L'editoriale dell'elefantino
Gabriel Attal primo ministro in Francia, bel colpo
I giovani sono sì quelli che aspettano di invecchiare ma sono anche altro, e si vede a tutte le latitudini
Bel colpo, si direbbe. Un primo ministro di 34 (trentaquattro) anni può essere una indicazione e una soluzione insieme. Poi certo bisogna vedere, il fattore dell’età acerba per la media delle carriere politiche non è sempre premiato dalla realtà dei rapporti di forza o da altre insidie della giovinezza, e la Francia di Emmanuel Macron e del prescelto Gabriel Attal, due supergiovani del firmamento, ne ha di gatte da pelare. Basti pensare alla situazione speculare opposta, quella delle elezioni americane che si giocano, a quanto pare, tra vegliardi; circostanza priva di vere alternative perché malgrado tutto bisogna dire che i ragazzi o le ragazze che si sono messi in lizza per i governatorati o per il Senato e il Congresso non sempre hanno fornito grandi prove e spesso hanno coronato la disinvoltura di candidature innovatrici con la più tradizionale delle sconfitte ai voti. Quando ce l’hanno fatta non si sono però discostati da uno schema d’attacco giovanilistico, e una punta radicaleggiante, che aliena loro il grosso dell’elettorato e dunque altre decisive candidabilità.
Nel caso di Attal l’età, il portamento autorevole ma fresco, l’esperienza relativa benché solida, la capacità di comunicare sé stesso e l’oggetto del governo, una popolarità quasi spontanea come ministro dell’Education nationale, il rispecchiamento nell’avversario Jordan Bardella, un altro mignon scelto da Marine Le Pen per sorreggere la sua prossima faticosa ma promettente corsa all’Eliseo, tutto questo appare davvero l’elemento decisivo della scelta. Al presidente sarebbe stato possibile con Julien Denormandie puntare sull’agricoltura, che è uno dei punti deboli del radicamento del suo progetto nella Francia vera, la France d’en bas. Oppure replicare con Gérald Darmanin, il ministro dell’Interno intaccato dalla battaglia aspra sull’immigrazione, lo schema Sarkozy, costruito per l’Eliseo, all’epoca di Chirac, dal ministero della forza e dell’ordine di Place Beauvau. Oppure ancora cercare di stringere un rapporto più forte con la destra ex gollista, quei Républicains che di per sé consentirebbero di fare maggioranza per le ultime riforme di un quinquennato ancora agli esordi (mancano tre anni e mezzo) ma in un certo senso già agli sgoccioli, vittima della sua minorità nell’Assemblea nazionale. Con una procedura tipica dei grandi poteri, il nome di Attal è stato fatto filtrare subito dopo le dimissioni del primo ministro uscente e messo in concorrenza apparente con gli altri e, come al solito, dopo una nottataccia di prevedibili pressioni di tutti i generi, poco dopo la mattinata successiva, alle 12 e un quarto, è venuto l’annuncio abbastanza prevedibile.
Che si possa più attendibilmente parlare del futuro di un paese, del rinnovamento di un sistema, a 34 anni invece che in fasi più avanzate della vita è un’ovvietà.
Senza indulgere alle retoriche del caso, bisogna dire che gli affari pubblici di questi tempi presentano, oltre che un aspetto in generale calamitoso, un lato ingarbugliato, difficile da districare anche in luoghi dove la formazione delle classi dirigenti comincia da buone scuole e accademie e percorsi di alta gavetta, come a Parigi senz’altro. Alle tortuosità e asprezze di una certa fatica del governare le cose che contano è naturale che si cerchi di rispondere cautelandosi sul fronte dell’energia, di una predisposizione al positivo e in linea generale all’ottimismo. Infatti Attal ha subito sfoderato la fiducia in un paese capace di allontanare da sé il declino. Non dovremmo dirlo qui, per conflitto di interessi potenziale, visto che un direttore di trentadue anni alla nomina ha rigenerato e rilanciato un piccolo grande giornale come il nostro, con risultati molto brillanti. E invece è proprio qui, in fondo, che si ha la giusta sfacciataggine per dirlo: i giovani sono crocianamente quelli che aspettano di invecchiare, e questo è molto saggio, ma sono anche altro, e si vede a tutte le latitudini.