Gantz l'americano

Benny Gantz rimprovera Bibi e dice che serve Biden per eliminare Hamas

Micol Flammini

Senza gli Stati Uniti, Israele non va lontano. Il leader dell'opposizione lo sa, ha studiato il precedente del 2009

Sono giorni in cui la conta degli ostaggi rimasti dentro la Striscia di Gaza si fa più dolorosa. L’esercito ieri ha detto di aver aperto il fuoco contro tre degli israeliani  in prigionia, li ha uccisi pensando fossero sospetti. Nelle ore precedenti aveva confermato di aver trovato i cadaveri di altri ostaggi. I  combattimenti a Gaza sono feroci, imprecisi e senza sosta.  Da quando Hamas ha rotto la tregua la preoccupazione è andata agli oltre cento cittadini ancora nella Striscia, di cui non si sa nulla, e se si inizia a sapere qualcosa è sempre la peggiore. La questione degli ostaggi ha unito gli israeliani finora, l’impatto che queste morti avranno sulla società è difficile da quantificare. Il dolore cercherà una risposta politica che gli israeliani  bisbigliano da un po’: le dimissioni del premier Benjamin Netanyahu e magari l’arrivo al suo posto di Benny Gantz. Ispira sicurezza, è visto come un  servitore dello stato responsabile. Secondo alcuni osservatori questa fiducia nei confronti di Gantz non è destinata a durare a lungo.  

 

E’ stato capo di stato maggiore,  ministro della Difesa, prima o poi emergerà anche il suo nome nell’elenco dei responsabili delle lacune che hanno portato al 7 ottobre. Emergeranno i nomi di tutti, a dire il vero, ma Gantz è stato il primo a chiedere scusa e anche questo ha un peso nelle opinioni degli israeliani. Consapevole di non dover rinunciare al suo ruolo di anti Bibi, nonostante sieda nel gabinetto di guerra assieme a lui, Gantz ne   approfitta per rimarcare la distanza che c’è  tra lui e il premier, in termini interni ed esterni. Ha ricordato che l’unico modo per non vedere più Gaza come un pericolo è affidarsi alla strategia degli Stati Uniti che parlano di collaborazione con i paesi arabi moderati e con l’Autorità palestinese. Non sono piani che fanno stare tranquilli gli israeliani, Abu Mazen è debole, il suo partito Fatah è in trasformazione, e Netanyahu non ha tutti i torti nel dire che è impossibile fidarsi.  Gaza sarà ricostruita, ma la domanda è: secondo quali princìpi? Gli investitori non mancano, ma a seconda di chi  metterà i soldi, cambierà il futuro della Striscia, e soltanto muovendosi con gli americani Israele può avere un futuro sicuro. Non sono sempre in antitesi gli argomenti di Gantz e di Netanyahu  e anche il leader di Unità nazionale riconosce che la guerra sarà un processo lungo, che ci sarà nel breve termine un controllo israeliano riguardo alla sicurezza nella Striscia, ma per il resto soltanto affidandosi alla collaborazione con i paesi arabi, la sicurezza regionale potrà essere davvero rivoluzionata. Era questo il principio anche degli Accordi di Abramo.   

 

Nel 2009, durante l’operazione Piombo fuso a Gaza, l’allora responsabile del comando meridionale dell’esercito Yoav Gallant, oggi ministro della Difesa,  disse al premier Ehud Olmert di dargli più tempo per finire i combattimenti perché riteneva di essere sul punto di eliminare Hamas. Olmert non glielo concesse: perché alla Casa Bianca stava per arrivare Barack Obama e gli americani avevano chiarito, senza possibilità di cambiare idea, che la guerra  dovesse finire prima dell’inaugurazione della nuova presidenza il 20 gennaio. Così andò, Hamas restò dov’era, c’è stato il 7 ottobre, è iniziata   l’operazione Spade d’acciaio, che per ora ha il sostegno di Biden per andare avanti. Gantz – il cui partito Unità nazionale se si votasse oggi potrebbe ottenere fino a 43 seggi – cerca di non perdere questo appoggio necessario per  eliminare davvero  Hamas.  
 

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)