Alle origini dell'odio
“I Protocolli” di Brasol. Ritratto del russo che portò l'antisemitismo in America
Avvocato, criminologo, ma anche critico letterario, durante la Prima guerra mondiale Boris Brasol cominciò a diffondere negli Stati Uniti le sue teorie contro gli ebrei. Fu lui a portare in America e a tradurre I protocolli dei Savi di Sion
L’antisemitismo negli Stati Uniti sta raggiungendo “dei livelli storici”. L’ha detto il direttore dell’Fbi a fine ottobre, dopo il terribile attacco terroristico di Hamas e la risposta del governo israeliano. Davanti a una commissione del Senato ha aggiunto che “anche se gli ebrei sono solo il 2,4 per cento dei cittadini americani, il 60 per cento dei crimini a sfondo religioso li vede come vittime”. E seppur l’odio anti ebraico che abbiamo visto in questi mesi in America sia un’emergenza, sappiamo che non è nato da un giorno all’altro, ma è stato facilitato nel corso dei decenni da alcuni individui che hanno avvelenato il paese con teorie del complotto e stereotipi tossici.
Uno di questi è Boris Brasol. Avvocato, criminologo, ma anche critico letterario, Brasol fondò la Pushkin Society e scrisse testi su Dostoevskij e Oscar Wilde. Nato nell’impero russo nel 1885, durante la Prima guerra si stabilì a New York e, arrabbiato per il rovesciamento dei Romanov, iniziò a partecipare al dibattito pubblico dicendo che la rivoluzione bolscevica era tutta un complotto degli ebrei contro il mondo. Già prima, in Russia, da avvocato aveva cercato di montare un caso incolpando alcuni ebrei di aver ucciso dei bambini per compiere riti di sangue – una storia che ritorna da secoli. Quando scoprì I protocolli dei Savi di Sion, un testo russo dove si racconta del piano segreto degli ebrei per conquistare il mondo, decise di usarlo come strumento propagandistico.
Lo portò in America e lo fece tradurre. Brasol riuscì anche a convincere Henry Ford, l’imprenditore citato anche nel Mein Kampf e di cui Hitler teneva una foto in ufficio, a pubblicare centinaia di migliaia di copie dei Protocolli e a trasformare il giornale di cui era proprietario, il Dearborn Independent, in un megafono antisemita. Il giornale di Ford nel 1920 fece un titolo in prima pagina che diceva: “L’ebreo internazionale: il problema del mondo”. Dopo la virata esplicitamente antisemita, i lettori del giornale aumentarono. I temi spinti da Brasol e da Ford sono quelli che diventeranno poi colonne portanti del pensiero hitleriano e prepareranno il terreno per la soluzione finale.
Già allora i Protocolli si rivelarono un documento falso, oltre che piuttosto dozzinale, scritto da russi per legittimare i pogrom, ma nonostante fosse stato smascherato, ebbe grande fortuna e oggi ne sentiamo ancora l’eco nei discorsi contro George Soros. Il libretto è spesso condiviso dai movimenti arabi anti sionisti e da quelli dell’estrema destra europea.
Brasol riuscì nei suoi intenti anche attraverso la rete di rapporti che creò lavorando per la Military Intelligence Division, un’agenzia del dipartimento della Guerra allora concentratissima nel cercare di ripulire l’America da possibili disfattisti, anarchici e comunisti. Brasol raccoglieva informazioni e le riferiva alla divisione presentandole con una certa enfasi – i sospettati sono ebrei! I banchieri Warburg danno i soldi a Trockij! – ma continuò la sua collaborazione col governo. Tramite Harris Houghton, membro dell’intelligence e infervorato quanto Brasol, diverse copie dei Protocolli arrivarono anche a vari membri del gabinetto del presidente e una in particolare arrivò al presidente Woodrow Wilson.
Dopo aver fatto diventare mainstream la teoria del complotto dei banchieri che vogliono conquistare il mondo, Brasol fu sorvegliato durante la Seconda guerra mondiale dall’Fbi per via dei suoi rapporti stretti con figure di spicco del nazismo europeo e con ufficiali della Gestapo. E anche per qualche misterioso viaggio fatto in Germania appena prima dello scoppio dei conflitti.
Sarebbe contento oggi di vedere che i discorsi su cui lui stesso puntava per “ripulire il mondo dagli ebrei” sono diventati slogan urlati alle manifestazioni pro Hamas e nei campus delle università Ivy League.
Cose dai nostri schermi