Trump, il ritorno. Quando tutte le strade sembrano portare a una dittatura
Trump sta correndo contro il sistema. Biden è l'incarnazione vivente del sistema. Vantaggio: Trump. Un sistema giudiziario che non è riuscito a controllare Trump come individuo privato non lo controllerà di certo quando sarà presidente degli Stati Uniti e sarà lui a nominare il proprio procuratore generale
Al primo mandato, The Donald ha manomesso la democrazia americana, e non si riesce ad aggiustarla. Ora che vuole il secondo mandato, s’aggiunge la determinazione a vendicarsi. Un saggio di Robert Kagan
Smettiamola di credere alle false illusioni e affrontiamo la cruda realtà: negli Stati Uniti esiste un percorso chiaro verso la dittatura, che si accorcia ogni giorno di più. Fra 13 settimane Donald Trump avrà conquistato la nomination repubblicana. Nella media dei sondaggi di RealClearPolitics (per il periodo dal 9 al 20 novembre), Trump è in vantaggio di 47 punti sul concorrente più vicino e di 27 punti su tutti gli altri sommati. L’idea che sia ineleggibile alle elezioni generali è insensata – in tutti gli ultimi sondaggi Trump pareggia o è in vantaggio sul presidente Biden – e priva gli altri sfidanti repubblicani della loro ragione di esistenza. Il fatto che molti americani potrebbero preferire altri candidati, fatto tanto sbandierato da politici saggi come Karl Rove, diventerà presto irrilevante quando milioni di elettori repubblicani si presenteranno per scegliere la persona che nessuno presumibilmente vuole.
Da molti mesi viviamo in un mondo di auto-illusione, pieno di eventualità solo immaginate. Forse sarà Ron DeSantis, o forse Nikki Haley. Forse le innumerevoli accuse giudiziarie di Trump lo allontaneranno dagli elettori dei sobborghi. Una speranzosa speculazione come questa ci ha permesso di andare avanti passivamente, fare le nostre cose come al solito, senza reagire in modo drammatico per cambiare il corso della situazione, nella speranza e in attesa che qualcosa accadrà. Come le persone su una barca in mezzo al fiume, da tempo sappiamo che c’è una cascata davanti, ma supponiamo che in qualche modo troveremo la soluzione per raggiungere la costa prima di arrivarci. Ma ora le azioni necessarie per tornare a terra sembrano sempre più difficili, se non assolutamente impossibili.
La fase del pensiero magico sta finendo. Fatto salvo qualche miracolo, Trump sarà presto il presunto candidato repubblicano alla presidenza. Quando ciò accadrà, ci sarà un cambiamento rapido e drammatico nella dinamica del potere politico, a suo favore. Finora, i repubblicani e i conservatori hanno goduto di relativa libertà per esprimere sentimenti anti Trump, per parlare apertamente e positivamente di candidati alternativi, per tentare critiche sul comportamento passato e presente di Trump. I donatori che trovano Trump disgustoso sono stati liberi di distribuire i loro soldi per aiutare i suoi concorrenti. I repubblicani dell’establishment non hanno nascosto la loro speranza che Trump venga condannato, e quindi rimosso dall’equazione senza dover prendere posizione contro di lui.
Tutto questo finirà quando Trump vincerà il Super Tuesday. I voti sono la valuta del potere nel nostro sistema, e il denaro segue, e con queste misure Trump sta per diventare molto più potente di quanto non sia già. L’ora del casting per le alternative si sta chiudendo. La fase successiva riguarda le persone che si sottometteranno.
Infatti, è già tutto iniziato. Con la sua nomina che diventa inevitabile, i donatori stanno iniziando a passare da altri candidati a Trump. La recente decisione del network politico di Koch di andare dietro alla speranzosa candidata del Gop Nikki Haley è a malapena sufficiente per cambiare questa traiettoria. E perché? Se Trump sarà il candidato, ha senso passare con lui finché è ancora grato ai disertori. Anche i donatori anti Trump devono chiedersi se la loro causa è meglio servita quando si allontanano del tutto dall’uomo che ha una ragionevole possibilità di essere il prossimo presidente. I dirigenti aziendali metteranno in pericolo gli interessi dei loro azionisti solo perché loro o i loro coniugi odiano Trump? Non sorprende che le persone con parecchi soldi appesi a un filo siano i primi a cambiare casacca.
Il resto del Partito repubblicano seguirà rapidamente. La recente esortazione di Rove che gli elettori delle primarie scelgano chiunque ma non Trump, è l’ultima supplica di questo tipo che probabilmente sentiremo da parte di qualcuno che ha un futuro nel partito. Anche in una campagna elettorale normale, il dissenso intrapartitico inizia a scomparire una volta che le primarie producono un chiaro vincitore. La maggior parte dei principali candidati si sono già impegnati a sostenere Trump dovesse essere il candidato, anche prima che abbia vinto un solo voto alle primarie. Immaginate la loro postura dopo che vincerà il Super Tuesday. La maggior parte dei candidati che ora lo sfidano correranno da lui, facendo campagna in suo favore. Dopo il Super Tuesday, per un repubblicano non ci sarà un percorso più sicuro e più breve per la presidenza che diventare nel ticket elettorale il fedele compagno di un uomo che avrà 82 anni nel 2028.
I repubblicani che hanno cercato di attraversare l’era Trump mescolando appelli agli elettori non trumpiani con ripetute professioni di fedeltà a Trump finiranno questo show. Per quanto sia pericoloso per i repubblicani dire una parola negativa su Trump oggi, sarà impossibile una volta che avrà ottenuto la nomination. Il partito sarà in piena modalità elezioni generali, subordinando tutto alla campagna presidenziale. Quale repubblicano o conservatore si opporrà a Trump allora? La pagina editoriale del Wall Street Journal, che si è opposta in modo piuttosto deciso a Trump, continuerà a farlo una volta che sarà il candidato e la scelta tra Trump e Biden sarà una scelta binaria? Non ci saranno più lotte intestine, ma solo lotte esterne; in breve, uno tsunami di sostegno a Trump da tutte le direzioni. Un vincitore è un vincitore. E un vincitore che ha una ragionevole possibilità di esercitare tutto il potere che c’è da esercitare nel mondo attirerà consensi a prescindere da chi sarà. Questa è la natura del potere, in qualsiasi momento e in qualsiasi società. Ma Trump non dominerà solo il suo partito. Diventerà di nuovo il centro dell’attenzione di tutto. Già oggi i media non possono fare a meno di seguire ogni parola e azione di Trump. Una volta ottenuta la nomination, egli incomberà sul paese come un colosso, ogni sua parola e gesto saranno oggetto di una cronaca infinita. Ancora oggi, i media tradizionali, tra cui il Post e Nbc News, stanno unendo le forze con gli avvocati di Trump per ottenere la copertura televisiva del suo processo penale federale a Washington. Trump intende usare il processo per promuovere la sua candidatura e screditare il sistema giudiziario americano come corrotto – e i media, al servizio dei loro interessi, lo aiuteranno a farlo.
Trump entrerà quindi nella campagna elettorale generale all’inizio del prossimo anno con un certo slancio, sostenuto da crescenti risorse politiche e finanziarie e da un partito sempre più unito. Si può dire lo stesso di Biden? Il potere di Biden crescerà nei prossimi mesi? Il suo partito si unirà attorno a lui, oppure l’allarme e i dubbi dei democratici, che sono già alti, continueranno ad aumentare? Anche in questo momento, il presidente è alle prese con defezioni a due cifre tra americani di colore ed elettorato più giovane. Jill Stein e Robert F. Kennedy Jr. hanno già lanciato, rispettivamente, campagne con un terzo partito e da indipendente, attaccando Biden soprattutto dalla sinistra populista. La decisione del senatore democratico Joe Manchin III di non ricandidarsi per la rielezione in West Virginia e di prendere in considerazione una candidatura con un altro partito alla presidenza è potenzialmente devastante. E’ probabile che la coalizione democratica rimanga frammentata mentre i repubblicani si unificano e Trump consolida la sua posizione. Biden, come alcuni hanno sottolineato, non gode dei consueti vantaggi dell’essere il presidente in carica. Dopotutto, anche Trump di fatto è stato in carica. Ciò significa che Biden non può fare la solita affermazione del presidente in carica, secondo cui l’elezione dell’avversario rappresenta un salto nell’ignoto. Pochi repubblicani considerano la presidenza Trump come anomala o fallimentare. Nel suo primo mandato, gli “adulti” rispettati che l’hanno circondato non solo hanno bloccato alcuni dei suoi impulsi più pericolosi, ma li hanno anche tenuti nascosti al pubblico. Ancora oggi, alcuni di questi stessi funzionari raramente parlano pubblicamente attaccandolo. Perché gli elettori repubblicani dovrebbero avere un problema con Trump se coloro che lo hanno servito non ce l’hanno? A prescindere da ciò che pensano i nemici di Trump, questa sarà una battaglia tra due presidenti legittimi e collaudati. Trump, nel frattempo, gode del solito vantaggio del non essere in carica, ovvero la mancanza di responsabilità. Biden deve portare i problemi del mondo come una pietra intorno al collo, come ogni presidente in carica, ma la maggior parte dei presidenti in carica può almeno affermare che l’avversario è troppo inesperto per affrontare la gestione di queste crisi. Biden non può.
Sotto l’egida di Trump non c’è stata un’invasione su larga scala dell’Ucraina, né un grave attacco a Israele, né un’inflazione incontrollata, né una disastrosa ritirata dall’Afghanistan. E’ difficile dimostrare l’inadeguatezza di Trump a chi non ci crede già. Inoltre, Trump gode di alcuni vantaggi insoliti per uno sfidante. Ronald Reagan non aveva dalla sua né Fox News né speaker della Camera. Se esistono dei vantaggi strutturali per le prossime elezioni generali, insomma, li ha tutti Trump. E questo prima ancora di arrivare al problema che ha Biden, problema che non può risolvere: la sua età.
Trump gode anche di un altro vantaggio. L’umore nazionale a meno di un anno dalle elezioni è di disgusto bipartisan verso il sistema politico in generale. Raramente nella storia americana è stato così evidente il disordine instrinseco della democrazia. Nella Germania di Weimar, Hitler e altri agitatori traevano vantaggio dalla litigiosità dei partiti democratici, di destra e di sinistra, dalle interminabili lotte sul bilancio, dagli ingorghi nella legislatura, dalle coalizioni fragili e fratturate. Gli elettori tedeschi desideravano sempre di più qualcuno che desse un taglio a tutto questo e portasse a termine qualcosa, qualsiasi cosa. Non importava nemmeno chi ci fosse dietro la paralisi politica, se l’intransigenza provenisse da destra o da sinistra. Oggi i repubblicani potrebbero essere responsabili per il malfunzionamento di Washington e potrebbero pagarne il prezzo nelle elezioni non presidenziali. Ma Trump beneficia della disfunzione perché è colui che offre una risposta semplice: lui stesso. In queste elezioni, è il candidato con il messaggio “posso usare un potere senza precedenti per ottenere le cose, e al diavolo le regole”. E un numero crescente di americani sostiene di volere questa cosa, in entrambi i partiti. Trump sta correndo contro il sistema. Biden è l’incarnazione vivente del sistema. Vantaggio: Trump.
Il che ci porta ai fronti legali sempre più numerosi di Trump. Senza dubbio Trump avrebbe preferito candidarsi senza passare la maggior parte del tempo a respingere i tentativi di metterlo in prigione. Tuttavia, è nelle aule di tribunale che nei prossimi mesi mostrerà il suo insolito potere all’interno del sistema politico americano. E’ difficile dare torto a coloro che hanno portato Trump in tribunale. Sicuramente ha commesso almeno uno dei crimini di cui è accusato; non abbiamo bisogno di un processo per sapere che ha cercato di sovvertire le elezioni del 2020. Né si possono biasimare coloro che hanno sperato in questo modo di ostacolare il suo cammino verso lo Studio Ovale. Quando un predone si sta abbattendo su casa tua, gli lanci addosso tutto quello che puoi – pentole, padelle, candelabri – nella speranza di rallentarlo e farlo inciampare. Ma questo non significa che funzioni. Trump non sarà contenuto dai tribunali o dallo Stato di diritto. Al contrario, userà i processi per mostrare il suo potere. Ecco perché vuole che siano trasmessi in televisione. Il potere di Trump deriva dal suo seguito, non dalle istituzioni del governo americano, e i suoi devoti elettori lo amano proprio perché supera le barriere e ignora i vecchi confini. Si sentono autorizzati da questo, e questo a sua volta dà potere a lui. Anche prima dell’inizio dei processi, si prende gioco dei giudici, costringendoli a cercare di mettergli la museruola, sfidando i loro ordini. E’ un po’ come King Kong che prova le catene alle braccia, intuendo che può liberarsi quando vuole. E aspettate che i voti inizino ad arrivare. I giudici metteranno in prigione il candidato repubblicano per oltraggio alla corte? Quando sarà chiaro che non lo faranno, l’equilibrio del potere all’interno del tribunale, e nel paese in generale, si sposterà di nuovo verso Trump. L’esito più probabile dei processi sarà quello di dimostrare l’incapacità del nostro sistema giudiziario di contenere una persona come Trump e, incidentalmente, di rivelare l’impotenza del sistema nel controllarlo dovesse diventare presidente. Incriminare Trump per aver cercato di rovesciare il governo si rivelerà simile a incriminare Cesare per aver attraversato il Rubicone, e sarà altrettanto efficace. Come Cesare, Trump esercita un potere che trascende le leggi e le istituzioni del governo, basato sull’incrollabile fedeltà personale del suo esercito di seguaci.
Ho detto tutto questo solo per rispondere a una semplice domanda: Trump può vincere le elezioni? La risposta, a meno che non accada qualcosa di radicale e imprevisto, è: certo che può. Se così non fosse, il Partito democratico non sarebbe in preda al panico. Se Trump vincerà le elezioni, diventerà immediatamente la persona più potente che abbia mai ricoperto quella carica. Non solo eserciterà gli impressionanti poteri dell’esecutivo americano – poteri che, come lamentavano i conservatori, sono cresciuti nel corso dei decenni – ma lo farà con il minor numero di vincoli di qualsiasi altro presidente, ancora meno di quelli del suo primo mandato. Cosa limita questi poteri? La risposta più ovvia è: le istituzioni della giustizia, che Trump, con la sua stessa elezione, avrà sfidato e rivelato come impotenti. Un sistema giudiziario che non è riuscito a controllare Trump come individuo privato non lo controllerà di certo quando sarà presidente degli Stati Uniti e sarà lui a nominare il proprio procuratore generale e tutti gli altri alti funzionari del Dipartimento di Giustizia. Pensate al potere di un uomo che si fa eleggere presidente nonostante le accuse, le apparizioni in tribunale e forse anche la condanna. Obbedirebbe a una direttiva della Corte suprema? O chiederebbe invece quante divisioni corazzate ha il presidente della Corte? Un Congresso in futuro lo fermerà? Al giorno d’oggi i presidenti possono fare molto senza l’approvazione del Congresso, come ha dimostrato anche Barack Obama. Gli unici controlli che il Congresso ha su un presidente disonesto, l’impeachment e la condanna, si sono già rivelati quasi impossibili, anche quando Trump non era presidente ed esercitava un modesto potere istituzionale sul suo partito.
Un’altra tradizionale forma di controllo su un presidente è la burocrazia federale, quel vasto apparato di funzionari governativi che eseguono le leggi e portano avanti le operazioni di governo sotto ogni presidente. In genere, il loro compito è quello di limitare le opzioni di presidente. Come disse una volta Harry S. Truman: “Povero Ike. Dice ‘fai questo’ e ‘fai quello’ e non succede niente”. Questo è stato un problema per Trump durante il suo primo mandato, in parte perché non aveva una propria squadra di governo per riempire l’amministrazione. Questa volta lo farà. Coloro che sceglieranno di servire nella sua seconda amministrazione entreranno in carica con l’intenzione di rifiutarsi di eseguire i suoi desideri. Se la Heritage Foundation farà la sua parte, e non c’è motivo di credere che non la farà, molti di questi burocrati di carriera se ne andranno, sostituiti da persone accuratamente “vagliate” per garantire la loro fedeltà a Trump. E che dire del desiderio di rielezione, un fattore che limita la maggior parte dei presidenti? Trump potrebbe non volere o avere bisogno di un terzo mandato. E se decidesse di volerne uno, come ha talvolta indicato, davvero il 22esimo emendamento eviterebbe più efficacemente che diventasse presidente a vita rispetto invece a portare tutto davanti alla Corte Suprema, se rifiutasse di essere bloccato dall’emendamento? Perché si dovrebbe pensare che questo emendamento sia più sacrosanto di qualsiasi altra parte della Costituzione per un uomo come Trump o, forse più importante, per i suoi devoti sostenitori? Un ultimo vincolo per i presidenti è stato il loro desiderio di una legacy scintillante, con il successo tradizionalmente misurato in termini che equivalgono approssimativamente al benessere del paese. Ma è questo il modo di pensare di Trump? Sì, Trump potrebbe cercare una grande legacy, ma desidera solo la sua gloria. Come per Napoleone, che parlava della gloria della Francia, ma le cui ambizioni ristrette a sé e alla sua famiglia portarono la Francia alla rovina, le ambizioni di Trump, anche se parla di rendere l’America di nuovo grande, iniziano e finiscono chiaramente con se stesso. Per quanto riguarda i suoi seguaci, non deve ottenere nulla per mantenere il loro sostegno: la mancata costruzione del muro durante il suo primo mandato non ha danneggiato in alcun modo la posizione di milioni di suoi fedelissimi. Non gli hanno mai chiesto nulla se non di trionfare su quelle forze della società americana che loro odiano. E questa, possiamo esserne certi, sarà la missione principale di Trump come presidente.
Avendo risposto alla domanda se Trump possa vincere, possiamo ora affrontare la domanda più pressante: questo suo secondo mandato si trasformerà in una dittatura? Le probabilità, ancora una volta, sono piuttosto alte.
Vale la pena entrare un po’ nella mente di Trump e immaginare il suo stato d’animo dopo una vittoria elettorale. Avrà trascorso l’anno precedente, e più, lottando per evitare la prigione, tormentato da innumerevoli accusatori e incapace di fare ciò che gli piace di più: vendicarsi. Pensate alla furia che si sarà accumulata dentro di lui, una furia che, dal suo punto di vista, ha dovuto contenere con molta fatica. Come ha detto una volta: “Penso di essere stato molto limitato, se volete sapere la verità. Potrei riaccendere tutto”. Certamente potrebbe, e lo farà. Abbiamo potuto saggiare la sua profonda sete di vendetta quando ha promesso, nel giorno dei Veterani, di “eliminare i comunisti, i marxisti, i fascisti e gli estremisti di sinistra che vivono come vermi all’interno del nostro paese, mentono, rubano e imbrogliano alle elezioni, e faranno tutto ciò che è possibile, legale e illegale, per distruggere l’America e il sogno americano”. Notate l’equiparazione tra sé stesso e “l’America e il sogno americano”. E’ convinto che lo vogliono distruggere e, da presidente rieletto, restituirà il favore.
Come? Trump ha già citato alcuni di coloro che intende perseguire una volta eletto: funzionari che hanno ricoperto incarichi importanti durante il suo primo mandato. come il generale in pensione John F. Kelly, il generale Mark A. Milley, l’ex procuratore generale William P. Barr e altri che hanno detto cose contro di lui dopo le elezioni del 2020; funzionari dell’Fbi e della Cia che lo hanno indagato nell’inchiesta sulla Russia; funzionari del dipartimento di Giustizia che hanno rifiutato le sue richieste di annullare le elezioni del 2020; membri della commissione sul 6 gennaio; avversari del Partito democratico come il rappresentante Adam B. Schiff (California); e repubblicani che hanno votato a favore o pubblicamente sostenuto il suo impeachment e la sua condanna.
Ma questo è solo l’inizio. Dopotutto, Trump non sarà l’unico a cercare vendetta. La sua Amministrazione sarà piena di persone con la propria lista di nemici, un gruppo determinato di funzionari “vetted” che considereranno come loro compito autorizzato dal presidente “l’eliminazione” di coloro nel governo di cui non ci si può fidare. Molti saranno semplicemente licenziati, ma altri saranno oggetto di indagini che distruggeranno le loro carriere. L’Amministrazione Trump sarà piena di persone che non avranno bisogno di istruzioni esplicite da parte di Trump, proprio come i gauleiters di Hitler non avevano bisogno di istruzioni. In tali circostanze, le persone “lavorano verso il Führer”, cioè anticipano i suoi desideri e cercano il suo favore facendo atti che possono renderlo felice, migliorando così la propria influenza e il proprio potere.
E non sarà difficile trovare motivi per accusare gli avversari. La nostra storia è purtroppo piena di casi di funzionari presi di mira ingiustamente, considerati dalla parte sbagliata su una determinata questione nel momento sbagliato: per esempio i “China Hands” del dipartimento di stato alla fine degli anni 40, le cui carriere furono distrutte perché si trovarono in posizioni di influenza durante la Rivoluzione comunista cinese. Oggi si sente aria di un nuovo maccartismo. I repubblicani Maga insistono sul fatto che Biden stesso sia un “comunista”, che la sua elezione sia stata una “presa del potere comunista” e che la sua Amministrazione sia un “regime comunista”.
Non sorprende quindi che Biden abbia un “programma pro Partito comunista cinese (Pcc)”, come ha dichiarato quest’anno la potente presidente della commissione per l’Energia e il Commercio della Camera, la repubblicana Cathy McMorris Rodgers, e che stia deliberatamente “cedendo leadership e sicurezza americane alla Cina”. I repubblicani in questi giorni accusano – è quasi una routine – i loro avversari di essere non soltanto ingenui e poco attenti alla potenza crescente della Cina, ma di essere proprio “simpatizzanti” di Pechino. “La Cina comunista ha il suo presidente China Joe”, ha twittato la deputata repubblicana Marjorie Taylor Greene il giorno dell’inaugurazione di Biden. Il senatore repubblicano Marco Rubio ha chiamato il presidente “Pechino Biden”. Il candidato repubblicano al Senato nel New Hampshire dello scorso anno ha addirittura chiamato il governatore repubblicano Chris Sununu un “simpatizzante del Partito comunista cinese”. Possiamo aspettarci che questa retorica aumenti quando la guerra contro il “deep state” si farà più seria. Secondo il senatore repubblicano Josh Hawley, c’è un’intera cabala determinata a minare la sicurezza americana, un “Partito Unico” di élite composto da “neoconservatori a destra” e “globalisti liberali a sinistra” che non sono veri americani e quindi non hanno a cuore gli interessi reali dell’America. Un tale comportamento “anti americano” può essere reso un reato? E’ successo in passato e può esserlo di nuovo.
Quindi, l’Amministrazione Trump troverà molti modi per perseguitare i suoi nemici, reali e presunti. Pensate a tutte le leggi attualmente in vigore che danno al governo federale un enorme potere per sorvegliare le persone a causa di possibili legami con il terrorismo, un termine pericolosamente adattabile, senza dimenticare tutte le consuete possibilità di indagare presunte evasioni fiscali o violazioni delle leggi sulla registrazione di agenti stranieri. L’Irs (l’Agenzia delle entrate americana), sotto la guida di entrambi i partiti, ha occasionalmente valutato la revoca dello status di esenzione fiscale a certi think tank perché sostenevano politiche in linea con le opinioni dei partiti politici. Cosa succederà al ricercatore di un think tank durante un secondo mandato di Trump che sostiene che gli Stati Uniti dovrebbero ammorbidire la pressione sulla Cina? O al funzionario del governo abbastanza avventato da mettere questo pensiero su carta intestata? Non serviva molto altro, negli anni 50, per rovinare carriere.
E chi fermerà le indagini e le persecuzioni improprie dei numerosi nemici di Trump? Lo farà il Congresso? Il Congresso a maggioranza repubblicana sarà impegnato a condurre le proprie indagini, a utilizzare i propri poteri per convocare persone accusate di ogni tipo di crimine, proprio come fa ora. Avrà importanza che le accuse siano infondate? E ovviamente in alcuni casi saranno vere, il che darà ancora maggiore validità a inchieste più ampie contro i nemici politici.
Fox News li difenderà o invece amplificherà le accuse? I media americani resteranno divisi come lo sono oggi tra quelli che si rivolgono a Trump e al suo pubblico e quelle che non lo fanno. Ma se chi governa ha dichiarato i media “nemici dello stato”, questi si ritroveranno sotto una pressione significativa e costante. I proprietari dei media scopriranno che un presidente ostile e senza freni può rendere la loro vita sgradevole in molti modi.
Infatti, chi difenderà chiunque venga accusato pubblicamente a parte i suoi avvocati? Con una nuova presidenza Trump, il coraggio che ci vorrà per difenderli non sarà inferiore al coraggio che ci vorrà per opporsi allo stesso Trump. Quanti saranno disposti a rischiare le proprie carriere per difendere gli altri? In una nazione congenitamente sospettosa nei confronti del governo, chi difenderà i diritti degli ex funzionari che diventano bersagli del dipartimento di Giustizia di Trump? Ci saranno ampi precedenti per coloro che cercheranno di giustificare la persecuzione. Abraham Lincoln sospese l’habeas corpus, l’Amministrazione Wilson chiuse giornali e riviste che criticavano la guerra; Franklin D. Roosevelt radunò gli americani di origine giapponese e li mise nei campi. Pagheremo il prezzo per ogni trasgressione mai commessa contro le leggi progettate per garantire i diritti e le libertà individuali.
Come risponderanno gli americani ai primi segni di un regime di persecuzione politica? Si ribelleranno indignati? Non contateci troppo. Coloro che non hanno trovato motivo di opporsi a Trump durante le primarie e nella competizione generale difficilmente avranno un risveglio improvviso quando qualche ex collaboratore di Trump, come Milley, si troverà sotto indagine per chissà cosa. Sapranno soltanto che i procuratori del dipartimento di Giustizia, l’Irs, l’Fbi e diverse commissioni parlamentari hanno aperto delle indagini. E chi può dire che coloro che vengono perseguitati non siano in realtà evasori fiscali, spie cinesi, pervertiti o qualsiasi altra cosa di cui potranno essere accusati? La maggioranza degli americani riconoscerà la persecuzione e i primi passi per sopprimere l’opposizione a Trump?
La dittatura di Trump non sarà una tirannia comunista, in cui quasi tutti percepiscono l’oppressione e le loro vite ne sono plasmate. Nelle tirannie conservatrici e illiberali, ci sono tutti i tipi di limitazioni delle libertà, ma è un problema per le persone soltanto nella misura in cui attribuiscono valore a quelle libertà, e molte persone non lo fanno. Il fatto che questa tirannia dipenderà interamente dai capricci di un uomo significherà che i diritti degli americani saranno condizionati anziché garantiti. Ma se la maggior parte degli americani può svolgere la propria vita quotidiana senza intoppi, potrebbe non preoccuparsi, proprio come molti russi e ungheresi non se ne preoccupano.
Sì, ci sarà un vasto movimento di opposizione centrato sul Partito democratico, ma è difficile capire esattamente come questa opposizione fermerà la persecuzione. Il Congresso e i tribunali offriranno poco sollievo. I democratici, in particolare i più giovani, sbraiteranno e denunceranno, ma se non saranno sostenuti dai repubblicani, la loro sembrerà la solita partigianeria. Se i democratici continueranno a controllare una delle due camere del Congresso, potranno contenere alcune derive, ma le probabilità che controllino entrambe le camere dopo il 2024 sono inferiori alle probabilità di una vittoria di Biden. Né ci sono ragioni sufficienti per sperare che l’opposizione disordinata e disfunzionale a Trump di oggi diventi improvvisamente più unita ed efficace una volta che Trump prenderà il potere. Non è così che funzionano le cose. Nelle dittature in evoluzione, l’opposizione è sempre debole e divisa. E’ proprio questo in primo luogo che rende possibile la dittatura. I movimenti di opposizione raramente diventano più forti e più uniti sotto le pressioni della persecuzione. Al giorno d’oggi non c’è un leader dietro cui i democratici possano riunirsi ed è difficile immaginare che possa emergere una volta che Trump riconquisterà il potere.
Ma anche se l’opposizione diventasse forte e unita, non è ovvio che cosa potrebbe fare per proteggere chi è perseguitato dai trumpiani. La capacità dell’opposizione di esercitare forme legittime, pacifiche e legali del potere è già stata giudicata insufficiente in questo ciclo elettorale, quando democratici e repubblicani anti Trump hanno utilizzato ogni strumento legittimo contro Trump e hanno comunque falliti. Utilizzeranno quindi azioni illegittime, extralegali? E come apparirebbe questa scelta?
Gli americani potrebbero scendere in strada. In effetti, è probabile che molte persone si uniscano a proteste contro il nuovo regime, forse anche prima che abbia avuto la possibilità di dimostrare di meritarle. Ma poi cosa accadrà? Anche nel suo primo mandato, Trump e i suoi consiglieri in più di un’occasione hanno discusso dell’invocazione dell’Insurrection Act. Neanche un difensore della democrazia americana come George H.W. Bush ha invocato questa legge per affrontare le sommosse di Los Angeles nel 1992. È difficile immaginare che Trump non lo invochi se “i comunisti, i marxisti, i fascisti e i teppisti della sinistra radicale” scendono in strada. Viene il sospetto che non si lascerà scappare questa occasione.
E chi lo fermerà? I suoi consiglieri militari? Pare improbabile. Potrebbe nominare il tenente generale in pensione Michael Flynn a capo dello stato maggiore congiunto se lo volesse, ed è improbabile che un Senato repubblicano rifiuti di confermarlo. Qualcuno pensa che i leader militari disobbediranno ai comandi del loro comandante in capo eletto e autorizzato dalla Costituzione? Di più: vogliamo davvero che i militari debbano prendere quella decisione? C’è ragione di credere che le truppe in servizio attivo e le riserve siano più inclini a simpatizzare con un presidente Trump appena rieletto rispetto ai presunti “teppisti della sinistra radicale” che causano caos nelle strade delle loro città. Coloro che sperano di essere salvati da un esercito degli Stati Uniti devoto alla protezione della Costituzione vivono in un mondo di fantasia.
La resistenza potrebbe provenire dai governatori di stati prevalentemente democratici come California e New York attraverso una forma di nullificazione: gli stati con governatori e parlamenti democratici potrebbero rifiutarsi di riconoscere l’autorità di un governo federale tirannico. Questa è sempre un’opzione nel nostro sistema federale. (Se Biden vincesse, alcuni stati repubblicani potrebbero fare altrettanto e utilizzare la teoria della nullificazione.) Ma nemmeno gli stati più progressisti sono monolitici, e i governatori democratici potrebbero trovarsi sotto assedio nel loro stesso territorio se cercano di diventare bastioni di resistenza alla tirannia di Trump. I repubblicani e i conservatori in tutto il paese saranno energizzati dal trionfo del loro eroe. Il cambio di potere a livello federale, e il tono di minaccia e vendetta proveniente dalla Casa Bianca, probabilmente incoraggeranno ogni tipo di contro-resistenza persino negli stati profondamente democratici, comprese proteste violente. Quali risorse avranno i governatori per contrastare gli attacchi e mantenere l’ordine? La polizia statale e locale? Queste entità saranno disposte a usare la forza contro i manifestanti che probabilmente godranno del sostegno pubblico del presidente? I governatori democratici potrebbero non avere il desiderio di scoprirlo.
Se Trump riuscisse a lanciare una campagna di persecuzione e l’opposizione dimostrasse di essere impotente nel fermarla, allora la nazione avrà iniziato la discesa irreversibile verso la dittatura. Con il passare dei giorni, sarà sempre più difficile e pericoloso fermarla con qualsiasi mezzo, legale o illegale. Provate a immaginare cosa significherà candidarsi per un incarico politico nell’ambito dell’opposizione in questa situazione. In teoria, le elezioni di metà mandato del 2026 potrebbero rappresentare una speranza per il ritorno dei democratici, ma Trump non utilizzerà i suoi considerevoli poteri, sia legali sia illegali, per impedirlo? Trump insiste e senza dubbio crede che l’Amministrazione attuale abbia corrotto il sistema giudiziario per cercare di impedirgli la rielezione. Non si considererà giustificato a fare lo stesso una volta che avrà tutto il potere? Ha, naturalmente, già promesso di fare esattamente questo: utilizzare i poteri del suo incarico per perseguitare chiunque osi sfidarlo.
Questa è la traiettoria che stiamo percorrendo adesso. E’ inevitabile la dittatura? No. Nulla nella storia è inevitabile. Eventi imprevisti cambiano le traiettorie. I lettori di questo mio saggio senza dubbio elencheranno tutte le ragioni per cui è troppo pessimistico e non tiene sufficientemente conto di questa o quella possibilità alternativa. Forse, nonostante tutto, Trump non vincerà. Forse la monetina cadendo darà testa e saremo tutti al sicuro. E forse anche se dovesse vincere, non farà nulla di ciò che dice che farà. Potete trovare conforto in questi pensieri, se volete.
Ciò che è certo, però, è che le probabilità che gli Stati Uniti cadano in una dittatura sono cresciute considerevolmente perché molti degli ostacoli a essa sono stati superati e ne restano soltanto alcuni. Se otto anni fa sembrava letteralmente inconcepibile che un uomo come Trump potesse essere eletto, quell’ostacolo è stato superato nel 2016. Se poi sembrava impensabile che un presidente americano tentasse di restare in carica dopo aver perso un’elezione, quell’ostacolo è stato superato nel 2020. E se nessuno poteva credere che Trump, dopo aver tentato e fallito di invalidare le elezioni e fermare il conteggio dei voti del collegio elettorale, riemergerà comunque come leader indiscusso del Partito repubblicano e suo candidato di nuovo nel 2024, be’, anche quest’ostacolo sarà presto superato. In soli pochi anni siamo passati da essere relativamente sicuri della nostra democrazia a essere a pochi passi – questione di mesi – dalla possibilità di una dittatura.
Stiamo facendo qualcosa a riguardo? Per cambiare metafora: se pensassimo che ci fosse il 50 per cento di possibilità che un asteroide si schiantasse sull’America del nord tra un anno, saremmo contenti di sperare che non accadesse? O prenderemmo ogni misura concepibile per cercare di fermarlo, incluso molti interventi che potrebbero non funzionare ma che, data la gravità della crisi, devono essere comunque tentati?
Sì, so che la maggior parte delle persone non pensa che un asteroide si stia dirigendo verso di noi e questo fa parte del problema. Ma altrettanto grande è stato il problema di coloro che vedono il rischio ma per una varietà di motivi non hanno ritenuto necessario fare sacrifici per prevenirlo. A ogni punto lungo il percorso, i nostri leader politici, e noi come elettori, abbiamo lasciato passare le occasioni per fermare Trump, convinti che avrebbe incontrato prima o poi un ostacolo insuperabile. I repubblicani avrebbero potuto fermare Trump dall’ottenere la nomination nel 2016, ma non lo hanno fatto. Gli elettori avrebbero potuto eleggere Hillary Clinton, ma non l’hanno fatto. I senatori repubblicani avrebbero potuto votare per condannare Trump in uno qualsiasi dei suoi processi di impeachment, cosa che avrebbe reso molto più difficile la sua corsa alla presidenza, ma non lo hanno fatto.
Durante questi anni, si è messa in moto una psicologia comprensibile ma fatale. A ogni stadio, fermare Trump avrebbe richiesto azioni straordinarie da parte di certe persone, che fossero politici, elettori o donatori, azioni che non si allineavano con i loro interessi immediati o anche semplicemente con le loro preferenze. Sarebbe stato straordinario per tutti i repubblicani che si candidavano contro Trump nel 2016 decidere di rinunciare alle loro speranze per la presidenza e unirsi intorno a uno di loro. Invece, si sono comportati normalmente, spendendo il loro tempo e il loro denaro attaccandosi l’un l’altro, pensando che Trump non fosse la loro sfida più seria, o che qualcun altro lo avrebbe fermato, aprendo così la strada alla nomination di Trump. E hanno, con poche eccezioni, fatto lo stesso in questo ciclo elettorale. Sarebbe stato straordinario se Mitch McConnell e molti altri senatori repubblicani avessero votato per condannare un presidente del loro stesso partito. Invece, hanno creduto che, dopo il 6 gennaio 2021, Trump fosse finito e quindi che andasse bene non condannarlo ed evitare di diventare dei paria nella vasta folla di sostenitori di Trump. A ogni passo, la gente ha creduto di poter continuare a perseguire i propri interessi e le proprie ambizioni personali con la convinzione che prima o poi, qualcun altro o qualcos’altro, o semplicemente il destino, avrebbe fermato Trump. Perché avrebbero dovuto sacrificare loro le proprie carriere? Dovendo scegliere tra una scommessa ad alto rischio e sperare nel meglio, la gente in generale spera nel meglio. Dovendo scegliere tra fare il lavoro sporco da soli e lasciare che altri lo facciano, la gente preferisce generalmente la seconda opzione.
Si è messa in moto anche una psicologia paralizzante di appeasement. A ogni stadio, il prezzo per fermare Trump è aumentato sempre di più. Nel 2016, il prezzo era rinunciare a un’opportunità per la Casa Bianca. Una volta che Trump è stato eletto, il prezzo dell’opposizione, o anche solo l’assenza di lealtà ossequiosa, è diventato la fine della propria carriera politica, come hanno scoperto Jeff Flake, Bob Corker, Paul D. Ryan e molti altri. Nel 2020, il prezzo è salito di nuovo. Come racconta Mitt Romney nella recente biografia di McKay Coppins, i repubblicani del Congresso che contemplavano di votare a favore dell’impeachment e della condanna di Trump temevano per la loro sicurezza fisica e quella delle loro famiglie. Non c’è motivo per cui quella paura debba essere minore oggi. Ma aspettate che Trump torni al potere e il prezzo di opporsi a lui diventerà persecuzione, perdita economica e pure la perdita della libertà. Coloro che hanno esitato a resistere a Trump quando il rischio era soltanto l’oblio politico scopriranno improvvisamente il proprio coraggio quando il costo potrebbe essere la rovina di sé stessi e della propria famiglia?
Siamo più vicini a quel punto oggi di quanto non lo siamo mai stati, eppure continuiamo a scivolare verso la dittatura, sperando ancora in qualche intervento che ci permetta di sfuggire alle conseguenze della nostra codardia collettiva, della nostra ignoranza compiaciuta e deliberata e, soprattutto, della nostra mancanza di un impegno profondo verso la democrazia liberale. E stiamo scivolando verso la dittatura, come si dice, not with a bang but a whimper, non con uno schianto ma con un piagnucolio.
di Robert Kagan, copyright Washington Post