Il realismo oltre l'astrazione
Chi deve far “essere in vero” uno stato palestinese che non s'è mai visto
Tanti anni fa un Berlinguer tutt’altro che moralista polemizzava con i filocinesi del Pci citando Machiavelli. Oggi, non è a Israele che va intimato di accettare uno stato palestinese, è ai palestinesi che va chiesto di renderlo reale e credibile
Al XII Congresso del Pci nel 1969 Enrico Berlinguer polemizzò con le posizioni filocinesi di Rossanda, Pintor e altri della sinistra comunista. A proposito del modello cinese di politica e cultura, diciamo così, sfoderò una citazione di Machiavelli: “Che succo c’è a parlare di principati che non si sono mai visti né conosciuti essere in vero?” (cito a memoria). C’ero, faceva freddo, l’autunno caldo era in incubazione dopo la grande rivoluzionaria mattana del 1968. Alla sinistra comunista non interessavano i massacri della Rivoluzione culturale maoista, le rieducazioni forzate e le deportazioni, preferivano come sempre avvenuto il mito politico alla considerazione della realtà. Ma Berlinguer era il predestinato al ruolo di numero uno e sarebbe poi stato eletto segretario generale dopo Longo.
“La sinistra muore all’alba”, si diceva con sarcasmo, perché gli interventi dei delegati del Manifesto erano piazzati in orari precoci, davanti a pochi delegati, mentre il Machiavelli di Berlinguer, come gli altri discorsi di linea togliattiana e centrista, risuonava a catino del Palasport rigurgitante, intorno alle dodici e trenta. Quel richiamo alla effettualità, alla verità effettuale della cosa, fu preso per quel che era, un richiamo al realismo contro l’astrazione.
Tanti anni dopo, in un altro mondo, quella citazione classica di un Berlinguer tutt’altro che moralista, come poi fu nel suo finale di partita, mi è venuta in mente a proposito, figuriamoci, della discussione tra Joe Biden e Netanyahu sullo stato palestinese. Lungo tutta un’epoca politica e diplomatica e militare a cavallo delle lunghe trattative segrete poi sfociate negli accordi famosi di Oslo, agli inizi dei Novanta, l’ipotesi famosa di due stati e due popoli in pacifica convivenza nella reciproca sicurezza andava per la maggiore. L’islamizzazione del partito armato palestinese, nel quadro della mobilitazione destabilizzante perseguita dai mullah iraniani sui vari fronti che oggi sanguinano intorno al 7 ottobre e alla risposta autodifensiva della guerra di Gaza, piano piano cancellò quasi anche il ricordo di quel modello e trasformò lo stato palestinese in uno di quei “principati che non si sono mai visti né conosciuti essere in vero”.
Anche Israele all’epoca del sionismo nascente e rampante era stato un flatus vocis, e solo la crisi del colonialismo, la vittoria dell’esodo popolare e della guerriglia contro il mandato britannico, la spartizione garantita dall’appena nata e promettente Onu e la guerra di indipendenza vinta contro il rifiuto arabo dal non nazionalista né estremista di destra Ben Gurion fece essere in vero lo stato di Israele come qualcosa di visibile e di conosciuto. Ora il problema drammatico di una rappresentanza palestinese che sia in grado di convivere in forma di stato con Israele non si risolve con la statuizione a freddo di una clausola giuridica: la sovranità dimezzata, una nazione senza armi né sicurezza propria. Ciò di cui pare si parli nella diplomazia della Casa Bianca.
Eliminata la capacità operativa e politica di Hamas, che non è un dettaglio minore né per gli americani né per gli israeliani né per gli stati arabi e la comunità internazionale, sarebbe necessario che Abu Mazen e l’Autorità palestinese cancellassero dai libri di testo delle loro scuole il proposito di annichilire l’entità sionista, riconoscessero che il pogrom del 7 ottobre grida vendetta al cielo, si schierassero per la nascita di uno stato democratico contro l’autocrazia islamista di Hamas, degli Hezbollah degli Houti e altre agenzie di derivazione iraniana e definissero con precisione i contorni di un sionismo palestinese efficace, sicuro o rassicurante per i vicini, fondato sulla revisione di tutta la storia cominciata con il rifiuto degli eserciti arabi della nascita di Israele.
Per arrivare credibilmente a riparlare di uno stato palestinese, dopo il trauma dannato del 7 ottobre, c’è molta strada da fare, una strada più lunga, immensamente più lunga, della prospettiva artefatta e di vista corta di chi propone oggi a un popolo che difende la sua stessa esistenza la via di un accomodamento astratto e giuridico. Non è a Israele che va intimato di accettare uno stato palestinese, è ai palestinesi che va chiesto di far essere in vero un principato che non si è mai visto e tutt’ora non si conosce.