Il regalo all'Ucraina

Biden firma la sanzione micidiale contro Putin

Scordiamoci le mosse contro l'economia russa viste fin qui

Cecilia Sala

Mosca finora ha subìto soltanto sanzioni primarie, che sono relativamente facili da aggirare. Le sanzioni secondarie fanno molto più male e il presidente americano le ha imposte con un ordine esecutivo simile a quello che Obama firmò per l'Iran. Guardando all'esempio di allora: il capo del Cremlino ha di che preoccuparsi

Joe Biden ha fatto il suo regalo di Natale a Kyiv (e all’Europa) e ha firmato l’ordine esecutivo con cui impone le sanzioni secondarie all’economia di guerra di Vladimir Putin. La dicitura “sanzioni secondarie” suona scialba rispetto a “sanzioni primarie”, eppure definisce quelle che fanno più male. Putin finora ha subìto soltanto sanzioni primarie, che sono relativamente  facili da aggirare. Esempio: a marzo del 2022, quando l’occidente ha deciso le prime punizioni all’economia russa per arginare la produzione bellica, le esportazioni dal Kirghizistan verso Mosca sono decuplicate istantaneamente. Qualcosa di simile su scala ridotta è successo con le esportazioni turche, azere, armene, georgiane, emiratine. In sintesi: i beni europei facevano un giro contorto e lungo, ma – sia pure in quantità minore – arrivavano  a destinazione.

Il problema delle sanzioni primarie è che impegnano soltanto i cittadini e gli enti dei paesi occidentali ma non sono in grado di fermare davvero le triangolazioni, quelle secondarie invece  stroncano “i terzi” che permettono a Putin di continuare a rifocillarsi di calcolatori, di circuiti integrati, di sensori e di tutto ciò che gli serve a fare la guerra. 

Soltanto le sanzioni secondarie terrorizzano le banche che operano le transazioni internazionali, e il motivo è semplice. Gli istituti che  violano le sanzioni primarie vengono puniti con le multe – in passato è capitato a Bnp per nove miliardi di dollari e a Unicredit per oltre un miliardo – ma non rischiano di essere estromessi dal sistema finanziario degli Stati Uniti. Se violi le sanzioni secondarie invece vieni automaticamente sbattuto fuori dalla porta. La storia degli ultimi quindici anni di punizioni economiche all’Iran, alla Libia, alla Russia e alla Corea del nord ci dice che l’avversione al rischio di prendere una multa, per le banche internazionali, è imparagonabile all’avversione al rischio di essere cacciate dal sistema finanziario statunitense, che è un’avversione totale. 

Il presidente russo ha sempre saputo che il suo vantaggio nella guerra in Ucraina sarebbe stato il tempo, ma non tutto nel 2024 andrà come il Cremlino ha previsto. L’ordine esecutivo di Biden è in buona sostanza una versione aggiornata di quello che firmò Barack Obama nel 2012 e che riguardava l’Iran. Con un tempo di reazione rapidissimo l’economia degli ayatollah precipitò nella peggiore recessione dagli anni in cui il paese era in guerra, invaso dalle truppe irachene di Saddam Hussein. L’Iran nel 2012 era già sotto sanzioni, ma furono soltanto quelle secondarie a spaventare gli istituti di credito non occidentali – ma che con l’occidente fanno affari, o comunque scambiano in dollari – che in quel momento si sottrassero in massa  paralizzando l’economia di Teheran. Tre anni dopo gli ayatollah vennero a patti con Obama, accettarono di fermare il programma atomico militare e diedero accesso alle proprie centrali all’agenzia internazionale per il nucleare. 

L’economia russa oggi non è in salute, si è ridotta del cinque per cento, ha perso centinaia di migliaia di lavoratori tra le fughe dal paese (soprattutto dei lavoratori del settore high tech, come ha ammesso lo stesso governo russo) e la mobilitazione, e gli incassi del settore energetico sono crollati del quaranta per cento. Questi sono i danni della guerra e delle sanzioni primarie, ma Mosca non è ancora mai stata sottoposta al test della punizione economica più micidiale, che può imbrigliarla davvero. 

La Russia oggi è nella situazione in cui si trovava la Repubblica islamica dell’Iran dopo il 2008 e prima del 2012, per far funazionare l’industria militare dipende dalle esportazioni indirette dall’Europa che passano per il Kirghizistan o per la Turchia e dalle esportazioni cinesi. Se si guardano i grafici delle importazioni iraniane di componenti meccaniche e tecnologiche – quelle che si usano per produrre le armi – si vede che il 2012 è un anno spartiacque. Tra il 2008 e il 2012 le merci europee si riducono ma vengono progressivamente rimpiazzate da quelle cinesi. Nel 2012, dopo l’ordine esecutivo di Obama: crollano  anche le esportazioni cinesi. In quel momento le banche emiratine, turche e della Repubblica popolare che avevano fatto grandi affari con Teheran fino al giorno prima,  decisero da un momento all’altro che non valesse più la pena arrischiarsi con gli iraniani accettando i loro soldi. 

Le sanzioni secondarie sono automatiche, non richiedono investigazioni e procedure burocratiche per inserire un istituto di credito nella lista nera delle banche sanzionate, basta che l’istituto in questione entri in contatto con la Banca centrale russa, con un’azienda pubblica russa, con una banca russa pseudo privata che però vende al Cremlino, perché venga messo fuori dalla porta del sistema finanziario americano, che è ancora, nei fatti, quello mondiale. 

Biden per il momento non è riuscito a trovare il modo di sbloccare i sessantuno miliardi di aiuti per Kyiv tenuti in ostaggio dai repubblicani al Congresso, ma se dal 2024 i rapporti della banche con la Russia saranno trasformati come lo furono nel 2012 quelli con l’Iran, il danno imposto alla macchina da guerra di Putin (cioè il ridimensionamento della sua capacità di farci male) varrà centinaia di miliardi.

 

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