I motivi
Perché l'Angola se ne va dall'Opec (sbattendo pure la porta)
"Non abbiamo più niente da guadagnare restando" hanno detto dal paese in Africa centrale. La Nigeria minaccia lo stesso, confermando un trend n declino per l'organizzazione che raggruppa i paesi produttori di petrolio
“Non abbiamo più niente da guadagnare restando”. Con questa motivazione l’Angola, secondo produttore africano di petrolio, se ne va sbattendo la porta dall’Opec, dove era entrata nel 2007. La Nigeria, primo produttore africano, minaccia di fare altrettanto. L’una e l’altra notizia confermano la crisi sempre più grave di una Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio che pure ha cercato di rafforzarsi con l’asse tra Arabia Saudita e Russia dell’Opec+, fino a provare a condizionare la Cop28 con una lettera in cui chiedeva di non toccare i combustibili fossili (definita dalla Ue come fonte “di disgusto e rabbia”). E l’ingresso del Brasile a inizio 2024, in teoria, sembrerebbe confermare questo rafforzamento geopolitico. Ma, come per i Brics, un conto è inanellare liste di paesi per colorare le carte del mondo, stile giocatori di Risiko. Un altro è effettivamente far funzionare queste organizzazioni. Proprio il Brasile col buttare una gran quantità di greggio su mercato è una delle cause del crollo dei prezzi malgrado i tagli disposti da Russia e Arabia Saudita per sostenerli: assieme a Guyana, Stati Uniti e Iran. Per Brasile e Guyana si tratta di nuovi giacimenti; per gli Stati Uniti della ripresa di competitività dello shale; per l’Iran, che ha aumentato la sua offerta addirittura del 50 per cento, del fatto che il regime degli ayatollah sta nell’Opec appunto per ragioni geopolitiche, ma senza la minima volontà di rispettarne le quote.
Piuttosto, anche per far rialzare i prezzi senza rinunciare a niente, Teheran sta provando a lanciare gli houthi yemeniti contro le rotte, e anche il pressing di Maduro sulla Guyana può corrispondere a questo tipo di logica. Ma adesso questa notizia ha annullato l’effetto psicologico dell’emergenza Mar Rosso, contribuendo a far rientrare il Brent sotto la soglia psicologica degli 80 dollari al barile. Ciò dimostra che la tendenza di fondo al ribasso aumenta, anche per il passaggio sempre più deciso dell’Europa all’elettrico. L’Opec+ sta dunque tentando di riordinare le quote produttive in un modo che ai produttori africano risulta indigesto. “Il nostro ruolo nell’organizzazione non è stato ritenuto rilevante”, ha chiosato il ministro delle Risorse Diamantino Azevedo dopo una riunione di gabinetto in cui l’Arabia Saudita aveva imposto ulteriori tagli, stando a Bloomberg. Lo stesso Azevedo ha spiegato che Luanda si aspettava risultati in linea con i suoi interessi, ma “quando ciò non avviene, diventiamo ridondanti e non ha più senso rimanere nell’organizzazione”. “Non è stata una decisione presa alla leggera, ma è arrivato il momento”.
Gli analisti sono concordi nel dire che tutto è iniziato a giugno, quando i membri dell’Opec hanno rivisto i numeri delle rispettive produzione di base (il livello a partire dal quale viene calcolata la quota di produzione di ciascun membro). Second Bloomberg, l’Angola non ha mai digerito il risultato di quella riunione, che ha ridotto la sua quota nonostante la produzione nazionale sia crollata del 40 per cento negli ultimi otto anni, e innalzato quella di altri paesi come gli Emirati Arabi Uniti.
I rappresentanti angolani avevano abbandonato quella riunione, per poi accettare insieme a Nigeria e Repubblica del Congo una revisione indipendente della produzione di base. Ma le revisioni si sono tradotte in un abbassamento delle soglie di riferimento dei tre paesi: cosa decisa a novembre a una riunione slittata di una settimana a causa delle loro proteste. In prospettiva, l’Opec+ rischia di precipitare addirittura dal 71 al 51 per cento della produzione mondiale.
I conservatori inglesi