il consiglio europeo
In Ucraina ora in gioco c'è la credibilità di tutta l'Europa
Inizia il Consiglio europeo. Per gli aiuti a Kyiv si trova un piano B, per l’adesione serve l’unità. La vittoria contro Putin non è “per amore” dell’Ucraina, ma dell’Ue. Il segnale ai regimi
Bruxelles. Il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ieri ha chiesto ai capi di stato e di governo dell’Ue di avere “l’audacia di fare le scelte giuste” in quello che ha definito un vertice “cruciale”. E’ cruciale per l’Ucraina, che ha bisogno di tutto l’aiuto finanziario e militare possibile per continuare a difendersi dalla guerra di aggressione di Vladimir Putin e respingere la Russia dai territori che continua a occupare. Ma il Consiglio europeo che si apre oggi a Bruxelles è ancor più cruciale per la stessa Ue. Perché – come ha scritto Michel nella sua lettera di invito ai leader – “il 24 febbraio 2022 ha segnato una svolta nella storia dell’Europa”. A essere stato attaccato non è solo il territorio di un paese sovrano, per il semplice fatto di voler determinare da solo il proprio destino. A essere attaccati sono la pace, il sistema internazionale basato sulle regole, l’inviolabilità delle frontiere, l’ordine di sicurezza europeo e la democrazia liberale. Dalle decisioni che prenderanno i leader – sui negoziati di adesione con l’Ucraina, la Moldavia e i Balcani occidentali, così come sugli aiuti finanziari a Kyiv – dipendono la credibilità interna ed esterna dell’Ue, la sua capacità di essere un attore influente in un mondo in cui si accumulano le minacce e, alla fine, la ragione d’essere dell’Europa come entità politica. La scelta è binaria. Non ci sono sfumature di grigio. O tutto, o niente. E chi non ci sta (o fa giochetti come Viktor Orbán) è fuori.
Lunedì, rispondendo a una domanda del Foglio, il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, ha spiegato che un fallimento del Consiglio europeo sarebbe grave per il morale dell’Ucraina, ma molto peggio per l’Ue. Gli ucraini continueranno a combattere anche senza aiuti occidentali, perché non vogliono rinunciare alla loro libertà sottomettendosi a Putin. Chi pensa che una mancata decisione sui negoziati di adesione “possa aprire la strada a concessioni o negoziati con la Russia sta facendo un errore di calcolo”, ha detto Kuleba. Ma sul campo di battaglia non si decide solo il futuro dell’Ucraina. “Ciò che è in gioco è la prosperità e la sicurezza dell’intera Ue”, ha avvertito il ministro degli Esteri di Kyiv. L’aggettivo “esistenziale” non è usato a caso dai leader dei paesi baltici e nordici, quando parlano della guerra. Sono i prossimi a rischiare di finire nelle mire del Cremlino. Ma l’aggettivo si applica anche all’Ue e all’occidente. “Non posso accettare nessun tipo di apatia o fatica sull’Ucraina”, ha detto il premier polacco, Donald Tusk: “Questo è qualcosa di inaccettabile perché non parliamo solo di Ucraina, di guerra e aggressione della Russia. Parliamo del nostro futuro”. Per Tusk, serve “la totale mobilitazione del mondo libero”. (Carretta segue nell’inserto I)
La mobilitazione totale dell’Ue a favore dell’Ucraina finora non c’è stata. Sanzioni, armi, soldi: molto è stato fatto, ma non a sufficienza per permettere a Kyiv di vincere. La rapidità con cui l’Ue ha reagito dal 24 febbraio 2022 può essere “storica” per i suoi standard, ma è inadeguata rispetto alla sfida di questa guerra. La risposta è inadeguata rispetto a ciò che può fare una delle regioni del mondo più ricche, industrializzate e tecnologicamente avanzate. Vladimir Putin ha trasformato l’economia della Russia in economia di guerra, un’espressione che Emmanuel Macron aveva usato per la prima volta per l’Ue nel giugno del 2022, senza che si sia mai concretizzata. La Corea del nord ha fornito più munizioni alla Russia in quattro mesi di quelle che gli europei sono in grado di fornire a Kyiv in un anno. Mosca è riuscita ad aggirare le sanzioni americane ed europee, perché l’Ue non ha ancora avuto il coraggio di prendere misure contro i paesi che partecipano all’elusione come Cina, Turchia o Kazakistan.
Al Consiglio europeo di oggi e domani la questione centrale non sono gli aiuti finanziari per l’Ucraina. Veto di Orbán o no, sui soldi esiste sempre la possibilità di trovare un “piano B” (rinnovare l’assistenza macrofinanziaria da 18 miliardi adottata per il 2023 oppure passare a un programma intergovernativo a ventisei). Anche gli aiuti militari possono essere forniti dai singoli stati membri per via bilaterale invece che nel quadro dell’Ue. Ciò che conta per Volodymyr Zelensky, che potrebbe passare a Bruxelles per fare pressione sui leader europei, sono i negoziati di adesione all’Ue, su cui il veto del premier ungherese è impossibile da aggirare. Negli ultimi giorni ci sono stati alcuni piccoli segnali di apertura da parte di Budapest. La Commissione ha sbloccato 10 miliardi di fondi per l’Ungheria, che erano stati congelati per le violazioni dello stato di diritto. Michel cercherà di convincere Orbán con un compromesso tutto europeo: questo vertice prenderà la decisione di avviare i negoziati di adesione, che si materializzeranno solo dopo una conferma all’unanimità al Consiglio europeo di marzo. L’Ue potrebbe rivendicare unità e successo. Zelensky potrebbe tornare a Kyiv con un risultato per ridare morale agli ucraini. Ma nessuno sa quello che farà Orbán. E sull’allargamento il suo veto conta più di ventisei “sì”. “La vera questione è il segnale politico che inviamo all’Ucraina e il segnale geopolitico che inviamo al resto del mondo”, spiega al Foglio un funzionario dell’Ue. “Ciò di cui abbiamo bisogno è rafforzare la convinzione che l’Ucraina possa vincere questa guerra, che noi possiamo vincere questo scontro contro non solo la Russia, ma contro quella parte del mondo che è contro i nostri valori e interessi fondamentali”, ha detto ieri Tusk. La decisione sui negoziati non va presa “solo per amore dell’Ucraina”, conferma un diplomatico: un fallimento al Consiglio europeo sarebbe un “segnale catastrofico”. Mosca, Pechino e tutti gli altri giungerebbero a una conclusione: l’Ue semplicemente non esiste.
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