L'attacco
Il dorato mondo dello showbiz glissa sugli ostaggi israeliani
“Ai Golden Globe nessuno ha parlato degli ostaggi d’Israele”. L'attore Micheal Rapaport sferza i colleghi
“Tutto quel femminismo Barbie da miliardi di dollari e tutti questi giovani attori e attrici consapevoli e nessuno che abbia detto nulla ai Golden Globe sui 133 ostaggi d’Israele. Non un attore, un regista, un produttore, un comico... e si sa che gli attori, gli artisti parlano di tutto, nessuno ha detto una parola. Non faccio nomi perché nessuno ha detto niente”. Attaccando i colleghi di Hollywood, l’attore americano Michael Rapaport sembra quasi aver voluto rispondere alla domanda di Douglas Murray sullo Spectator: “Perché le celebrità non sono interessate agli ostaggi israeliani?”.
“Il 7 ottobre sono stati rapiti 240 israeliani”, scrive Murray. “Il numero cambia man mano che continuano a essere trovati pezzi di corpi nel sud di Israele. La più giovane israeliana rapita è Kfir Bibas, di nove mesi, anche se una delle donne rapite era incinta di otto mesi e si prevede che abbia partorito durante l’ultimo mese di prigionia a Gaza. Se suo figlio è nato ed è ancora vivo, Kfir sarà il secondo più giovane. Uno degli ostaggi più anziani è Yaffa Adar, una nonna di 85 anni che non riesce ad arrivare in bagno da sola. Dov’è la campagna internazionale? Dove sono le attrici? Dove sono gli influencer di spicco?”.
Tutto, come dice Rapaport, tace nel mondo dello spettacolo sugli ostaggi israeliani che ieri non hanno potuto testimoniare alla Corte di giustizia dell’Aia. Nulla dai red carpet europei, come Cannes, dove le attrici si velano in nome dell’“inclusione”. Nulla dai César, dove la star del cinema sentimentale francese, Corinne Masiero, è stata così audace da coprirsi di pelle d’asino insanguinata per denunciare, una volta nuda, i “cattolici bianchi borghesi eterosessuali di destra”. Nulla dagli attori americani che boicottano la Florida per la messa al bando dell’ideologia gender nelle scuole (sono passati da “gay gay gay” a “Gaza Gaza Gaza”). Nulla dagli sceneggiatori di Hollywood loquaci sul Me Too. Nulla dai duchi del Sussex: Meghan Markle non se l’è sentita di attaccare Hamas. Nulla da Emma Watson e dagli altri attori di “Harry Potter”, neanche quando hanno visto una fan della loro serie uccisa da Hamas abbracciata alla nonna in un kibbutz. La stessa Watson che non ha esitato ad attaccare la propria creatrice, J. K. Rowling, quando ha detto che un uomo non è una donna. Un’attrice in solitaria, Julianna Margulies, come il francese Philippe Lellouche, ha castigato i colleghi per il loro silenzio sugli ostaggi di Hamas. In vista della cerimonia di premiazione ai Golden Globe, i sostenitori degli ostaggi hanno cercato di fornire ai partecipanti spille con un nastro giallo da attaccare ai loro abiti sfoggiati sul tappeto rosso. Il movimento Bring Them Home, dedito alla difesa degli israeliani detenuti a Gaza, ha trovato però pochi abiti firmati a cui appendere le spille, incluso quello di Natalie Portman, l’attrice nata in Israele.
Il cortometraggio “Submission” vent’anni fa costò la vita al regista olandese Theo van Gogh. Stava andando in bicicletta al lavoro quando un terrorista gli ha sparato, gli ha tagliato la gola e gli ha appuntato sul corpo un biglietto. “Eppure non abbiamo sentito neanche una parola da Hollywood sull’uccisione di Van Gogh” ha scritto il Wall Street Journal. Un loro collega era stato macellato in pieno giorno e nessun regista, sceneggiatore, produttore o magnate del cinema in Europa e America era riuscito a proferire parola. Saturday Night Hamas!