, perché Milei è minoranza in entrambe le camere del Congresso. Oggi c'è l’insediamento, e il nuovo governo presenta come guru economico Luis Caputo: un ex banchiere di Wall Street che con il presidente Mauricio Macri era già stato ministro dell’Economia, e anche governatore di quella Banca centrale che Milei ha promesso di chiudere. Ha una società di consulenza che a maggio ha presentato uno studio secondo cui la dollarizzazione sarebbe “fattibile”, anche se ammetteva che non sarebbe “una soluzione magica dei problemi del paese”.
Ministri anche i candidati del centrodestra di Macri a presidenza e vicepresidenza arrivati terzi al primo turno, che in cambio dell’appoggio al ballottaggio hanno avuto: la Sicurezza Patricia Bullrich, la Difesa Luis Petri. Ma ciò non ha impedito alla coalizione di Macri proprio su questo appoggio di andare in pezzi, e con dunque i macristi divisi in almeno quattro gruppi e i libertari di Milei che non vanno oltre i 38 deputati su 257 e 7 senatori su 72, il blocco peronista con 101 deputati e 33 senatori annuncia già battaglie alle camere e mobilitazioni massicce in piazza; malgrado qualche gesto conciliatorio di Milei, che ha ad esempio mantenuto l’ambasciatore in Brasile e ha nominato un esponente della precedente maggioranza ministro dell’Interno. Il primo è nientedimeno che Daniel Scioli, già candidato kirchnerista sconfitto al ballottaggio del 2015, quando l’allora terzo classificato Sergio Massa appoggiò invece Macri. Il secondo è Guillermo Francos, già rappresentante presso la Banca interamericana di sviluppo. Nicolás Posse, stretto amico che ha accompagnato il neopresidente negli Stati Uniti, sarà capo di gabinetto. Una dirigente del partito d Milei è Diana Mondino, agli Esteri. Alla Giustizia va Mariano Cúneo Libarona, che aveva avuto la stessa carica con Menem e che è stato investito da una polemica per una foto di frequentazioni giovanili di estrema destra, che lui non smentisce ma da cui assicura di essere lontano. Faceva parte delle promesse di Milei anche la riduzione del numero dei ministeri, ottenuta conglobando nelle Infrastrutture Lavori pubblici, Trasporti, Energia e Miniere; nel Capitale umano, Sanità, Educazione, Lavoro e Sviluppo sociale. Ci sono andati altri due dirigenti del partito di Milei, Guillermo Ferraro e Sandra Pettovello.
Alla cerimonia d’insediamento la nota più clamorosa è Zelensky, nella sua prima trasferta in America latina. Ma, riprova di eclettismo geopolitico, era stato annunciato anche Orbán, i cui problemi col presidente ucraino sono noti. Col re di Spagna Felipe II, poi, nella lista i presidenti di destra di Ecuador, Uruguay e Paraguay e il funambolico ma difficilmente classificabile salvadoregno Bukele, ma anche a sinistra il cileno Boric e il boliviano Arce, mentre il brasiliano Lula e il colombiano Petro hanno mandato i ministri degli Esteri. Non invitati rappresentanti di Cuba, Venezuela, Nicaragua e Iran, tacciati di dittature, altamente simbolica la presenza del presidente armeno e di una delegazione di parenti di sequestrati da Hamas, assieme al ministro degli Esteri israeliano. In chiave privata ci sarà anche Bolsonaro, con una sessantina di suoi sodali.
Prima dell’insediamento Milei è comunque andato a Washington: a rassicurare Biden rispetto alla sua asserita vicinanza con Trump, a offrire il grande business del litio e a chiedere appoggio sulla dollarizzazione.
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