il doppio fronte

Austin riafferma che questa non è soltanto la guerra di Israele

Dei prigionieri si occupa la diplomazia, ma Hamas aspetta che il peso sulla politica si faccia insostenibile per chiedere "cose straordinarie"

Micol Flammini

Gli Stati Uniti aumentano la pressione sugli houthi e promettono altro sostegno a Gerusalemme. I due obiettivi della guerra – eliminare Hamas e liberare gli ostaggi – iniziano a seguire tempi diversi

L’idea che gli ostaggi potessero essere salvati dentro al territorio di Gaza non è  più ritenuta credibile. Le informazioni sugli oltre cento prigionieri sono poche, i racconti di coloro che sono riusciti a tornare non sono state sufficienti a costruire una mappa della loro prigionia. Sul terreno poi la situazione cambia veloce e le informazioni di qualche settimana fa potrebbero rivelarsi ormai inesatte. La liberazione degli ostaggi e l’eliminazione di Hamas, quindi, sono diventati due obiettivi che non riescono più a essere portati avanti secondo gli stessi ritmi. Hanno bisogno di misure, tempi, soluzioni diverse. Se dell’eliminazione di Hamas si occuperà l’esercito, per la liberazione degli ostaggi si sta muovendo la diplomazia, assidua e segreta. Ieri è arrivato in Israele Lloyd Austin, il segretario della Difesa americano che ha incontrato il suo omologo, Yoav Gallant, e il primo ministro Benjamin Netanyahu. E’ stato  un incontro tra alleati, per riconfermare l’allineamento, informarsi sulle prossime fasi della guerra e rendere ancora più chiaro che questa non è la guerra soltanto di Israele, quindi gli aiuti da parte degli Stati Uniti andranno avanti. Washington sta aumentando anche la sua presenza con le sue portaerei pronte a rispondere agli attacchi degli houthi sostenuti dall’Iran contro le navi commerciali e militari in transito nel Mar Rosso. La Maersk, una delle più importanti aziende di trasporto merci in tutto il mondo, ha sospeso la navigazione nel Mar Rosso, il gigante petrolifero BP è pronto a fare lo stesso: i commerci sono a rischio e questo è un attacco che va ben oltre Israele e ci sono ragioni pratiche che preoccupano e coinvolgono gli Stati Uniti. 


La diplomazia si sta occupando dell’altro obiettivo vitale di Israele, della liberazione dei prigionieri che più va avanti la guerra più sono a rischio. A Varsavia c’è stato un incontro importante tra il direttore della Cia Bill Burns, il primo ministro del Qatar Mohammed bin Abdulrahman al Thani e David Barnea, il capo del Mossad. I tre hanno discusso di un nuovo accordo che permetta di liberare gli ostaggi israeliani e molto di questo nuovo accordo passa per la figura di Burns. Fu lui a permettere il raggiungimento della prima tregua. Le aspettative però sono basse, John Kirby ha   detto che non è previsto nessun nuovo accordo, e la tensione dentro Israele è invece molto alta. L’uccisione dei tre ostaggi che erano riusciti a scappare e si avvicinavano ai soldati israeliani con le bandiere bianche e  svestiti ha portato a un moto di colpevolizzazione nel paese, che ha rotto l’unità di questi primi due mesi. Si cerca una soluzione e un colpevole, e vedendo allontanarsi la soluzione, è più facile tirare fuori i nomi dei colpevoli e si punta il dito contro il premier Netanyahu e la sua freddezza. Un nuovo accordo sembra più complesso da ottenere e per il momento esistono soltanto domande e ipotesi. Hamas considera gli ostaggi una risorsa strategica e, nel momento in cui Israele aumenta la pressione dentro la Striscia, per liberarli chiede soluzioni straordinarie. Le dichiarazioni ufficiali parlano di una condizione: la fine della guerra. Le opzioni che fanno capolino tra le indiscrezioni rilasciate alla stampa israeliana  sono varie. Alcune fonti hanno parlato della possibilità di un ritiro parziale dalla Striscia da parte di Israele, oppure della minaccia da parte del Qatar di espellere alcuni funzionari di Hamas che si trovano a Doha.


"Fino a dove siamo disposti ad arrivare" è la domanda che tormenta Israele, che in questi ultimi anni  anche  per liberare uno solo dei suoi cittadini ha lasciato andare condannati illustri e pericolosi, come è avvenuto  per il rilascio del soldato Gilad Shalit con Yahya Sinwar. Il leader di Hamas anche ha la sua offerta: la liberazione di tutti i  palestinesi dalle carceri, ne parla da tempo. Ogni giorno, gli israeliani  sono pronti a sacrificare di più, e su questo influiscono i racconti dei prigionieri tornati, che parlano di condizioni invivibili  e della paura dei bombardamenti. L’attivista Robi Damelin ha scritto una lettera a Haaretz, per dire di essere pronta ad accettare la liberazione del cecchino che uccise suo figlio durante un attentato per veder tornare gli ostaggi. Hamas conosce bene la pressione che la società israeliana sta mettendo alla politica, aspetterà  fino a quando si farà più forte, mordente. Soltanto il campo di battaglia può portare i terroristi a cedere prima. 
 

Di più su questi argomenti:
  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)