Medio oriente, Ucraina, ma la priorità di sicurezza per l'America resta la Cina

Giulia Pompili

Il conflitto in medio oriente e la guerra in Ucraina quasi spariti dai media di stato cinesi. Il bluff della potenza di pace che intanto rafforza gli interessi condivisi con Russia e Iran – per esempio, nel Mar Rosso

Roma. Lunedì scorso durante il suo discorso al Knesset il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha rivelato di aver convocato per la prima volta l’ambasciatore cinese a Tel Aviv, Cai Run, per chiedere al leader cinese Xi Jinping di aiutarlo a liberare un ostaggio di Hamas, Noa Argamani, rapita nell’attacco del 7 ottobre, facendo leva sul fatto che la madre di Noa è cittadina cinese.

 

Dalla Repubblica popolare cinese non è arrivata alcuna reazione, se non ieri in un breve passaggio della quotidiana conferenza stampa del portavoce del ministero degli Esteri di Pechino. Con il consueto linguaggio ambiguo e solenne, Mao Ning ha detto che la Cina “è pronta a collaborare con tutte le parti per facilitare il rilascio di tutti i prigionieri il prima possibile e la realizzazione di un cessate il fuoco per portare una pace duratura in medio oriente”. Parole sempre ragionevoli, che però, come è accaduto più volte per la guerra della Russia contro l’Ucraina, mancano sempre di coerenza e concretezza. La verità è che la guerra a Gaza è pressoché scomparsa dai media statali cinesi, e solo quelli in lingua inglese – destinati quindi a un pubblico straniero – usano le notizie per attaccare l’America e i suoi alleati. Nei giorni scorsi, dal Pentagono era stata fatta trapelare la notizia di una richiesta d’aiuto da parte di Washington nei confronti di Pechino, nel tentativo di unire le forze per stabilizzare l’area del Mar Rosso e il passaggio delle navi cargo ormai quotidianamente sotto attacco degli houthi, sostenuti dall’Iran. Ma alla Repubblica popolare cinese conviene, anche economicamente, il fatto che le navi occidentali siano sotto attacco e che quelle cinesi godano di una certa immunità, dovuta anche alle strettissime relazioni intessute in questi anni tra Pechino e Teheran (a inizio dicembre la Marina iraniana ha annunciato nuove esercitazioni militari navali congiunte tra Iran, Cina e Russia nel Golfo Persico e nello Stretto di Hormuz a marzo del prossimo anno). E infatti, nonostante la fanfara attorno all’unico successo diplomatico internazionale di Pechino, cioè l’aver mediato le fasi finali del riavvicinamento tra Arabia Saudita e Iran, in questi giorni sono in realtà gli Stati Uniti a fare da garanti al negoziato in corso tra Ryad e Tel Aviv per la messa in sicurezza del Mar Rosso. 

 


Il bluff della sicurezza internazionale con caratteristiche cinesi è stato svelato già dopo l’inizio dell’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Russia, ma il bluff non è fine a sé stesso, è parte di una strategia di consolidamento di potenza influente nel mondo. Ieri al Wall Street Journal il capo della Cia, William Burns, ha detto che è proprio la Cina a essere trattata “come una priorità globale” dall’agenzia d’intelligence americana: “Anche se stiamo bilanciando molteplici priorità, tra cui i conflitti in corso, rimaniamo fortemente impegnati nella sfida strategica a lungo termine posta dalla Repubblica popolare”. C’è il fatto che gli obiettivi di Pechino sono molteplici, con interessi strategici e capacità d’influenza politica pressoché ovunque nel mondo. Da più di dieci anni, da quando cioè Pechino smantellò la rete della Cia nel paese che fungeva da occhi e orecchie del mondo occidentale sullo ieratico sistema cinese, la seconda economia del mondo è un buco nero d’informazioni. E niente di simile è mai successo all’America con avversari strategici come Russia e Iran. “Non abbiamo alcuna visione reale dei piani e delle intenzioni della leadership cinese”, ha detto al Wall Street Journal un ex alto funzionario dell’intelligence. Una debolezza del mondo occidentale che Pechino vuole proteggere e sta, ovviamente, sfruttando al massimo.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.