La USS eisenhower transita nello Stretto di Hormuz (foto: Centcom)

Ombre sulla Prosperity Guardian

Solo americani e britannici contro gli houthi. L'Italia richiama il Fasan

Luca Gambardella

L’Europa condanna gli attacchi nel Mar Rosso, ma va all’azione in ordine sparso. Il nostro paese non sottoscrive la dichiarazione congiunta dopo l'attacco e invoca motivi giuridici, un alibi per mascherare una scelta politica 

Dal 7 ottobre a oggi sono stati 115 gli attacchi delle milizie filoiraniane alle basi militari americane fra Siria e Iraq, 55 i paesi coinvolti dalle minacce dei ribelli houthi nel Mar Rosso e 27 gli attacchi alle navi commerciali in transito. Ma a fronte di numeri così importanti, che parlano di una guerra parallela a quella di Gaza combattuta sottotraccia dalle forze filoiraniane, ci sono poi quelli che sintetizzano la reazione internazionale. La missione a guida americana Prosperity Guardian creata a dicembre annovera “oltre 20 paesi” – come recitano i comunicati ufficiali del Comando centrale degli Stati Uniti – ma solo 14 hanno sottoscritto l’ultimatum dato agli houthi lo scorso 3 gennaio, 10 hanno siglato la rivendicazione della controffensiva di giovedì notte. Di questi, appena sei hanno partecipato in qualche modo alle operazioni militari nel Mar Rosso e solamente due, Stati Uniti e Gran Bretagna, hanno contribuito con mezzi aerei e navali. L’Italia è presente nell’area con la sola fregata Federico Martinengo, che il 9 gennaio è entrata in area sostituendo il Virginio Fasan e che si unirà alla missione europea anti pirateria Atalanta. Il Fasan era arrivato nel Golfo di Aden a dicembre ma adesso, rivelano al Foglio fonti della Difesa, sta per rientrare in Italia. Un avvicendamento quindi, non un rafforzamento come si pensava all’inizio.


Sebbene nessuna delle nostre due unità sarebbe stata in grado di contribuire all’offensiva di giovedì – mancano i missili per colpire postazioni a terra – la loro presenza è necessaria per proteggere le nostre navi mercantili. A oggi si ha notizia della scorta offerta da nave Fasan solamente a due navi, entrambe battenti bandiera italiana, una della D’Amico Shipping Group e l’altra della Prysmian. Il tema della priorità da dare nelle attività di scorta è  uno dei motivi delle divisioni interne che hanno minato la Prosperity Guardian sin dalla sua nascita. Se l’Italia finora ha scortato le “sue” navi, i francesi hanno fatto lo stesso con le loro. L’ammiraglio Emmanuel Slaars, due giorni fa, ha detto che  la fregata Languedoc attiva nell’area seguirà gli ordini del comando francese e che la priorità è “scortare le navi che battono bandiera francese”. Interessi economici nazionali da tutelare quindi, anche a costi elevati, dato che ogni missile Aster sparato dai francesi, che hanno già abbattuto alcuni droni degli houthi, vale un milione di euro. “Il costo non sta nel missile che spariamo – ha rivendicato Slaars – ma in ciò che proteggiamo”. 

Di fatto lo scenario è quello di una comunità internazionale divisa. “Politicamente è la dimostrazione di una coesione debole fra gli alleati di Ue e Nato”, ha detto a EuObserver l’ex capo di stato maggiore della Marina italiana, ammiraglio Luigi Binelli Mantelli. Basta guardare all’Europa, dove solo l’Olanda ha partecipato all’attacco contro gli houthi, peraltro con un solo ufficiale inviato al quartier generale della missione in Bahrein. Nel comunicato di ieri che ribadisce l’urgenza di ristabilire la libera navigazione nel Mar Rosso compaiono anche Danimarca e Germania, che però non hanno preso parte all’offensiva. Nonostante Washington ripeta da due mesi che gli attacchi degli houthi sono un problema globale e non solo degli americani, nel momento di passare all’azione si è ritrovata al fianco solamente i britannici. Il coro unanime che si è levato dagli altri alleati è che sì, le aggressioni nel Mar Rosso devono fermarsi, ma “senza che il conflitto di Gaza di estenda altrove”. 

 

Il sospetto che l’Europa si nasconda dietro ad alibi politici si insinua se si guarda al caso della Spagna. A dicembre, il primo ministro Pedro Sánchez, pur rifiutandosi di aderire alla Prosperity Guardian, si era detto disposto a discutere di una missione europea ad hoc contro gli houthi. Ieri invece la sua ministra della Difesa, Margarita Robles, ha ritrattato: “La Spagna non partecipa e non parteciperà a questa missione” né ad altre dell’Ue. Una posizione che potrebbe dettare la linea della sinistra europea. 

 

E a proposito di ambiguità, c’è il caso dell’Italia. A dicembre il comunicato del Pentagono  parlava di un coinvolgimento italiano nell’operazione Prosperity Guardian, ma dopo 24 ore la Difesa ha fatto sapere di non averne mai fatto parte, smentendo gli americani. Anche ieri, il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha detto che “l’Italia non può partecipare ad azioni militari se non con previa autorizzazione del Parlamento, ma certamente la nostra posizione è di assoluta tutela del diritto e del traffico mercantile nel Mar Rosso”. Il nostro paese non rientra nemmeno fra quelli che hanno sottoscritto il comunicato di ieri, successivo agli attacchi contro gli houthi, perché, secondo quanto risulta al Foglio, il governo lo ha considerato ridondante rispetto a quello precedente del 3 gennaio e perché  si faceva riferimento ad attività militari che il nostro paese non poteva sostenere per motivi giuridici. A parole si adducono questioni tecniche, ma nei fatti la natura della posizione defilata dell’Italia sembra essere  squisitamente politica. Perché se è vero che serve un passaggio parlamentare per autorizzare la partecipazione a una nuova missione militare, non è mai stato spiegato perché questo passaggio non sia mai stato fatto.

  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.