IL DISCORSO Dal bunker

Nasrallah ricorda ad Hamas che la resistenza ognuno la fa per sé

Micol Flammini

Il leader di Hezbollah dice che Israele è spaventato e che l'Iran non coordina le azioni dell'Asse della resistenza. Neppure dopo l'uccisione di Arouri a Beirut, i miliziani del Libano sono disposti a intervenire per Gaza

Bisogna capire, dicono gli israeliani, che la diplomazia in medio oriente non si fa con gli sguardi. Si dice il contrario di quello che si intende, si urla forte quando non si ha intenzione di agire, si agisce e basta quando si vuole cambiare la situazione. Finora il manuale rispecchia la pratica e il discorso pronunciato ieri dal leader delle milizie sciite Hezbollah non fa eccezione. Hassan Nasrallah ha parlato a lungo e parlerà ancora, venerdì, la  prossima puntata, che non era in programma.  Il motivo della sua apparizione bidimensionale, come sempre da dentro al bunker da cui non si muove dal 2006 per paura dei servizi segreti israeliani, era uno soltanto. Aveva promesso un discorso in commemorazione di Qassem Suleimani, il generale iraniano che ha ideato e cucito l’Asse della resistenza, ucciso nel 2020 da un raid americano. Nasrallah aveva già annunciato il discorso ma poi c’è stato l’attacco preciso del drone israeliano contro un ufficio a Beirut, in cui sono stati uccisi sei membri di Hamas, incluso Saleh al Arouri, uno dei cinque uomini più importanti dell’organizzazione. Poi ci sono state le due esplosioni che hanno causato più di cento morti al cimitero di Kerman, in Iran, non lontano dalla tomba in cui proprio Suleimani è sepolto e attorno alla quale si era radunata la folla che voleva ricordare “il martire”. Nonostante gli imprevisti, il discorso di Nasrallah non è stato rimandato, ha cercato di riempire il vuoto temporale che occorre all’Iran per capire come gestire un attacco sul suo territorio che visibilmente non porta la firma di Israele. Il leader di Hezbollah ha detto: “Suleimani ancora li spaventa ed è per questo che lo inseguono e hanno attaccato coloro che erano alla sua tomba. Noi vediamo il martire in ogni proiettile, nelle lacrime di ogni bambino, nella pazienza di ogni donna”. Quel “loro” vago prende tempo, e riconferma che i miliziani sciiti che gestiscono il Libano finanziati dall’Iran non cercheranno di aumentare lo scontro con Israele e non lo faranno fino a quando la guerra in corso porterà la firma di Hamas. Però, secondo la regola della diplomazia mediorientale, Nasrallah ha urlato molto, ha detto che Hezbollah è già entrato in guerra e “Israele è impazzito” per la paura della minaccia. Il messaggio a Hamas, il giorno dopo l’uccisione di un uomo chiave dell’organizzazione, molto legato a Hezbollah e anche all’Iran, è che in Libano non è cambiato molto e se nella Striscia si aspettavano qualche aiuto in più, ancora una volta dovranno accontentarsi. “Chiunque pensi a una guerra contro di noi, se ne pentirà. Gli interessi del Libano ci chiederanno di arrivare fino alla fine, senza limiti”, ha detto Nasrallah aggiungendo subito dopo, riguardo all’omicidio di Arouri: “Questo crimine non passerà senza ritorsioni, la resistenza lo ha promesso”. Questo è il massimo che Hezbollah promette a Hamas: la coabitazione dentro allo stesso asse che si definisce della resistenza, una creatura di Suleimani, pensata per portare avanti gli interessi dell’Iran. Nasrallah ha detto che i componenti dell’asse, in Libano, Siria, Iraq, palestinesi, houthi combattono tutti per un unico obiettivo chiaro ma ognuno “prende decisioni indipendenti”. Ha rimarcato più volte la distanza tra i componenti dell’asse e la distanza tra loro e l’Iran. Ognuno decide per sé, l’Iran, per il quale Suleimani ha disegnato questo asse, è poco responsabile di cosa fanno gli altri. Teheran invece sa, coordina, utilizza tutti per una guerra in cui ancora non vuole entrare. La posizione del regime dopo l’attentato di ieri alla tomba di Suleimani è chiara nella sua vaghezza, nella decisione di attribuire agli Stati Uniti e Israele la responsabilità dell’attentato soltanto come “indiretta”. 


Ieri il capo di stato maggiore dell’esercito israeliano, Herzi Halevi, ha visitato il confine settentrionale del paese, quello esposto agli attacchi dal Libano. Ha detto che l’esercito, Tsahal, è in uno stato di preparazione forte e anche se la priorità rimane eliminare Hamas nella Striscia di Gaza, a nord è tutto pronto, Israele ha forze per ogni fronte. Il leader di Hezbollah ha detto che l’esercito di Israele sta nascondendo le perdite, che è stremato. Per Israele rimane un dubbio forte, sa che è accerchiato e che la sua lotta non è soltanto contro Hamas o Hezbollah o gli houthi, è anche una lotta contro il logoramento. E’ questa la strategia dell’Iran, che ieri dopo le esplosioni a Kerman ha dimostrato che non è il momento della guerra aperta contro Israele, meglio stremare, mandare avanti l’asse disgiunto. La reazione di Israele, secondo il codice mediorientale, è pensare come agire per primo. 


(Anche questa volta Hezbollah non è pronto a morire per Hamas. Venerdì conosceremo la seconda parte del discorso  di Nasrallah).
Micol Flammini

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)