l'intervista
L'Ue non può tradire gli americani nel Mar Rosso, dice l'ammiraglio Binelli Mantelli
L'ex Capo di stato maggiore critica le divisioni europee sulla missione anti houthi e sostiene l'idea di un potenziamento di Atalanta. "Poche armi e investimenti? In Italia e in Europa non si spende più nella Difesa"
La diplomazia europea è alla ricerca di un terreno comune fra i 27 per schierare una missione navale contro gli attacchi degli houthi nel Mar Rosso. In vista del prossimo Consiglio dei ministri degli Esteri, in programma il 22 gennaio, ieri si sono riuniti a Bruxelles gli ambasciatori dei paesi Ue per studiare quale forma dare all’operazione. Impresa non semplice. La disunione dimostrata finora davanti a una minaccia diretta alle porte del Mediterraneo è la cartina al tornasole delle difficoltà dell’Ue nel dare una sola voce alla Difesa europea. Per l’ex capo di stato maggiore della Difesa, ammiraglio Luigi Binelli Mantelli, basterebbe potenziare ciò che già esiste. “Si potrebbe spostare l’area delle operazioni della missione europea Atalanta nel Mar Rosso, difendendo le rotte dei mercantili – spiega al Foglio – Tenendo presente che quella degli houthi è una minaccia diversa da quella della pirateria somala, perché si tratta di un gruppo terroristico ma con una dimensione statuale”.
Il piano elaborato dall’Alto rappresentante della politica estera e della sicurezza dell’Ue, Josep Borrell, prevede lo schieramento di tre fregate nell’area. “Potrebbe bastare, affiancando magari unità di difesa aerea e con forze speciali a bordo”, dice Binelli Mantelli, che ha ricoperto il ruolo di capo di Stato maggiore fino al 2015. Ma prima ancora di decidere quali strumenti militari impiegare bisogna decidere cosa si vuole ottenere. “Vogliamo una missione con scopi difensivi oppure una che sferri attacchi preventivi? Il nodo è politico”. Francia, Italia e Spagna hanno deciso di non unirsi agli americani nella missione anti houthi Prosperity Guardian e di agire in autonomia, dedicandosi alla scorta delle loro navi cargo. L’Olanda ha partecipato all’offensiva della scorsa settimana, mentre Germania e Danimarca si sono limitate a sottoscrivere la rivendicazione collettiva dopo l’attacco. Nel complesso, l’Europa ha reagito in modo freddo e scomposto all’invito americano a partecipare alla missione.
Per Binelli Mantelli è impossibile elaborare una strategia europea mantenendo l’attuale ordine sparso. “Dal mare transita l’80 per cento del traffico commerciale diretto in Europa e incredibilmente ciò non è bastato a mettersi d’accordo su come intervenire nel Mar Rosso”, spiega. L’Europa rischia così di andare incontro a una crisi energetica e della supply chain, come ha avvertito due giorni fa il commissario Ue Paolo Gentiloni. “Il problema di una missione navale nel Mar Rosso non è certo tecnico o militare – dice l’ammiraglio – Sono 60 anni che ci addestriamo con gli americani per scenari simili. Qui il punto è che l’Europa si trova a discutere su come comprare una pistola senza però sapere come usarla. E poi c’è la questione industriale. In Europa esistono tante industrie della Difesa in competizione. Una competizione però fine a sé stessa senza una regia europea, necessaria per esempio nel settore della ricerca e della tecnologia”.
Anche perché, nel frattempo, la minaccia nel Mar Rosso ha evidenziato il dilemma di come rendere sostenibile una guerra combattuta contro droni dal basso costo limitando l’impiego di missili che, di contro, valgono milioni di euro. Per Binelli Mantelli, “se non si vogliono usare i missili si può optare per il sistema di artiglieria Davide, che si è dimostrato efficace”. Ma sulla questione della carenza di munizioni soprattutto a livello missilistico, sollevata il mese scorso dal ministro della Difesa italiana, Guido Crosetto, l’ex capo di Stato maggiore conferma le difficoltà del nostro paese: “Da tempo in Italia si è deciso di tagliare i fondi alle Forze armate. Oggi ci ritroviamo con un grande problema di resilienza. Nel caso di un conflitto di lunga durata, avremmo dei problemi”. Però, aggiunge l’ammiraglio, quella delle munizioni e degli scarsi investimenti non è una questione esclusivamente italiana, ma europea. “Dopo la caduta del Muro di Berlino ci si è illusi che bastasse investire nelle fanterie leggere e nelle forze speciali. Oggi invece grandi potenze come la Cina dimostrano il contrario investendo grandi somme nella Difesa. Bisogna correre ai ripari e per questo dico che è necessario rivolgersi agli americani. Voltargli le spalle rischia di essere una tendenza pericolosa”.