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Dopo le elezioni

Nei Paesi Bassi nessuno vuole governare con Wilders, ma qualcuno dovrà farlo. Danze di coalizione

Francesco Gottardi

Al premier in pectore conviene attendere e mostrarsi perfino responsabile: sa che l’ultima parola tocca a lui, ma prima serve quella degli altri 

Basta un foglietto per riassumere a che punto è la formazione del nuovo governo olandese: “Non con Pvv e Bbb”. Spunta dalla cartellina di Pieter Omtzigt, a favore di telecamere. Difficile credere a una svista: il leader del Nuovo contratto sociale si era trovato dall’altra parte della barricata soltanto due anni fa, quando un appunto sfuggito alla responsabile delle scorse consultazioni  aveva rischiato di far saltare sul nascere il Rutte IV. Un giro di urne più tardi, a quasi un mese dall’exploit elettorale di Geert Wilders, la situazione non appare molto più stabile. Il primo scout designato dall’ultradestra per la fase esplorativa – Gom van Strien, Pvv – è durato tre giorni: su di lui penderebbe una denuncia per frode. Wilders non sapeva. Potrebbe quasi essere un colpo di fortuna, perché l’imbarazzo ha costretto i sovranisti a virare su un profilo al di sopra di ogni sospetto:  Ronald Plasterk, ex ministro dell’Interno e pezzo grosso del PvdA di Timmermans. Che ha detto, lunedì sera: “Un esecutivo di destra è possibile e doveroso. I cittadini lo vogliono. Ma è tempo che i leader di questi quattro partiti si guardino profondamente negli occhi”.


Numeri alla mano – 7 seggi, pochini – a Caroline van der Plas (Contadini-cittadini) non resta che mostrarsi  pronta ad abbracciare qualsiasi gabinetto a trazione Wilders. Tecnicamente il suo appoggio potrebbe anche non servire. Ma al premier in pectore fa comodo per alzare la voce contro i moderati: insieme, nella nuova Tweede kamer, Pvv e Bbb pesano quanto Vvd e Nsc. A Geert, in questa anticamera di negoziati, convenga aspettare. E mostrarsi perfino responsabile: sa che l’ultima parola tocca a lui, ma prima serve quella degli altri. Dilan Yesilgöz intanto ha ammesso la sconfitta, ritiene che il suo Vvd meriterebbe il castigo dell’opposizione. Ma allo stesso tempo non vuole sottarsi al “senso di responsabilità istituzionale”. Tradotto, un governo di larghe intese con l’appoggio esterno dell’ex partito di Rutte sarebbe accettabile. Omtizgt è invece  vero rebus dell’Aia. Nel rapporto pubblicato da Plasterk, si legge che “il leader del Nsc non desidera unirsi a Pvv e Bbb, né è preparato ad avviare altre trattative con il Pvv. Ma sarebbe disposto – e questa è la sorpresa  – a sostenere una larga coalizione”. Come aveva detto prima di lui Yesilgöz. Ma senza Vvd e Nsc l’esecutivo non regge; e nessuno dei due vuole ritrovarsi a governare da solo con Wilders, lasciando all’altro l’occasione di riscattarsi agli occhi degli elettori.


C’è poi un altro tema cruciale, messo sul tavolo da Omtzigt: la garanzia “dello stato di diritto”. Non è una banalità, perché nel programma elettorale di Wilders si sono molte iniziative contrarie alla costituzione olandese, come la chiusura di scuole islamiche e moschee, la messa al bando del Corano. Su questo  Plasterk farà valere il suo peso. In generale, il capo del Pvv dovrà ridimensionare il registro della campagna elettorale. Pena l’incarico di primo ministro. “La questione delle frontiere e dei richiedenti asilo è cento volte più importante dei punti che mi vengono contestati”, dice. Sul clima spuntano le prime crepe: Vvd e Nsc non strizzano l’occhio al Green deal, ma nemmeno gridano alla “congiura ecologista” come fa l’altra accoppiata. Sulle riforme – pensioni, sanità, pubblica amministrazione – si rischia lo stallo. In politica estera il caos. “I partiti dovranno elaborare una loro agenda di governo”, prende nota lo scout.

Nei corridoi del Binnenhof, nessuno si aspetta che l’intero processo duri meno di un altro mese. Ma Plasterk lancia il monito: “L’unico scenario intollerabile sarebbe tornare alle urne, un insulto verso tutti gli olandesi”. E un ulteriore pericolo per chi alle urne aveva perso: oggi Wilders continua a crescere nei sondaggi.  
 

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