in cina

Il ministero delle spie di Pechino che protegge solo il potere di Xi Jinping

Giulia Pompili

La luce verde nell'appartamento di un cittadino e la mobilitazione nazionale, anche della gente comune, per il controspionaggio

Il ministero della Sicurezza cinese, cioè la principale agenzia d’intelligence della leadership di Pechino, a fine dicembre sulla sua pagina WeChat – il social  network per eccellenza cinese dove da qualche mese è sbarcato anche il ministero più temuto della Cina – ha raccontato una storia di partecipazione al controspionaggio dei cittadini. Il signor Li, proprietario di un appartamento locato in una non precisata città della costa cinese, ha affittato l’immobile a una società straniera. “Ho affittato la mia casa a degli stranieri”, ha spiegato il signor Li, che si è detto sospettoso in un primo momento perché “nessuno vi ha mai soggiornato”, e poi per un dettaglio che ha dell’extraterrestre: da una delle stanze, infatti, “si diffondeva sempre una luce verde”. E allora lui che cosa ha fatto? Ha chiamato il ministero della Sicurezza, che prontamente ha provveduto a verificare le informazioni e ha scovato, dentro all’appartamento, “equipaggiamenti professionali” per spionaggio, “apparecchiature di sorveglianza e fotografiche segrete installate da agenzie di intelligence straniere”. L’obiettivo era rivolto verso la base navale proprio di fronte alle finestre della casa, e secondo il ministero cinese se quelle immagini fossero state “trasmesse all’estero, avrebbero compromesso seriamente la sicurezza nazionale”. Il signor Li è stato ricompensato per il suo aiuto nel “fermare potenze straniere dal rubare segreti militari alla Cina”, e grazie a questa storiella il ministero della Sicurezza di Pechino ha rinnovato l’invito ai cittadini cinesi di fasi occhi e orecchie dell’intelligence cinese. 

 


Non è un caso se il messaggio contro lo spionaggio di “potenze straniere” del ministero della Sicurezza di stato cinese, guidato da poco più di un anno dal funzionario e fedelissimo di Xi Jinping, Chen Yixin, sia arrivato proprio adesso. Negli ultimi giorni i principali media americani hanno pubblicato articoli sulla trasformazione di un’istituzione della leadership cinese che fino a qualche tempo fa era oscura e poco nominata, e che sta invece acquistano una nuova centralità politica. Martedì scorso il Wall Street Journal ha raccontato di quando, poco più di dieci anni fa, Pechino riuscì a smantellare le operazioni della Cia nel paese: ricostruire quella rete non è facile, ma necessario. Benché la sorveglianza tecnologica serva a controllare i movimenti soprattutto militari della Cina, una rete di informatori serve a capire quali siano i reali piani della leadership dal punto di vista politico – perché, come sappiamo, spesso quello che la leadership cinese annuncia attraverso i media di stato non corrisponde al vero. Mercoledì quattro  giornalisti del New York Times hanno firmato un’inchiesta che svela l’ambizione principale del ministero della Sicurezza di stato cinese: applicare l’Intelligenza artificiale ai sistemi di sorveglianza di massa. In un memo riservato, visionato dai giornalisti, i funzionari dell’intelligence cinese chiedono ai contractor della sorveglianza di aumentare la capacità delle telecamere intelligenti di fornire dettagli, rete e connessioni, sui diplomatici che lavorano nell’area delle ambasciate di Pechino – per scoprirne soprattutto le vulnerabilità. E poi c’è un altro fattore che ha reso l’America lenta nel fare controspionaggio sulla Cina: negli anni Dieci alla Casa Bianca quasi nessuno aveva dato peso a quei (pochi, c’è da dire) analisti che sottolineavano il rischio dell’ascesa di Xi Jinping, ossessionato dal nazionalismo e dal controllo. Sotto la sua leadership, il ruolo del ministero della Sicurezza di stato in Cina è aumentato esponenzialmente, ed è sempre più attivo negli affari correnti della Repubblica popolare. Sin dallo scorso anno, è stata affidata a quel ministero la responsabilità di “controllare” le aziende americane che lavorano su suolo cinese, per esempio: “Il ministero ha le responsabilità all’estero della Cia e il mandato interno dell’Fbi”, si legge sul New York Times, “con un tocco autoritario. Il ministero ha il compito di effettuare la raccolta e le operazioni di intelligence all’estero, di limitare l’influenza straniera all’interno della Cina e di reprimere le cosiddette attività sovversive. La sua missione è dichiaratamente politica: difendere il Partito comunista da ogni minaccia percepita”. Sulla pagina WeChat del ministero, qualche giorno fa è apparso un messaggio in cui si chiedeva al pubblico di monitorare e reprimere “i luoghi comuni” sul rallentamento dell’economia cinese.  

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.