Botte da serbi
Un candidato putiniano e uno europeista si sfidano sul ring. Quanta Ue c'è nel voto in Serbia
L'incontro tra i due candidati minori Vacic e Jovanovic avrebbe dovuto tenersi sabato. Una boutade che tuttavia rappresenta bene il solito dilemma serbo: guardare a Mosca o a Bruxelles? Nel frattempo il presidente Vucic ha vinto le elezioni e l'asse con la Russia appare ancora saldo. Ma la discussione nel paese continua
Belgrado. Immaginate i leader di due piccoli partiti (uno liberale, l’altro di estrema destra) annunciare un incontro di boxe il giorno prima di un’elezione. Immaginate che la locandina – con i due contendenti in posa da boxeur, a torso nudo – sia rilanciata via social da Andrew Tate, il controverso kickboxer/influencer (idolo dell’alt right) accusato di stupro e tratta di esseri umani in Romania. Il match si sarebbe dovuto tenere sabato a Belgrado: da una parte Misa Vacic, nazionalista serbo e putiniano, appena tornato da un viaggio tra Russia e Donbas; dall’altra Cedomir Jovanovic, ex leader della protesta studentesca anti Milosevic e ora alla guida di un partito liberale e pro Ue. Una boutade tra due candidati minori in cerca di visibilità, certo – peraltro saltata, tanto che nella palestra alla periferia di Belgrado si è presentato solo Vacic – ma anche la rappresentazione dello “strabismo” serbo, chiamato a rinnovare il Parlamento (oltre che alcuni sindaci, capitale compresa) con il solito dilemma: guardare a Mosca o a Bruxelles?
Ha vinto (con il 47 per cento dei voti) il Partito progressista serbo del presidente Aleksandar Vucic, mentre il campo largo delle opposizioni – una decina di liste riunite nel cartello “Serbia contro la violenza” – ha portato a casa un buon 23 per cento. Il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, ha accolto “con favore” il risultato delle urne, auspicando “l’ulteriore rafforzamento dell’amicizia” tra i due paesi. Tra i primi a complimentarsi anche il premier ungherese Viktor Orban. L’asse Serbia-Russia appare saldo: Vucic si è sempre opposto alle sanzioni contro Mosca dopo la guerra in Ucraina, mentre la Russia è (con la Cina) alleata contro il riconoscimento del Kosovo. Secondo un sondaggio pubblicato un anno fa dalla Henry Jackson Society, il leader straniero più apprezzato in Serbia è Vladimir Putin (al 60 per cento di gradimento), seguito da Xi Jinping (44 per cento). In fondo ci sono Volodymyr Zelensky (3,5 per cento) e Joe Biden (6,4 per cento). In Serbia operano le agenzie di stampa Sputnik e Russia Today. Sul posizionamento del paese non sembrano esserci dubbi, e invece, l’impressione è che Vucic voglia attuare una strategia non dissimile da quella di Tito ai tempi della Jugoslavia: destreggiarsi tra est e ovest. Diversamente da quanto accade in altri paesi (per esempio la Moldavia) in Serbia infatti non si scontrano un partito europeista e uno russofilo. Lo stesso Vucic ha sempre alternato entrambi i registri.
A dicembre, dopo il bilaterale con Meloni, il leader serbo ha ringraziato la nostra premier per il sostegno italiano al cammino di adesione all’Ue del suo paese (ma anche per gli investimenti italiani). E in Serbia sembrano offesi dai passi avanti sul fronte dell’integrazione europea compiuti da Ucraina, Moldavia e Georgia, mentre Belgrado è ferma da oltre 10 anni allo status di candidato. Il tema è esploso alla vigilia del voto, durante il summit di dicembre tra i paesi dell’Ue e quelli dei Balcani occidentali che ha visto Bruxelles impegnata a dare rassicurazioni sull’impegno a “un’integrazione graduale”, mentre la premier serba Ana Brnabic ha gelato tutti con una lettera ai funzionari Ue dove si legge che Belgrado non intende attuare il patto di normalizzazione delle relazioni con il Kosovo (condizione necessaria per l’avvicinamento all'Ue) né riconoscere Pristina. C’entrava il voto imminente, che sconsigliava cedimenti sul tema dello stato autoproclamatosi indipendente nel 2008. Ma non solo. A inizio novembre, Vucic ha deciso di sciogliere il Parlamento (in Serbia, come in altre democrazie ex comuniste, c’è una camera sola) a meno di due anni dall’ultima elezione, due giorni dopo la lista presentata il 31 ottobre da von der Leyen durante la sua visita nei Balcani. Alla Serbia si chiedeva, oltre al riconoscimento del Kosovo, anche la messa in atto di riforme contro la corruzione, ma anche in favore dell’ambiente e dei diritti umani. Ma il presidente serbo – accusato dai partiti fuori dal governo di controllo dei media e repressione del dissenso – ha voluto più che altro stoppare l’ascesa delle opposizioni, che hanno trovato nella lotta alla violenza un comune sentire (mettendo insieme partiti centristi, progressisti, ambientalisti e filo-europei), soprattutto dopo le due sparatorie di massa – una compiuta a scuola da un 14enne – che a maggio hanno sconvolto il paese e portato a grandi manifestazioni di piazza. Così è nata “Serbia contro la violenza”, la coalizione che dopo il voto di domenica ha parlato di brogli elettorali: pullman di persone con documenti falsi sarebbero arrivati nella capitale per votare. E questa sera ha lanciato un altro corteo in piazza a Belgrado, chiedendo l’annullamento delle elezioni. La discussione dentro e fuori il paese continua.