da belgorod

In Russia è rimasta una sola forza di opposizione, inaspettata

Micol Flammini

Gli attacchi ucraini contro Belgorod hanno anche un obiettivo elettorale, in un voto dalle poche sorprese in cui si parla più di feste e nudità che di guerra

Vladimir Putin non è a caccia di voti, non servono. E’ a caccia di un clima elettorale favorevole. Non si aspetta sorprese, ma vuole che le urne non siano vuote e le strade non siano piene. Serve un grado di demotivazione tale da far pensare ai cittadini che in Russia vada tutto bene, ma questo bene è legato unicamente alla figura del loro presidente. Putin non è l’unico candidato, ma tra i volti molto noti che da anni fanno da contraltare al presidente, e facce ancora da scoprire, gli oppositori più conosciuti del presidente russo sono in prigione o sono in esilio. La ragione per cui si ritiene che il potere del Cremlino sia stabile è perché la repressione è iniziata adagio e quando era sul punto di accelerare, lo ha fatto in modo che non potesse essere più fermata. Adesso che queste elezioni si terranno con la guerra in corso, rimangono però degli oppositori ai quali il presidente russo non aveva pensato, che non cambieranno il risultato, ma sanno dare fastidio: gli ucraini. 


La campagna di bombardamenti iniziata da Putin a fine dicembre è intensa. Tutti i giorni, le sirene suonano in gran parte del territorio dell’Ucraina. L’obiettivo è quello di saturare la contraerea di Kyiv e di trascinare gli ucraini alla resa. L’Ucraina però ha preso a rispondere in modo regolare e i bombardamenti diretti al di là della frontiera russa non sono sporadici. Prima Kyiv colpiva in modo chirurgico, parsimonioso, adesso questi attacchi non hanno più soltanto un valore militare. Sono colpi elettorali, che stanno portando, per esempio, il governatore di Belgorod, Vjacheslav Gladkov, a chiedere ai suoi cittadini di evacuare. Sono trecento i residenti che sono stati portati via, le vacanze natalizie sono state allungate di una settimana, e se i lanci di Kyiv dovessero rimanere costanti, è impensabile che non vengano prese altre misure. Il presidente russo continua a dire che la guerra in Ucraina non ha un impatto in Russia, che l’occidente collettivo ha cercato di colpire Mosca con le sanzioni, ma Mosca sta resistendo, che i combattimenti sono un affare degli ucraini nazisti e del governo corrotto di Kyiv. I bombardamenti di Kyiv ricordano invece che  la guerra è in Russia, costringono l’esercito a proteggere il territorio russo, quindi a spostare armi che stanno usando in Ucraina, e dimostrano che la guerra non fa male soltanto al di là dal confine, ma anche in Russia. I danni e le ferite non sono comparabili – soltanto ieri la polizia ucraina ha detto che ci sono ancora più di duemila corpi che devono essere identificati, e che con i bombardamenti in aumento anche questa cifra crescerà – ma per Kyiv è importante mostrare che questa guerra non potrà tenere a riparo per sempre i russi, che invece sono concentrati su altro.  


A fine anno, una festa organizzata da una presentatrice televisiva in un locale moscovita molto famoso chiamato Mutabor aveva sconvolto la società russa per il dress code dei partecipanti che si erano presentati “quasi nudi”. La festa è sotto inchiesta per promozione di idee lgbtq+, gli invitati più celebri, inclusa l’ospite, hanno dovuto fare dei video di scuse. Alcuni sono stati arrestati. Tra loro anche il cantante Vacío. La canzone più famosa di Vacío si intitola Spokojstvie, vuol dire pace, tranquillità, e canta di quanto soltanto il denaro possa garantire successo e una duratura fonte di serenità. Vacío è stato arrestato due volte, è ancora in prigione ma ha ricevuto una convocazione militare e potrebbe essere mandato a combattere in Ucraina. Il suo legale confida nel fatto che il ragazzo fosse già stato scartato per la leva e difficilmente sarà mandato al fronte. Nelle elezioni russe, si parla anche di questo: di feste “quasi nude” contrarie ai valori tradizionali, i temi li crea la propaganda. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)