Donald Trump e Xi Jinping - foto Ansa

Il bottino del presidente

Di chi erano i soldi di Donald Trump? Una commissione risponde: cinesi

Giulio Silvano

Nei quattro anni da presidente sono arrivati al tycoon quasi 8 milioni di euro: di questi 5,5 vengono da Pechino, in larga parte da persone e associazioni riconducibili al partito guidato da Xi Jinping. Il rapporto della Camera dei rappresentanti

"La Cina sta stuprando il nostro paese", diceva nel 2016 Donald Trump. Sia da candidato sia da presidente Trump ha costantemente usato la Cina come un nemico facile della sua policy isolazionista “America first”. Nella sua propaganda, il Covid-19 era il “virus cinese”, e in un discorso nel Rose Garden alla fine del suo mandato continuò a parlare del modo in cui la Cina, da anni, “sta truffando il nostro paese”. Per capire l’ossessione asiatica c’è un video su YouTube con quasi tre milioni di visualizzazioni dove Trump ripete con il suo accento marcato “China, China, China, China…” con la musica dei Daft Punk. Sappiamo, ora che abbiamo i numeri, che la trade war con Xi Jinping portata avanti dall’Amministrazione Trump è stata un fallimento, e i nuovi dazi  trumpiani hanno fatto perdere agli Stati Uniti parecchi soldi e centinaia di migliaia di posti di lavoro. Ma è venuto fuori che i soldi cinesi erano i benvenuti, almeno nelle casse della Trump Organization.

 

Una commissione della Camera dei rappresentanti gestita dai democratici ha reso pubblico che nei quattro anni alla Casa Bianca sono arrivati a Trump e alla sua famiglia quasi 8 milioni da parte di potenze straniere. Di questi, 5 e mezzo sono arrivati dalla Cina. La Industrial and Commercial Bank of China, per esempio, ha affittato parte della Trump Tower a Manhattan (cosa che però faceva da prima della discesa in campo). Altri soldi, non di privati cittadini ma legati direttamente o indirettamente al governo cinese sono stati spesi in alberghi ed edifici di proprietà di Trump. La Cina non è l’unico paese: tra i clienti ci sono anche funzionari di Arabia Saudita (615 mila dollari), Qatar, Kuwait, e Malesia (l’ex presidente Razak, mentre era sotto investigazione da parte degli Stati Uniti, spendeva 10 mila euro a notte in un albergo di Trump a Washington). Quello che non si può dimostrare è quanti di questi soldi sono finiti direttamente nelle tasche di Trump.

 

Una volta eletto, Trump non ha lasciato le sue aziende, come accade solitamente per i businessman che entrano in politica. Ha solo lasciato la gestione quotidiana ai figli Eric e Don Jr., e ha promesso che non avrebbe fatto nuovi affari con potenze straniere. Anche perché, costituzionalmente, senza l’approvazione del Congresso è illegale ricevere soldi da parte di altre nazioni. Ma lasciando da parte ipocrisie, potenziali guai legali e conflitti d’interessi, il fatto più interessante di questa storia è come ci si è arrivati. Secondo i repubblicani trumpiani da anni Joe Biden e la sua famiglia si arricchiscono grazie ad affari fatti all’estero, “bisogna solo dimostrarlo” dicono, cosa che ancora nessuno riesce a fare. Hunter, il figlio del presidente, feticcio della destra, è nella narrazione Maga la chiave di volta per dimostrare che c’è qualcosa di losco nella famiglia Biden, non solo per il suo lifestyle da bad boy, ma per i suoi ex lavori con aziende cinesi e ucraine. E da quando i repubblicani hanno il controllo della Camera stanno cercando ogni via giudiziaria per scavare nel suo passato. La commissione ha quindi semplicemente trovato in casa Trump quello che l’Alt Right vorrebbe scoprire in casa Biden. Non la famiglia presidenziale, ma quella di Trump aumentava il proprio fatturato con i soldi cinesi. La smodata ricerca di un motivo per far partire un impeachment nei confronti di Biden ha portato a rivelare altri guai nella tribù di Trump

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