In New Hampshire
Il cantiere repubblicano per costruire un'alternativa a Trump sembra già mezzo chiuso
Al secondo appuntamento delle primarie, la corsa è tra l'ex presidente e Nikki Haley, che ha scelto una strategia controllata e cauta. Le chance e le ragioni della sfidante e quel che ci dice sul Partito repubblicano (e sulla rassegnazione)
Il secondo appuntamento delle primarie del Partito repubblicano, oggi in New Hampshire, è già uno showdown decisivo per chi si oppone alla ricandidatura dell’ex presidente Donald Trump. Il secondo classificato in Iowa, Ron DeSantis, si è ritirato dalla corsa e ha dato il suo sostegno a Trump e bisogna vedere che cosa ha capito finora il suo elettorato di lui e del significato di questa sua campagna elettorale scombiccherata. DeSantis era un’alternativa a Trump come ha cercato malamente di posizionarsi? Se sì, il suo piccolo consenso – circa l’8 per cento, secondo un sondaggio prima del ritiro – dovrebbe andare all’unica alternativa rimasta a Trump, Nikki Haley, che ha puntato tutto sul New Hampshire. Se DeSantis invece non ha mai pensato o fatto capire di essere un’alternativa, i suoi elettori voteranno per Trump, come da sua stessa indicazione, e allora le primarie potrebbero già chiudersi più o meno qui.
Al momento non c’è nessuno stato – secondo i sondaggi – in cui Trump sia in svantaggio, nemmeno in New Hampshire lo è. C’è chi si chiede se si siano in realtà mai aperte, le primarie, e la domanda è lecita anche al di là dei numeri: Haley, che ha conquistato più fondi da parte di donatori influenti e che non ha avuto la parabola di DeSantis ma si è costruita con pazienza un consenso dell’ala tradizionale del Partito repubblicano, ha comunque scelto una strategia cauta. Soltanto negli ultimi giorni, in risposta agli attacchi personali di Trump (che l’ha anche confusa con Nancy Pelosi, in un cortocircuito quasi comico se non fosse che l’ex presidente non fa più ridere), la Haley è stata più diretta nei suoi attacchi, ma è come se si fosse sempre tenuta aperta la porta del reintegro nel mondo trumpiano, perché è quello che domina il Partito repubblicano.
Poiché le primarie sono anche un esercizio di storia, memoria e paragoni, c’è chi ha citato le primarie del 2000, quando John McCain vinse in New Hampshire: fu uno scossone per la campagna di George W. Bush, che aveva vinto in Iowa e che poi avrebbe conquistato la nomination e la presidenza, perché il senatore dell’Arizona aveva creato una mobilitazione e un’effervescenza che Bush non aveva ancora saputo mostrare. Mark McKinnon, che era consigliere di Bush, ha ricordato: “McCain era infuocato, autentico, accessibile, sembrava dovesse candidarsi come governatore del New Hampshire”.
La Haley è precisa ma controllata: come spesso accade, per prendere i voti moderati si finisce per sembrare poco appassionati, tecnici quasi. E certo il fatto di non essere mai stata in vantaggio – l’ultima rilevazione indica Trump avanti di 18 punti percentuali – ha condizionato la strategia di Haley, e lo farà anche nei prossimi appuntamenti che potrebbero essere ridotti se nel New Hampshire dove si è giocata tutto dovesse subire un distacco tanto grande.
Haley di fatto ha rappresentato la rassegnazione del Partito repubblicano, che nel post trumpismo non ha mai voluto né saputo costruire una alternativa all’ex presidente, nemmeno quando nelle urne gli elettori hanno mostrato di non aver più voglia dei suoi estremismi. La domanda di maggiore moderazione c’è stata, l’offerta è stata finora non sufficiente: nel New Hampshire degli straordinari aneddoti elettorali, e con una corsa già ridotta a due, c’è forse l’ultima occasione.
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