Intervista ad Amos Yadlin
"Perché dopo avere smantellato Hamas sarà l'Iran a pagare"
Intervista all’ex capo dell’intelligence militare israeliana, uno dei piloti che distrussero il reattore di Saddam. “Gaza non è Mosul”
“Operazione Opera”, l’attacco aereo israeliano del 7 giugno 1981 che distrusse il reattore nucleare di Saddam Hussein a Osirak. Gli otto piloti israeliani che parteciparono non avevano rifornimento in volo, né gps, nessuna delle tecnologie odierne. Fra loro c’erano Amos Yadlin, che diventerà il capo dell’intelligence militare d’Israele, e Ilan Ramon, che divenne il primo astronauta israeliano e morì nel disastro dello shuttle Columbia del 2003. Yadlin ha sempre detto che il vero eroe fu il primo ministro Menachem Begin, che ordinò l’attacco. “Fu l’inizio della dottrina a lui intitolata: se c’è un leader arabo che chiede la distruzione di Israele, Israele non gli permetterà di avere armi nucleari”.
Da direttore dei servizi segreti militari, Yadlin ha avuto un ruolo anche nell’operazione che nel settembre 2007 ha distrutto un sito nucleare nell’est della Siria, prima di diventare il direttore dell’Institute for National Security Studies di Tel Aviv e il più ricercato analista di sicurezza israeliana. A lui chiediamo come procede la guerra a Gaza. “Lentamente, ma non è una sorpresa”, dice Yadlin al Foglio. “Alla coalizione occidentale e agli americani ci sono voluti 18 mesi per distruggere l’Isis a Mosul e a Raqqa, mentre Gaza è più complicata. Hamas sta preparando da tempo la sua città militare e ci vorrà molto tempo per distruggerla, molto più tempo di Mosul e Raqqa. Abbiamo più di 100 civili ancora in ostaggio e dobbiamo stare attenti nel condurre la campagna militare. Poi c’è la preoccupazione della comunità internazionale e stiamo permettendo l’ingresso nella Striscia di beni umanitari che aiutano Hamas. E queste limitazioni stanno rallentando la guerra. La mia previsione all’inizio era che sarebbe durata sei mesi: ora siamo solo a due mesi”. Resta da capire cosa significa distruggere Hamas. “Ci sono tre dimensioni di Hamas: l’ideologia, che Israele non può distruggere senza vent’anni di educazione diversa, l’ideologia dell’Isis è ancora nel cuore di molti musulmani; poi c’è Hamas inteso come governo, e qui la missione nel nord è quasi completata, come a Gaza City, dove le loro infrastrutture civili e militari non esistono più”.
La terza dimensione di Hamas è quella militare: “Tra Hamas e Jihad islamica hanno 40 mila combattenti. 8 mila di loro sono già morti e altrettanti feriti, è un numero significativo, quindi invece di distruggerlo si tratta di smantellare Hamas. Adesso la sfida è nel sud di Gaza e lì è più lenta perché la popolazione civile non se n’è andata e Israele è più cauto”. Yadlin spiega il 7 ottobre come un fallimento trilaterale: “Di intelligence, operativo e politico. L’intelligence pensava che fosse solo un altro esercizio; operativo, cioè non c’erano forze militari sufficienti per rispondere all’attacco; e politico, con Netanyahu che ha permesso a Hamas di costruire la sua potenza militare e al Qatar di trasferire denaro alla Striscia. Bibi ha poi diviso la politica israeliana con la sua cosiddetta riforma giudiziaria, che ha spostato le energie dalle minacce esterne a quelle interne”. Altra incognita, cosa fare di Gaza post Hamas. “Israele dovrà garantire che il 7 ottobre non si ripeta mai più, quindi ci sarà un perimetro, una ‘terra di nessuno’, come nel Golan e come tra la Corea del nord e quella del sud; e poi c’è la futura struttura politica, la mia idea è una coalizione araba internazionale, che comprenda egiziani, sauditi, emiratini, europei e tecnocrati palestinesi, in cui Gaza sarà smilitarizzata e deradicalizzata. Nel 2005 Israele lasciò ogni grammo della terra che aveva preso nel 1967 e smantellato tutti gli insediamenti ebraici. Hamas ha preso il potere dopo due anni. Governi israeliani – Sharon, Olmert e Netanyahu – hanno dato a Hamas l’opportunità di rafforzare la propria forza militare. Nessuna entità palestinese può costruire un apparato militare che possa minacciarci nuovamente”. Infine, ci sarà una resa dei conti con l’Iran. “L’Iran è dietro al 7 ottobre non a livello operativo ma con una grande strategia e per procura, con la visione di rimuovere Israele e gli Stati Uniti dalla regione”, conclude Yadlin al Foglio. “Dovranno pagare, in che forma è troppo presto per dirlo”.