Ricorsi storici
Il Belgio ha il suo Di Pietro: l'ex giudice del Qatargate scende in politica
Il magistrato Michel Claise, autore dell’indagine sul presunto scandalo di corruzione al Parlamento europeo, in pensione da pochi giorni, ha annunciato la sua discesa in politica. La parabola del Qatargate è completa
La parabola del Qatargate è completa. Michel Claise, giudice istruttore dell’indagine sul presunto scandalo di corruzione al Parlamento europeo, in pensione da pochi giorni, ha infatti annunciato la sua discesa in politica: si candiderà alle elezioni legislative di giugno con il partito social-liberale Défi (Democratico federalista indipendente). Insomma, il Belgio ha definitivamente il suo Antonio Di Pietro: un magistrato divenuto simbolo della lotta alla corruzione e al malaffare che, dopo aver preteso di “ripulire” il sistema con la toga addosso (con ben pochi risultati), la sveste e decide di entrare direttamente nell’agone politico “per lottare contro l’ascesa del potere criminale” (testuale). Si tratta solo dell’ultimo colpo di scena dell’inchiesta che avrebbe dovuto svelare il più grande scandalo di corruzione di sempre delle istituzioni europee, e che invece si sta rivelando uno dei più gravi scandali di malagiustizia degli ultimi decenni.
La decisione di Claise di scendere in politica segue l’apertura da parte della Camera d’accusa del tribunale di Bruxelles di una procedura di verifica sulla regolarità delle indagini preliminari svolte nell’inchiesta sul Qatargate. Il primo interrogativo riguarda il ruolo svolto dai servizi segreti belgi, che all’avvio delle indagini hanno monitorato illegalmente diverse riunioni tenutesi al Parlamento europeo, registrato conversazioni e intercettato telefonate fra gli eurodeputati, in violazione dell’immunità parlamentare.
La seconda questione riguarda i metodi di indagine utilizzati da Claise per verificare l’ipotesi dell’esistenza di un vasto sistema di corruzione che, in cambio di mazzette da Qatar e Marocco, avrebbe indirizzato l’attività parlamentare a favore di questi due stati. Al centro dell’attenzione l’ampio ricorso del magistrato alla carcerazione preventiva, utilizzata come forma di pressione sugli indagati. Il primo a subire questo trattamento è stato Antonio Panzeri, ex europarlamentare del Pd, a capo della ong Fight Impunity, trovato in possesso di 600 mila euro in contanti. Quando i magistrati belgi decidono di procedere con l’arresto della moglie e della figlia di Panzeri, quest’ultimo accetta di assumere il ruolo di “pentito” e patteggia con la giustizia belga una pena ridotta a un anno di reclusione in cambio delle sue confessioni, volte a rafforzare le accuse delle toghe.
Molto peggio è andata a Eva Kaili, vicepresidente del Parlamento europeo (subito destituita), il cui padre era stato trovato in possesso di una borsa con centinaia di migliaia di euro provenienti da Panzeri e affidati al suo collaboratore Francesco Giorgi, compagno di Kaili. E’ rimasta in carcere cinque mesi, lontano dalla figlia di nemmeno due anni, nonostante non ci fosse pericolo di fuga né di inquinamento delle prove. Durante questo periodo le è stato chiesto ripetutamente di fare dei nomi, ma si è sempre rifiutata, sostenendo di non conoscere la provenienza dei soldi.
Il terzo interrogativo dell’indagine riguarda la figura di Maria Arena, eurodeputata belga, citata più volte nelle indagini, senza però mai finire in carcere e subire lo stesso trattamento riservato agli altri indagati. Lo scorso giugno si è scoperto che il figlio di Claise ha una società in comune con il figlio di Arena. Così il giudice istruttore ha deciso di fare un clamoroso passo indietro, ritirandosi dall’indagine per l’evidente conflitto di interessi. Soltanto dopo l’uscita di scena di Claise, gli investigatori hanno perquisito l’abitazione di Arena e quella di suo figlio, trovando in quest’ultima 280 mila euro in contanti di provenienza ignota. Insomma, il sospetto è che, a differenza di tutti gli altri indagati, Arena sia stata “risparmiata” da Claise.
Come se non bastassero questi interrogativi, bisogna considerare che l’inchiesta sul Qatargate è stata caratterizzata fin dall’inizio dalla pubblicazione di verbali e atti di indagine che avrebbero dovuto rimanere segreti. Un processo mediatico violentissimo, che oltre a stritolare le vite dei malcapitati ha demolito l’immagine del Parlamento europeo.
Di fronte a questo scempio del diritto resta un’indagine sospesa. Nonostante i metodi usati dai magistrati, nessuna prova concreta di manovre volte a spostare il Parlamento europeo su posizioni favorevoli al Qatar è stata rintracciata.
Ma non importa. Questa è la storia dell’ascesa di Claise. Una toga che quelli che fingono di odiare il modello Di Pietro (la destra, giornali compresi) hanno trasformato in eroe.