Chi è Aharon Barak, il giudice di Israele all'Aia
Ex presidente della Corta suprema, odiatissimo da Bibi, ma adesso necessario. Sopravvissuto all'Olocausto, è stato "l'eroe di Camp David" nel 1978. I duecento bastoni da collezione e il richiamo della competenza
Non c’è nessuno che in Israele ormai non sappia dove vive Aharon Barak, tanto la sua casa prima di ottobre era diventata il centro della controprotesta dei sostenitori del governo, così violenta da essere definita dal quotidiano israeliano Haaretz “una jihad ebraica”. Per giorni, i manifestanti hanno accusato il giudice, ormai in pensione, di aver esteso oltre misura le competenze della Corte suprema quando ne era presidente, agendo contro i piani del primo ministro Benjamin Netanyahu, contro il governo e la maggioranza più sporta a destra della storia di Israele. Aharon Barak la storia di Israele l’ha fatta e la farà ancora visto che sarà lui il giudice israeliano nominato dal premier per esaminare le accuse di genocidio mosse dal Sudafrica contro Israele. La Corte internazionale di Giustizia si riunirà giovedì e venerdì e il governo che aveva scatenato le proteste e il giudice che ne era stato vittima hanno messo tutto da parte, hanno iniziato a collaborare. Netanyahu sa che questo è il momento di tirare fuori il meglio del suo paese, lo ha dimostrato dopo l’attacco del 7 ottobre, quando ha chiamato i suoi oppositori a collaborare in un atto non di buona volontà, ma di necessità: aveva bisogno della competenza, non dei suoi compagni di coalizione. Così per nominare il giudice israeliano all’Aia aveva bisogno di una figura riconosciuta in tutto il mondo, dell’uomo che nel 1978 Menachem Begin aveva chiamato per negoziare i colloqui di pace di Camp David con l’Egitto, definendo Barak “l’eroe dell’accordo”. Il giudice è ormai in pensione, e nella sua dimora di Tel Aviv, una volta trasferitosi da Gerusalemme, aveva pensato di trovare libri, piaceri, tempo libero e non una folla sotto la finestra, non le accuse di un governo mal assortito. Ha accettato la proposta di Netanyahu, sarà lui all’Aia, sarà lui il giudice israeliano tra i quindici provenienti da tutto il mondo, a valutare la causa da parte di un paese che accusa di genocidio Israele ma accoglie il generale Degalo, detto Hemedti, capo di un’organizzazione criminale e autore di un periodo lungo di ferocia senza regole in Sudan. Il Sudafrica riconosce la Corte, ma a modo suo, secondo le sue esigenze e in agosto sembrava sul punto di accogliere Vladimir Putin – contro il quale l’Aia ha spiccato un mandato di arresto internazionale – per un vertice dei Brics durante il quale il presidente russo decise di tenere un discorso da remoto. Di fronte a tutto questo, Barak non si è tirato indietro, ha risposto allo stesso richiamo di tanti altri suoi concittadini, contrari al governo, ma consapevoli che questo è il momento dell’unità.
Barak è un sopravvissuto all’Olocausto, ha ottantasei anni, è nato in Lituania e non è stato ucciso dai nazisti soltanto grazie a dei contadini che lo portarono fuori dal ghetto in un sacco e lo nascosero tra le patate. A guerra finita, con la sua famiglia, si trasferì nell’allora Mandato britannico della Palestina, che un anno dopo sarebbe diventato Israele. Portò con sé tre insegnamenti: la necessità di uno stato ebraico come patria del popolo ebraico, la necessità che questo stato fosse democratico e attento ai diritti, la necessità di una giustizia che questi diritti li garantisca. Con questi insegnamenti, lascerà la sua casa di Tel Aviv, adornata con i suoi duecento bastoni da passeggio e le tele di sua moglie, e andrà all’Aia. (Micol Flammini)