fuori dai tunnel

Sinwar aspetta, ma Israele ha un potenziale per negoziare sfruttato solo a metà

Il giorno più duro per l'esercito di Israele e le trattative che Bibi deve avere la forza di portare avanti

Micol Flammini

Il leader di Hamas non conta le bombe a Gaza, ma le proteste degli israeliani. Ha risposto di "no" alla proposta di tregua arrivata da Gerusalemme, usa gli ostaggi come il suo capitale, ma c'è ancora tanto che il governo può fare, con o senza Netanyahu

Nella Striscia di Gaza non c’è nessun vuoto di potere. Nella Striscia di Gaza continua a esserci Hamas. Dal 7 ottobre sono morti centodiciannove soldati israeliani, nella sola giornata di lunedì ne sono stati uccisi ventuno, vittime del crollo di due palazzi, che loro stessi avevano minato, ma venuti giù in seguito all’attacco di un terrorista di Hamas. I soldati pensavano che l’area fosse libera, si preparavano a demolire le strutture, invece il miliziano è riuscito a fare fuoco, a causare l’esplosione del carro armato posto a protezione dell’unità, che a sua volta ha portato alla detonazione delle mine poste nei palazzi.  E’ stato l’incidente più mortale per Tsahal, l’esercito israeliano, che dimostra la capacità del gruppo terrorista di agire e di sorprendere ancora dentro la Striscia di Gaza, nonostante l’offensiva a Khan Yunis sia martellante, nonostante la caccia ai capi di Hamas sia capillare e nonostante si parli del rientro dei palestinesi nel nord della Striscia, in cui l’esercito dice di aver portato a termine le sue operazioni. I terroristi invece ragionano come se non si sentissero sconfitti affatto, come se avessero la possibilità di scegliere e di decidere come trattare con Israele e infatti hanno rifiutato la proposta israeliana che prevedeva due mesi di tregua, la possibilità per i leader dell’organizzazione di uscire indenni dalla Striscia, il tutto per permettere la liberazione degli ostaggi. Yahya Sinwar, il leader di Hamas a Gaza, non deve sentirsi in pericolo. Secondo gli ultimi resoconti si troverebbe a Khan Yunis, proprio nell’area che i soldati israeliani stanno setacciando, ma non teme di essere trovato, né colpito. Oltre a usare i civili come scudi, si è circondato di ostaggi, sono loro la sua garanzia di sopravvivenza che vuole usare alle sue condizioni. Sinwar vuole la liberazione di tutti i palestinesi che si trovano nelle carceri israeliane, secondo una promessa fatta quando fu lui a essere liberato,  vuole la fine della guerra e vuole Gaza per sé. La permanenza di Sinwar nella Striscia è inaccettabile, vorrebbe dire che l’incubo israeliano di un nuovo 7 ottobre non verrebbe cancellato e vorrebbe dire  l’esclusione di qualsiasi soluzione dei due stati, il capo dei terroristi è sempre stato chiaro: combatte per  la fine di Israele, non  per la convivenza. E’ convinto di avere il tempo dalla sua parte, più risponderà di “no” alle proposte del governo di Gerusalemme per la liberazione degli ostaggi, più aumenteranno le proteste per le strade contro Netanyahu: si fanno più grandi e più cariche di emozioni di settimana in settimana. Gli ostaggi sono il suo capitale e li sfrutterà fino all’ultimo momento, per causare ancora più dolore e tormento alla società israeliana e portarla ad accettare ogni condizione, seppur sfavorevole.  


Dentro al governo israeliano c’è chi dice ormai che parlare di vittoria assoluta contro Hamas, quindi della sua completa eliminazione dentro alla Striscia, non sia possibile. Il premier Benjamin Netanyahu invece sostiene che sia necessario andare avanti, portare fino in fondo un’offensiva che potrebbe durare anche fino al 2025. Eyal Hulata, ex consigliere per la Sicurezza nazionale in Israele, vede un limite molto grande nel modo in cui sta agendo il governo: è  incapace, a suo avviso, di portare avanti pressione militare e chiarezza diplomatica in modo simultaneo. Secondo Hulata, per ottenere la liberazione degli ostaggi bisogna  incrementare la spinta della diplomazia, iniziare a prendere in considerazione di parlare con la parte dell’organizzazione che vive in Qatar, utilizzare le divisioni che esistono dentro a Hamas, convincere i paesi arabi a farsi più perentori con i   leader che invece sono rimasti nella Striscia. Il problema è anche politico, perché per insistere sugli altri paesi arabi come l’Arabia saudita, Israele dovrebbe mostrarsi disposto alle concessioni chieste e aprire  alla creazione di uno stato palestinese. Per Hulata, Netanyahu non può farlo: come la mette con la sua maggioranza? I partiti di ultradestra che lo sostengono gli toglierebbero in un istante la fiducia. Avere un premier politicamente debole, debilita anche il paese e il suo peso negoziale. E’ una delle sicurezze di Yahya Sinwar che in fondo a un tunnel nell’area di Khan Yunis più che monitorare l’intensità dei bombardamenti a Gaza, controlla  l’aumento delle proteste in Israele: di giorno in giorno, di settimana in settimana. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)