Una strategia per il 2024

L'Europa non si può permettere di sostenere Kyiv solo quando le cose vanno bene sul campo

Cecilia Sala

Putin è un pericolo non perché sia il più forte, ma se gli permettiamo di batterci in determinazione. Le lezioni della controffensiva e i droni più preziosi per gli ucraini

Il ragionamento per cui si sostiene Kyiv quando sul campo di battaglia le cose vanno bene e non quando vanno male, da un punto di vista europeo, è poco razionale. Sarebbe soltanto poco morale se l’Ucraina fosse lontana come l’Afghanistan invece che al confine est. Quando l’Economist ha pubblicato la copertina in cui si domandava: “Putin sta vincendo?”, al titolo provocatorio seguiva un articolo che non riguardava le capacità militari strabilianti di Vladimir Putin ma verteva tutto su un punto: l’Europa dovrebbe svegliarsi. Kyiv ha ricevuto da tutti i paesi dell’Unione messi assieme meno munizioni per l’artiglieria di quante Kim Jong Un ne abbia spedite a Putin negli ultimi due mesi. 

Gli ucraini hanno sempre detto che erano pronti a fronteggiare la Russia con i loro corpi, ma con le armi e i fondi occidentali, altrimenti avrebbero combattuto lo stesso, ma avrebbero perso. E Putin sarebbe diventato un problema nostro. A differenza che nel 2023, il vantaggio materiale sul campo nel 2024 è della Russia, lo “stallo” di cui ha parlato il capo di stato maggiore ucraino non è una condizione perpetua, ma un equilibrio fragile e in scadenza a meno di ravvedimenti. L’Europa ha poco tempo per discutere quantomeno il rischio di ritrovarsi, tra qualche anno, un presidente russo ringalluzzito – con la sua spesa militare senza precedenti dai tempi dell’Unione sovietica – che si avvicina ai confini con l’intenzione di stravolgere gli equilibri del continente come qualsiasi vincente. Con il rischio che alla Casa Bianca ci sia il nemico della solidarietà americana verso gli europei Donald Trump.

Se l’Unione, con un pil che è cinquecento volte quello della Corea del nord, non riesce a organizzarsi per pareggiare il supporto materiale che Kim dà a Putin, la capacità di resistenza dell’Ucraina non può essere data per scontata a prescindere dagli sforzi degli ucraini. Nel 2021 la Russia aveva aumentato la sua spesa militare (all’epoca di 66 miliardi di dollari) del 2,9 per cento per prepararsi all’invasione totale. Oggi ha convertito un terzo dell’economia alla guerra e nel 2024 vuole raddoppiare la spesa in armi portandola a 112 miliardi di dollari. Raccontare Mosca come un nemico imbattibile con cui quindi bisognerebbe scendere a patti non tiene conto del fatto che se Mosca è (si pensa) imbattibile, non scenderà a patti. L’idea che lo “stallo” equivalga a un congelamento è un’illusione, come hanno spiegato praticamente tutti gli analisti militari esperti di questo conflitto, compreso il più famoso, Michael Kofman. Vladimir Putin ne è consapevole e ha atteso con pazienza la stanchezza occidentale che – come i talebani in Afghanistan – dava per scontato sarebbe arrivata. Nel fine settimana, dalle sale dorate del Cremlino, il presidente russo ha smentito ancora i suoi ammiratori pacifisti in occidente e, con un ghigno e un bicchiere di champagne in mano, ha detto: “I nostri piani stanno funzionando, la nostra industria bellica è diventata più competente e sta prendendo slancio. Gli ucraini invece stanno finendo le armi, stanno finendo i soldi. E per questo non avranno un futuro”. E’ un’esternazione che non assomiglia a una proposta di pace. 

La proposta di pace russa non c’era neppure a marzo del 2022, a meno di non voler prendere in considerazione la provocazione di Mosca secondo cui quattro regioni ucraine dovevano diventare russe (come se l’Italia dovesse cedere dal Piemonte al Veneto), Kyiv doveva essere “denazificata” (cioè bisognava sostituire un governo eletto dagli ucraini con uno che andasse bene a Putin?) e pure demilitarizzata: così che Mosca potesse invaderla agilmente qualche anno dopo. In poche parole una proposta che portava allo scenario peggiore, ma più rapidamente. E’ la stessa falsa offerta che la portavoce Maria Zakharova ha ripetuto il 9 dicembre mentre il suo capo, il ministro degli Esteri Sergei Lavrov, diceva che “i cinquecento anni di dominio dell’occidente stanno per finire”. 

Oggi che conosciamo molti retroscena della controffensiva di Kyiv, che fino all’autunno erano rimasti custoditi come segreti militari, è utile segnarsi cosa è andato male per capire quali rischi può correre l’Ucraina – e di conseguenza l’Europa – ora. 
Abbiamo scoperto che gli ufficiali degli Stati Uniti e quelli ucraini si sono riuniti più volte nella base militare di Wiesbaden, in Germania, e lì in finti combattimenti in cui gli americani interpretavano i russi e gli ucraini loro stessi, o viceversa, hanno simulato otto scenari per la controffensiva. Secondo i piani, i soldati di Kyiv sarebbero arrivati a Robotyne, il primo villaggio sotto controllo russo lungo la direttrice che da Zaporizhzhia scende fino al Mar d’Azov, il primo giorno. Ma, nella realtà, sono riusciti a raggiungere Robotyne soltanto l’ottantaduesimo giorno. Hanno perso così tanti mezzi all’inizio di giugno che il capo di stato maggiore che dirige la guerra, il generale Valeriy Zaluzhny, ha chiesto ai suoi uomini di scendere dai carri armati tedeschi Leopard e dai Bradley e di avanzare a piedi in piccoli gruppi. Gli americani insistevano perché gli ucraini cominciassero le operazioni già ad aprile, per non dare tempo ai russi di potenziare ancora le linee di difesa e per non annullare completamente l’effetto sorpresa. Gli ucraini rispondevano “voi non sapete come sia combattere i russi sul campo, non lo avete mai fatto” e non lo fareste mai senza copertura aerea: non siamo pronti. A un certo punto, per settimane, il generale Zaluzhny ha smesso di rispondere al telefono al generale americano che dirige le forze in Europa Christopher Cavoli. Kyiv insisteva sul punto: il problema non sono soltanto le mine, i russi ci lanciano addosso dei piccoli droni esplosivi (gli FPV) che costano poche migliaia di euro ma sono precisi e capaci di distruggere i mezzi che ci avete dato, che invece valgono ciascuno molti milioni di dollari. Quando Zaluzhny, in un’intervista all’Economist, ha parlato per la prima volta di uno stallo, ha fatto riferimento alla tecnologia – in particolare ai droni FPV – che ha rivoluzionato il campo di battaglia e di cui i war game americani non avevano previsto l’impatto. 

Ora i soldati schierati in Donbas dicono che non possono usare tutte le munizioni per l’artiglieria che servirebbero per respingere gli attacchi russi – che sono quasi quotidiani – perché in totale sono poche dunque vanno razionate. Se l’Europa non può organizzarsi per fornire a Kyiv almeno il numero di munizioni che la povera e ultra sanzionata Corea del nord ha dato a Mosca, potrebbe investire molto in droni FPV, che sono economici e nell’opinione dei soldati sono l’arma più adatta a sostituire i proiettili per i cannoni. 

Secondo gli americani, ma anche secondo due soldati ucraini del Decimo corpo sentiti dal Foglio, uno dei motivi per cui l’offensiva non ha funzionato è perché Kyiv si è incaponita nella difesa di una città poco strategica come Bakhmut, da cui i sopravvissuti tra i soldati più esperti sono usciti stremati in primavera. Kyiv non li ha sottratti a quella battaglia e ad altre zone del fronte per addestrarli all’uso dei carri occidentali, e ha mandato al posto loro reclute giovani con poca o nessuna esperienza sul campo. Il ragionamento ucraino era: per i ragazzi che non hanno mai combattuto secondo la dottrina sovietica, sarà più facile apprendere le tecniche molto diverse della Nato. Ma per i ventenni che avevano visto soltanto la guerra finta in Germania o in Inghilterra, l’addestramento occidentale non è stato sufficiente a compensare l’inesperienza. Sul campo in direzione Robotyne, le brigate meglio armate erano anche quelle più deboli dal punto di vista del fattore umano.

Secondo Kofman, gli ucraini nel 2024 dovrebbero pensare ad addestrarsi ancora, riorganizzarsi, conservare le risorse e non provare ad avanzare. Un comandante ucraino del Decimo corpo gli risponde virtualmente a distanza: “Siamo d’accordo, ma voi occidentali – che non siete provati dalle giornate passate nelle trincee gelate – avete la tempra per continuare a sostenerci anche durante una pausa, anche se non vi dimostriamo risultati sul campo ogni giorno? Perché questa tempra i russi ce l’hanno, si sono riorganizzati già una volta e lo faranno in futuro. Sono determinati, voi siete determinati? Putin non si è scoraggiato dopo che ha fallito nel tentativo di prendere Kyiv a marzo del 2022 o dopo che ha perso il nord est a settembre del 2022 e la città di Kherson due mesi dopo. Noi non siamo scoraggiati, ma ci servono munizioni per respingere gli attacchi che proseguono ogni giorno e contraerea per proteggere le nostre famiglie nelle città alle nostre spalle. E ci serviranno anche l’anno prossimo, e anche quello dopo. Voi siete determinati?”.
Mosca ha fatto scorta di missili e mentre le temperature calano i bombardamenti contro le infrastrutture energetiche diventeranno più intensi, la contraerea occidentale sta schivando i colpi contro Kyiv, ma l’Ucraina è troppo grande per proteggerla tutta contemporaneamente. 

Gli Stati Uniti (i repubblicani) dovrebbero sbloccare in fretta il pacchetto di aiuti da sessanta miliardi per Kyiv, ma nel frattempo l’Europa dovrebbe colmare il vuoto, perché questa guerra riguarda casa sua. Sta all’Europa capire se rivedere le priorità o prendersi il rischio di vivere – fra due o sei anni – con a fianco un Putin più aggressivo, più vicino, riorganizzato e meglio armato, che avrebbe molte ragioni in più rispetto a quelle che ha ora di sentirsi invincibile. Non perché sia il più forte, ma se gli permettiamo di batterci in determinazione. 
 

Di più su questi argomenti: