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Cosa sono disposti ad accettare gli israeliani per vedere gli ostaggi tornare a casa
Lo spazio per gli accordi c'è, nonostante la politica. Gli Stati Uniti promuovo una nuova iniziativa di dialogo per coinvolgere i paesi arabi, alla quale Hamas risponde con un documento pieno di bugie. C'è scritto che il 7 ottobre i civili sono stati uccisi in modo accidentale
Chi crede più a Benjamin Netanyahu? In Israele non è più questione di indice di gradimento, ma la fiducia nel primo ministro ha a che vedere anche con le speranze dei suoi cittadini, impauriti, feriti, alcuni senza speranze. Sono giorni di manifestazioni per il paese e la piazza dedicata agli ostaggi non è più il luogo della solidarietà e del conforto nei confronti delle famiglie degli oltre centotrenta israeliani tenuti prigionieri, ma è il centro di una protesta che si sta espandendo, e ieri è arrivata fino a Gerusalemme. Con i cartelli in mano, con le magliette nere con la scritta “riportateli a casa”, i parenti degli ostaggi hanno interrotto una riunione della Commissione finanze della Knesset. I politici sono rimasti seduti, senza troppe parole da dire, mentre loro chiedevano azioni concrete e cambiamenti.
Chiedevano un accordo, un piano, e chiedevano anche le dimissioni del primo ministro Benjamin Netanyahu: “Avete smantellato un governo per il voto sui cibi lievitati (hametz) – hanno urlato ai politici dei partiti religiosi – e adesso non volete farlo per gli ostaggi”. Il premier non era presente, ma poco dopo ha detto che da parte di Hamas non c’è stata alcuna proposta concreta per la liberazione dei prigionieri e l’unica strategia è continuare a fare pressione, continuare a combattere. Qualcuno gli ha creduto? Qualcuno sì, Netanyahu è politicamente indebolito, non è più sostenuto dalle percentuali di un tempo, ma non tutti hanno abbandonato l’idea che sia ancora il leader giusto per Israele: il leader dell’abitudine. La sua maggioranza regge ancora, se il governo ristretto di unità nazionale dovesse mancare dell’appoggio di Benny Gantz e di Gadi Eisenkot, che hanno accettato di costituire con il premier un gabinetto di guerra, a Bibi rimarrebbe pur sempre la sua coalizione urlante che lui stesso fatica a governare, ma che ha i numeri per andare avanti. Il 46 per cento degli israeliani vorrebbe vedere Benny Gantz al suo posto, ma il 32 crede ancora che sia lui il premier giusto. Chi ormai non gli crede più sono le famiglie degli ostaggi, vorrebbero un accordo di qualsiasi tipo pur di vedere tornare a casa madri, padri, figli, sorelle. Non sanno nulla del loro destino dentro la Striscia, Netanyahu dice che non ci sono possibilità di accordo, ma loro ribattono che basterebbe fermare la guerra. Sono pronti a tutto. Gli altri israeliani sono disposti a un accordo che preveda il ritorno degli ostaggi, sono pronti alla liberazione dei terroristi palestinesi nelle carceri israeliane, ma i sondaggi non sono chiari sul loro favore o sfavore per un cessate il fuoco permanente, che consentirebbe la ristrutturazione di Hamas. I terroristi della Striscia hanno tutta l’intenzione di restare al potere, di mostrare al mondo che possono vincere la guerra e ieri hanno pubblicato un comunicato di sedici pagine con un titolo che mostra l’intento evidente: “La nostra narrativa: Operazione diluvio di al Aqsa”. Diluvio di al Aqsa è il nome che i terroristi hanno dato all’attacco contro Israele e il documento, come viene scritto nelle sedici pagine, è indirizzato “alle nazioni arabe e islamiche e alle persone libere in giro per il mondo”. Nel documento si fanno strada le bugie e le cospirazioni che sono circolate finora, i terroristi scrivono che le morti civili sono avvenute in modo accidentale, mentre gli attacchi erano rivolti contro i soldati e le basi militari, non c’è nessun accenno agli ostaggi, ma chiedono un’indagine internazionale. Il metodo che Hamas ha usato nei kibbutz è stato scientifico, per niente accidentale: uccidere casa per casa israeliani nelle prime ore del mattino di un giorno di festa.
In pochi credono a Bibi, ma nessuno crede a Hamas che vuole il favore del mondo arabo proprio adesso che si sta impegnando nel pensare a un nuovo accordo sotto la guida degli Stati Uniti. Secondo Axios, il consigliere del presidente americano Joe Biden, Brett McGurk, questa settimana andrà in Egitto e in Qatar con il progetto di fare progressi nei negoziati per garantire il rilascio degli ostaggi. E’ questa l’unica strada che potrebbe portare a un cessate il fuoco, che testimonia l’impegno americano, la disponibilità degli stati arabi, ma non chiarisce quale dovrà essere il futuro di Hamas dentro la Striscia di Gaza. Questa vaghezza ha spinto i terroristi a incentivare la campagna di propaganda, diretta all’intero mondo libero e ai paesi arabi, che parlano di “normalizzazione dei rapporti con Israele” con sempre meno difficoltà. La vaghezza, però, mette in guardia anche gli israeliani, che sono pronti a un compromesso, ma senza che Hamas ne sia parte. Un sondaggio rivela che se si parla di liberazione degli ostaggi, gli israeliani sono favorevoli a parlare di soluzione a due stati, a patto che quello palestinese sia demilitarizzato. Una condizione che ha riguardato molti accordi per far cessare le guerre nella storia.