i giudici

La sentenza di mezzo dell'Aia lascia Israele imputato, ma non osa sabotare lo sforzo diplomatico

Micol Flammini

La Corte chiede misure per prevenire il genocidio, ma non c'è nessuna ingiunzione per il cessate il fuoco: imporre allo stato ebraico di fermarsi adesso che la diplomazione americana cerca di arrivare a un accordo per il rilascio degli ostaggi avrebbe danneggiato i negoziati

A fine dicembre, il Sudafrica aveva presentato alla Corte internazionale di giustizia dell’Aia una causa contro Israele, accusandolo di aver violato i suoi obblighi nella Convenzione sul genocidio del 1948, della quale tutti e due gli stati sono firmatari. Pretoria aveva inviato ottantaquattro pagine, ricche di accuse, omettendo di fare riferimento al perché Israele era entrato in guerra, come se la storia fosse iniziata l’8 ottobre, con le prime bombe, e non il 7 con le violenze nei kibbutz.  Oltre a muovere l’accusa di genocidio contro il popolo palestinese, il Sudafrica chiedeva l’attuazione di misure provvisorie e un’ingiunzione internazionale per ordinare agli israeliani di deporre le armi: cessate il fuoco. La Corte si è riunita per deliberare sulle misure provvisorie e per comunicare se avrebbe portato avanti il caso o se, come chiedeva Israele, lo avrebbe archiviato. Il processo va avanti, i diciassette giudici non hanno emesso alcuna ingiunzione di cessate il fuoco, ma hanno ordinato a Israele di intraprendere delle misure urgenti per prevenire un genocidio dentro alla Striscia di Gaza, per punire l’incitamento al genocidio, per salvaguardare  l’ingresso di aiuti per la popolazione e di stilare un rapporto entro un mese per illustrare nel dettaglio quali misure sono state prese nel rispetto delle parole della Corte. Israele non è obbligato ad adempiere a queste richieste, non sono vincolanti, ma secondo Alan Baker, esperto di diritto internazionale ed ex ambasciatore di Israele in Canada,  non avrà difficoltà a fare come viene richiesto dall’Aia perché quelle misure non sono nuove: ogni divisione dell’esercito ha i suoi esperti legali che stabiliscono cosa può essere colpito, ha le prove che dimostrano che la guerra viene condotta secondo le regole, ha una legge contro l’incitamento. 


Nessuna sorpresa, il caso contro Israele sul genocidio va avanti, ci vorranno anni per deliberare, Pretoria  ha accettato di presentarsi come braccio legale di Hamas, non rappresentata all’Aia in quanto organizzazione terroristica, ma in grado di contare su non pochi alleati. Tuttavia  il Sudafrica non ha ottenuto quello  per cui aveva aperto il caso: il cessate il fuoco.  Un ordine di cessate il fuoco arrivato dall’Aia avrebbe messo Israele in una posizione ancora più difficile: non avendo l’obbligo di rispettare l’ingiunzione, avrebbe potuto andare avanti, ma a costo di vedere crescere a dismisura le accuse. Se invece Israele avesse obbedito all’Aia, avrebbe smesso di combattere, rimanendo senza mezzi negoziali per vedere tornare indietro gli oltre centotrenta ostaggi che sono detenuti da Hamas nella Striscia. A loro la Corte ha riservato parole confuse, ne ha chiesto la liberazione incondizionata: ma a chi l’ha chiesto visto che Hamas non riconosce l’Aia? L’organizzazione terroristica non è stata neppure mai nominata, ma questo non ha sorpreso esperti di diritto come Baker: il caso era tra Sudafrica e Israele, si fa finta che Hamas non esista. La finzione inizia da lì.


Lo stato ebraico non è stato fermato per vie legali, ma l’accusa di genocidio resta, tuttavia la Corte non ha parlato neppure di proporzionalità, riguardo all’uso della forza che finora ha causato più di venticinquemila  morti secondo   un numero fornito dal ministero della Sanità di Gaza gestito da Hamas, ma ritenuto attendibile.  I legali sudafricani hanno detto che la decisione è stata la vittoria del diritto internazionale e di fatto porta a un cessate il fuoco: “Come fate a portare acqua e cibo senza il cessate il fuoco?”, ha detto il ministro degli Esteri di Pretoria. Israele ha risposto che continuerà a impegnarsi per fornire aiuti e ha festeggiato che  “il vile tentativo di negare” il diritto di difendersi “è stato giustamente respinto”. All’Aia non ha vinto nessuno, Israele rimane imputato, ma imporgli di fermarsi adesso che la diplomazia americana cerca di arrivare a un accordo per il rilascio degli ostaggi avrebbe voluto dire sabotarlo. E la Corte non poteva spingersi a tanto. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)