l'editoriale dell'elefantino
Abbiamo evitato l'escalation e guardate dove siamo arrivati
Hamas e Hezbollah, l’Iran verso l’atomica, una banda di montanari che minaccia le rotte del commercio: tutto questo anche perché da decenni ci consideriamo custodi di un presunto equilibrio realista fondato sul tentativo di non alzare il livello dello scontro
Forse bisognerà rivalutare, considerare di nuovo, il senso di termini come escalation e esportazione della democrazia. Per lungo tempo, ormai decenni, si è combattuta su questi due concetti-base una battaglia furiosa in occidente e negli Stati Uniti. Fin dai tempi della guerra in Vietnam alzare il livello dello scontro, del conflitto bellico e diplomatico, l’escalation, fu considerato male assoluto, uno strumento nelle mani di un imperialismo aggressivo per aggredire lo status quo o le prospettive possibili di pace in ragione di un’espansione della pura forza. Esportazione della democrazia, poi, era il quadro strategico, fallimentare per natura, si direbbe, di una strategia di cambio di regime e di contrasto radicale alle autocrazie fanatiche, il cappello neocoloniale posticcio che un mondo libero pacifico opulento voleva mettere su società incompatibili con le regole democratico-liberali della convivenza e della tolleranza.
Per evitare una escalation si è accettato che Assad varcasse la famosa linea rossa in fatto di uso delle armi chimiche (Obama). Si è accettato che un regime teocratico suffragato da voto e bastone, finta democrazia e vere impiccagioni, potesse fissare una sua road map per l’arricchimento dell’uranio e progressi in calendario verso l’armamento atomico. Si è considerato necessario un accordo (Trump) di resa con i Talebani in Afghanistan e (Biden) la fuga disperata da Kabul e la consegna del paese ai suoi torturatori autoctoni, che stigmatizzano democrazia libertà individuale istruzione femminile musica eccetera risorse del diavolo da combattere con la legge coranica. La guerra a Saddam Hussein fu demonizzata e dalla divisione occidentale fronteggiata dalle insurrezioni terroriste contro l’invasore americano si uscì con la nascita dell’Isis, lo Stato Islamico, il progetto del Califfato, con una lunga guerra devastatrice per chiudere provvisoriamente la partita con una coalizione in cui furono massacrati più civili che a Gaza e furono mandati avanti, per poi tradirli, i soliti eroici combattenti curdi.
Dopo il 7 ottobre e il pogrom ci siamo resi conto, come presi di sorpresa, del fatto che, per evitare l’escalation e rifuggire da ogni ipotesi di espansione della democrazia nella mappa mediorientale, per esercitare il containment dove aveva da esserci un deciso roll back, non solo Hamas aveva costruito una fortezza sotterranea che ci vorranno ancora mesi a smantellare, a un prezzo umanitario inaudito, il cui unico scopo è il terrore e il progetto di annientamento di Israele; non solo: nel frattempo Hezbollah, partito jihadista, si era del tutto impadronito del Libano e armato fino ai denti con il sostegno dell’Iran; Siria e Iraq erano divenute sedi tattiche di truppe filoiraniane bene addestrate e pronte a intervenire contro Usa e Israele; una banda di montanari in Yemen, dopo aver minato il terreno con effetti per generazioni derivanti da milioni di ordigni iraniani incastonati nel suolo, aveva usato l’arsenale iraniano solito, smerciato con cargo e finti pescherecci, allo scopo di chiudere l’asse della resistenza fanatica nel fronte sud costruendo un esercito di centotrentamila combattenti, ottenendo il consenso delle adunate islamiste e propalestinesi nella capitale Sanaa, devastando un paese, facendo più vittime civili e tra i bambini che a Gaza in nome di una guerra fanatico-tribale interminabile, e è arrivata a minacciare le rotte del commercio internazionale, con effetti diretti su prezzi delle materie prime, delle componenti industriali maggiori, dell’inflazione. L’Iran va verso l’atomica e ha poi cementato, per non farsi mancare niente, un’alleanza con la Russia in una guerra d’aggressione in Europa, con la Cina e con la Corea del Nord, che quell’ingenuo di John Bolton voleva colpire mentre quel genio di Trump lusingò con il famoso incontro e balletto a due con Kim Jong-un.
Siamo qui, a questo punto, anche perché da decenni ci consideriamo custodi di un presunto equilibrio realista fondato sul tentativo di evitare un’escalation e sulla negazione delle vecchie chiacchiere neoconservatrici sull’egemonismo americano e il controllo dei rapporti di forza in nome della pace. Bisognerà pur saperlo.