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L'enfant prodige Gabriel Attal. Da dove viene il nuovo premier francese

Mauro Zanon

È il primo ministro più giovane della storia di Francia. Prima giannizzero di Macron e oggi suo delfino, i sondaggi lo premiano

Nessuno lo aveva visto arrivare. Nemmeno i retroscenisti più informati, quelli che fino a lunedì assicuravano che i nomi per il ruolo di primo ministro al posto dell’austera Elisabeth Borne erano tre e soltanto tre: Sébastien Lecornu, 37 anni, ministro della Difesa cresciuta nel gollismo ma salito rapidamente nelle gerarchie macroniste fino a diventare una figura imprescindibile dell’organigramma; Julien Denormandie, 43 anni, ex ministro dell’Agricoltura e membro del cerchio magico che costruì la candidatura vincente di Macron nel 2017 attraverso la creazione di République en marche!; Richard Ferrand, 61 anni, ex barone del socialismo che nel 2016 ha abbracciato il macronismo e non lo ha più mollato, segretario generale di En marche!, e in seguito deputato e presidente dell’Assemblea nazionale. Nessuno lo aveva visto arrivare Gabriel Attal, 34 anni, con quel volto ancora fanciullesco ma già con un’esperienza politica di rilievo, nel cv le migliori scuole della République e l’aria di chi sa di avere un grande destino davanti a sé. In pochi, di certo, immaginavano che questo ragazzo fosse già pronto per tale promozione, anche se quando ha preso le redini dell’Education nationale lo scorso giugno, ossia del ministero dell’Istruzione, si era subito distinto per carisma e personalità, facendo ombra ai suoi colleghi grazie a un talento di comunicatore fuori dal comune e a un sorriso contagioso, imponendo il marchio Attal con idee forti e precise, a partire dal divieto dell’abaya a scuola, il velo integrale che scopre soltanto l’ovale del viso ed è indossato da sempre più ragazze musulmane, e il ritorno delle uniformi (per ora è una sperimentazione in alcuni istituti). 


Le idee attaliane per rilanciare la scuola francese avevano anche l’approvazione della première dame ed ex professoressa di lettere Brigitte Macron, che molto probabilmente ha avuto voce in capitolo nella scelta del neopremier (dice a tutti che Gabriel è un “fighter”, “audace”, “coraggioso”, che “andrà lontano”). “Da studentessa indossavo la divisa: quindici anni di gonna blu navy, maglione blu navy. E l’ho vissuta bene. Così si cancellano le differenze, si risparmiano tempo – ci vuole tempo per scegliere come vestirsi la mattina – e soldi – rispetto alle marche”, ha dichiarato Brigitte. Che Attal avesse l’ambizione di salire in alto, molto in alto, era già chiaro dai tempi in cui frequentava l’Ecole alsacienne, prestigioso istituto privato del Sesto arrondissement fondato nel 1874 da un gruppo di pedagoghi protestanti dove nel passato hanno studiato l’attore Jean-Paul Belmondo e l’ex ministro della Giustizia Robert Badinter, colui che abolì la pena di morte. E’ l’anno del cosiddetto “yearbook”, l’album che ripercorre i momenti trascorsi con i compagni tra i banchi di scuola e non solo. “Io avevo incollato delle foto con la mia compagnia di amiche, le nostre vacanze, le gite annuali dell’École alsacienne, i miei inizi da cantante allo spettacolo di fine anno… Gabriel, invece, aveva messo solo una foto che lo ritraeva davanti a una bandiera francese in modalità presidente. Ho pensato che un giorno lo sarebbe diventato!”, ha raccontato la cantante Joyce Jonathan, che fu compagna di scuola di Gabriel Attal all’École alsacienne. 


Per ora è primo ministro, il più giovane della storia della Quinta Repubblica francese disegnata da Charles de Gaulle come “l’incontro tra un uomo e un popolo” (ha strappato il record a un pezzo da novanta del socialismo come Laurent Fabius, attuale presidente del Consiglio costituzionale, che nel 1984 era stato nominato capo del governo da François Mitterrand all’età di 37 anni), ma i più maligni dicono che Attal, in un angolo non troppo nascosto della sua testa, stia già pensando all’Eliseo, che Macron, chiamandolo a Matignon, si è messo in casa un futuro traditore (la politica francese, si sa, è piena di parricidi e Gabriel sembra il primo vero erede del macronismo, “Monsieur le Dauphin”, come ha titolato il settimanale Le Point in copertina). Indubbiamente, il capo dello stato non ha mai manifestato in modo così evidente la sua ammirazione per un membro del governo come ha fatto con il giovane Gabriel. Lo scorso 20 dicembre, ospite della trasmissione C à vous su France 5, il salotto buono della televisione francese, Macron ha riempito di elogi il suo pupillo per il lavoro compiuto in meno di sei mesi all’Éducation nationale, salutando “la sua energia”, “il suo coraggio”, “il suo talento”, “la sua popolarità”, dicendosi “molto contento, molto fiero” di avere in squadra uno come lui. Attal, dal canto suo, non perde mai l’occasione di ringraziare il presidente, di dire in pubblico quanto si senta una creatura del macronismo. “Non ero nulla prima di Emmanuel Macron, gli devo tutto”, ha confidato al Parisien. 


Il percorso di Attal in politica inizia tuttavia nel Partito socialista, ai tempi in cui Ségolène Royal aveva creato Désirs d’avenir, associazione politica esterna al Ps per sostenere la sua candidatura alle presidenziali che è stata in un certo senso antesignana di En marche!. Prende la tessera del partito nel 2006, ma la sua vocazione politica nasce quattro anni prima: quando i suoi genitori lo portano a 13 anni alla manifestazione contro la presenza di Jean-Marie Le Pen, leader dell’allora Front national (oggi Rassemblement national), al secondo turno delle presidenziali. Amareggiato dalla sconfitta di Ségolène contro Nicolas Sarkozy, resta comunque nel Ps, si avvicina all’orbita di Dominique Strauss-Kahn, ma senza essere un “Dsk boy” come molti futuri macronisti. Il Monde lo situa “nel solco di quella ‘deuxième gauche’ (la sinistra di Michel Rocard, ndr) per cui le imprese e il liberalismo non sono due parolacce, ma con idee umanistiche rivendicate”. Nell’anno 2009-2010 ha una parentesi italiana: a Roma, a Villa Medici, sede dell’Accademia di Francia nella capitale e fulcro della vita culturale europea, dove è incaricato di una missione per conto dell’allora direttore Éric de Chassey. Due anni dopo ottiene il suo primo ruolo importante: entra nel gabinetto di Marisol Touraine, ministra della Salute di François Hollande, alla quale scrive i discorsi. A 23 anni, è il più giovane consigliere ministeriale del quinquennio. “Era brillante, molto ironico e con un grande fiuto politico. Del resto, è rimasto al ministero durante tutta la durata del quinquennio”, racconta una sua collega di gabinetto dell’epoca. 


Ma nel marzo del 2016, dinanzi a un Ps in crisi di identità e di consensi, dove la vieille garde è restia a lasciare spazio ai giovani, non esita ad avvicinarsi al movimento che l’allora ministro dell’Economia Emmanuel Macron decide di lanciare con l’obiettivo di superare i vecchi steccati della politica francese, di andare oltre il bipolarismo storico tra socialisti e gollisti, secondo la dialettica dell’“en même temps”: En marche!. “Ero con lui al Ps e ce ne siamo andati. Perché abbiamo constatato che il Ps non era in grado di fare posto alla nuova generazione e che il partito era inghiottito da vecchi schemi di pensiero. Con Emmanuel Macron, abbiamo avuto l’impressione che i valori di progresso, di libertà e di emancipazione erano maggiormente difesi e lo erano in una dinamica positiva”, ha spiegato Aurélien Taché, ex deputato macronista, oggi sotto i colori della Nupes, la coalizione guidata dal giacobino Jean-Luc Mélenchon. Attal non fa parte del commando dei “Mormons”, il gruppo di soldati del macronismo che ha seguito Macron fin dal ministero dell’Economia: inizialmente è più discreto, ma quando viene eletto deputato nel 2017 si fa rapidamente un nome, emerge in maniera dirompente. In un gruppo pieno di neofiti della politica com’era la République en marche (oggi Renaissance) ai suoi inizi, Attal è di gran lunga il più talentuoso, soprattutto sul piano mediatico. Contro i pasdaran di Marine Le Pen che nei talk-show cannoneggiano contro il governo, Attal buca lo schermo e risponde colpo su colpo con un aplomb e un’efficacia assai rari per la sua età (all’epoca non aveva ancora trent’anni), difendendo l’azione del presidente. Il Monde, nell’ottobre del 2017, lo inserisce tra i “cecchini” dell’inquilino dell’Eliseo, “giannizzeri devoti anima e corpo al capo dello stato, che dipendono soltanto da lui, che rendono conto soltanto a lui”. Macron lo nota e nel 2018 lo fa portavoce del partito (è in quella veste che il suo nome apparve per la prima volta nelle cronache italiane, per aver definito “vomitevole” la linea sui migranti del governo gialloverde Di Maio-Salvini, che aveva deciso di chiudere i porti all’Aquarius, la nave di proprietà dell’ong Sos Méditerranée e ai suoi seicento migranti a bordo). Lo stesso anno fa il suo primo ingresso nel governo come segretario di stato presso il ministero dell’Istruzione e la gioventù allora guidato da un peso massimo come Jean-Michel Blanquer, e aggiunge un altro record al suo curriculum: è il più giovane membro di governo della Cinquième République. 


Nel 2020, per dare una scossa comunicativa al primo quinquennio, l’inquilino dell’Eliseo lo nomina portavoce dell’esecutivo. Il Monde dedica allora un ritratto alla nuova “coppia del potere” parigino, Gabriel Attal e il suo (oggi ex) compagno Stéphane Séjourné, da giovedì nuovo ministro degli Esteri francese.  “Si sono issati ai vertici dello stato in una posizione assolutamente inedita sotto la Quinta Repubblica: uno sussurra all’orecchio del presidente (Séjourné, all’epoca, era consigliere politico di Macron all’Eliseo, ndr), l’altro parla in nome del primo ministro”, scrisse il quotidiano dell’establishment parigino. Da portavoce non resta certo nell’ombra, anzi, prende tutta la luce possibile, anche troppa per certi ministri, i “grognard”, la vecchia guardia. Nel febbraio 2021, Attal lancia e anima una trasmissione su Twitch e YouTube, “Sans filtre”, nel corso della quale porta gli influencer all’Eliseo, per avvicinare gli under 30 alla politica, spiegando loro le riforme con un linguaggio cool. La sua popolarità cresce, i giovani riconoscono il suo volto e Macron non resta indifferente: averlo nella squadra dei ministri non può che essere un beneficio. Con l’inizio del secondo quinquennio e del governo Borne I, il presidente gli affida i Conti pubblici. E’ a Bercy, nel cuore delle finanze francesi, dove c’è un ministro ingombrante come Bruno Le Maire, ma il giovane lupo della macronia continua la sua ascesa. Nell’estate del 2023 è chiamato a guidare l’Istruzione in un momento delicatissimo per gli insegnanti e l’intero sistema scolastico, segno della fiducia che ripone in lui il presidente. E’ lui ministro quando Dominique Bernard, professore di lettere del liceo Gambetta di Arras, viene assassinato da un ex studente radicalizzato al grido di “Allah Akbar”. In un discorso solenne al Senato, rende omaggio all’ussaro della République che era Bernard, come lo era Samuel Paty, e invoca la linea della fermezza, il ripristino dell’autorità dopo troppo anni di lassismo. Nel novembre 2023, nel quadro della trasmissione Sept à huit di Tf1, racconta di essere stato bullizzato, vittima di molestie verbali da adolescente mentre era all’École alsacienne, da parte di un compagno di classe di cui non dice il nome. La stampa rivela il giorno stesso che si tratta di Juan Branco, avvocato francese di Assange, intellò crepuscolare candidatosi con Mélenchon nel 2017 e con ottime entrature in Russia. 


La sua storia avvicina ancora di più Attal ai francesi e nei sondaggi di popolarità è in cima alla lista tra i macronisti. Nato a Clamart, negli Hauts-de-Seine, da un padre ebreo tunisino e produttore di cinema morto brutalmente nel 2015 e una madre cristiana ortodossa discendente di una famiglia di Odessa e dipendente di una società di produzione, è stato un allievo di Sciences Po (master in affari pubblici) come molti altri primi ministri prima di lui, e come il capo dello stato ha sempre amato il teatro (ha recitato per dieci anni a margine dei suoi studi). A Matignon, oltre alla “causa della scuola”, “priorità assoluta” di cui sarà “il garante”, secondo le sue parole, si è portato i fedelissimi, “i quattro moschettieri”, come sono stati ribattezzati, anche se lui preferisce chiamarli “i Power Rangers”: Fanny Anor, capa di gabinetto, Maxime Cordier, consigliere speciale, Antoine Lesieur, vice capo di gabinetto, et Louis Jublin, responsabile della comunicazione. Quattro soldati devoti al loro “Gaby”, il delfino inatteso, il coup de théâtre del macronismo.

 

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